Un pastore e uno stimato chirurgo, entrambi con la passione per la politica. Ma il primo non è in realtà un semplice pastore. È Tindaro Calabrese, boss emergente del clan dei mazzarroti (una delle diverse diramazioni della mafia barcellonese), almeno fino all’aprile del 2008, quando la sua ascesa criminale ai vertici della “famiglia” è stata interrotta dal suo arresto nel corso dell’operazione del Ros “Vivaio”.
Le strade dei due si sarebbero incrociate in occasione delle elezioni amministrative del 2007 in provincia di Messina, quando il chirurgo, il dottor Salvatore Lopes, decide di candidarsi a sindaco del Comune di Furnari, andando poi a vincere quella tornata elettorale con uno scarto di soli 17 voti sul suo diretto avversario.
L’esito di quelle elezioni sarebbe però stato deciso in un incontro a Barcellona Pozzo di Gotto tra Carmelo D’Amico, ex capo dell’ala militare dei barcellonesi oggi collaboratore di giustizia, e Calabrese, che chiese al boss il permesso di poter schierare i mazzarroti a sostegno del candidato Lopes.
È quanto ha rivelato nei mesi scorsi il collaboratore Carmelo D’Amico agli inquirenti della Dda di Messina, verbali poi depositati dal sostituto procuratore Angelo Cavallo al processo originato dall’operazione antimafia “Torrente”. Dichiarazioni confermate in aula nell’udienza del 23 giugno 2016 davanti al collegio penale del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, presieduto dalla dottoressa Maria Tindara Celi.
Lopes è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa perché, secondo la Dda, una volta eletto avrebbe subito ricambiato il favore per l’appoggio ottenuto dai mazzarroti, piegando «scientemente l’azione amministrativa – scriveva il gip Micali nella sua ordinanza – della cui direzione era stato investito al precipuo fine di saldare il debito assunto» concedendo appalti per lavori pubblici e concessioni per l’apertura di attività commerciali. Il “patto” prevedeva la spartizione tra le imprese “amiche” dei lavori di “somma urgenza” affidati in occasione dell’alluvione del dicembre 2008 nei comuni di Mazzarrà Sant’Andrea e Furnari.
D’Amico, nell’interrogatorio del 23 ottobre 2014 e in aula, rispondendo alle domande del dottor Cavallo, ha dichiarato che Calabrese gli disse che «si era accordato con il Lopes affinché lui sostenesse la candidatura del Lopes stesso che, in cambio, una volta divenuto sindaco, si sarebbe sdebitato facendo ottenere a Tindaro Calabrese, o a chi per lui, lavori pubblici nell’ambito del comune».
«Tindaro Calabrese mi disse che quell’accordo intervenuto fra lui stesso e Lopes era avvenuto per iniziativa di Lopes. E Calabrese mi disse che si sarebbe impegnato per procurargli i voti».
«Ricordo – prosegue il racconto di D’Amico – che quando Calabrese mi riferì di questo accordo, mi disse che Lopes ormai era “nelle nostre mani”. Con questa espressione Calabrese intendeva che Lopes era nelle sue mani, quindi anche nelle mie», in pratica era «a disposizione dell’intera organizzazione. Io gli diedi lo “sta bene”».
Calabrese – secondo quanto affermato dal pentito – «si fece prendere tantissimo» da quel patto stretto con il candidato, impegnandosi a fondo per procurare quei voti in suo favore e non fare cattiva figura, arrivando a «minacciare di brutto» alcuni elettori di Furnari per convincerli ad esprimere il loro voto in favore del candidato Lopes.
«Calabrese esercitò forti minacce praticamente nei confronti di tutti gli elettori di Furnari e, in qualche occasione, arrivò a minacciarli anche con la pistola. Specifico che queste cose mi furono riferite espressamente da Calabrese».
Nelle sue dichiarazioni il collaboratore parla anche di Leonardo Arcidiacono e Sebastiano Geraci (entrambi imputati nel processo, ndr).
«Fu anche Arcidiacono a dirmi che, se fosse salito il sindaco Lopes, costui si sarebbe sdebitato con il Calabrese e con gli altri soggetti che avevano procacciato i voti per lui, facendo assegnare in loro favore lavori da parte del comune di Furnari. Mi risulta che in effetti dopo quelle elezioni, il sindaco Lopes fece assegnare un lavoro dell’entità di circa 500.000 euro, da svolgersi a Portorosa».
Quel lavoro «venne assegnato a Santino Bonanno (imprenditore furnarese – condannato in primo grado a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo “Zefiro” – ritenuto dagli inquirenti “socio” occulto dell’ex capo dei mazzaroti Carmelo Bisognano, con il quale avrebbe intessuto intensi rapporti di lavoro e di amicizia. Rapporti intrattenuti, dopo l’arresto di Bisognano, con il nuovo capo Tindaro Calabrese, ndr), e dunque a Tindaro Calabrese. In pratica, il lavoro lo prese formalmente Santino Bonanno ma gli interventi furono eseguiti anche da Calabrese.»
Le dichiarazioni del D’Amico, anticipate lo scorso novembre dal quotidiano messinese Gazzetta del Sud, avevano provocato la reazione del dottor Lopes che, in una lettera inviata allo stesso quotidiano, aveva negato l’esistenza del patto con il Calabrese.
Secondo l’ex sindaco, l’appalto citato dal D’Amico era stato vinto da «una ditta di Catania», in seguito a un bando di gara indetto dalla precedente amministrazione. Tale ditta, successivamente, subappaltava una parte del lavoro, per un importo di circa 80.000 euro al Bonanno.
«Invero – si leggeva nella replica –, nell’ipotesi di subappalto, l’amministrazione, previa verifica della documentazione da parte degli uffici preposti e in assenza di motivi ostativi, non può far altro che prendere atto del contratto che la ditta aggiudicataria stipula con la subappaltante».
Bisognerà attendere però il prossimo 22 settembre per conoscere le argomentazioni con le quali il collegio difensivo di Lopes, composto dagli avvocati messinesi Carrabba e La Manna, proverà a smontare le accuse del collaboratore D’Amico.
Infatti essendosi protratto l’esame dell’ex capo militare dei barcellonesi fino al tardo pomeriggio, su richiesta delle difese il suo controesame è stato rinviato dalla presidente Celi appunto al 22 settembre 2016. Sempre in quella data dovrebbe svolgersi anche il controesame del pentito Nunziato Siracusa, già a capo del sottogruppo operante a Terme Vigliatore.
Anche il Siracusa, nell’udienza dello scorso 18 marzo, durante l’esame del dottor Cavallo, aveva riferito di essere venuto a sapere da Arcidiacono e Geraci dei “retroscena” e del loro “ruolo” in quelle amministrative del 2007 a Furnari. Siracusa era infatti detenuto (all’epoca degli arresti per l’operazione Torrente, scattata il 5 novembre del 2010, ndr) con i due nel carcere di Gazzi a Messina.
Il suo controesame, inizialmente previsto per l’udienza dello scorso 4 aprile, era successivamente slittato al 26 maggio e poi rinviato, causa sciopero degli avvocati, all’udienza del 23 giugno.