UN OBESO GESU’ CROCIFISSO A CENTRAL PARK

Sono trascorsi sei mesi da quando il pittore e scultore colombiano Fernando Botero, ormai ottantatreenne, ha donato al Museo di Medellin una raccolta di quadri quanto mai singolare. Si tratta di una particolarissima Via Crucis, ventisette coloratissimi dipinti dove a farla da padrone è la curiosa ed ormai caratteristica pinguedine dei soggetti.

In mostra al Palazzo dei Normanni a Palermo fino al 30 settembre, l’opera di Botero manifesta per la prima volta, come sostiene il critico d’arte Conrado Uribe, una sofferenza che attrae, sconvolge e fa riflettere. Oltre le figure morbide e rotonde, dietro le pieghe chiaroscurate dei soggetti, si celano interpretazioni plurime, che lasciano spazio a riflessioni che stuzzicano il pensiero sociologico.

Riflessioni sottili, percepibili da dettagli a volte non evidenti, ma sicuramente complici del successo di una mostra che in questi giorni affolla la capitale siciliana.

Cartine stropicciate, fotocamere e occhiali da sole. Orde di turisti, sfiniti da ore di cammino affollano l’ingresso del Palazzo Reale, a Palermo. Il caldo non sembra infastidirli: qualcuno sorbisce distrattamente una limonata, i più piccoli siedono in cerchio a qualche metro di distanza dai genitori. La fila è interminabile, ma nessuno sembra farci caso: attendono da ore, ma sono certi che ne varrà la pena.

Un’attesa ricompensata da personaggi dalla carica emotiva unica, fatta di una sofferenza nuova per la pennellata di un Botero conosciuto dal mondo per le rotondità dei soggetti. Soggetti che ora si fanno interpreti della storia universale, passata e presente. Un presente fatto di sfondi contemporanei e monili alla moda. Come l’orologio d’oro al polso di Giuda che, colto nell’attimo del bacio che cambiò la storia, sembra richiamare le fattezze del tipico malavitoso. Un oggetto apparentemente insignificante, la cui posizione quasi al centro della composizione rivendica un’attenzione che deve guidare verso la riflessione. Una riflessione sulla malavita, forse, su quella fetta di potenti che anche in Colombia, dove l’artista è nato, domina indisturbata. Un accenno nascosto al delirio della società, e perché no, al potere sempre eterno della mafia, quella che esiste ovunque, seppur con nomi diversi.

Anche dove un certo simbolismo è meno nascosto, dove sembra che l’interpretazione sia unica, i significati si moltiplicano insieme con le riflessioni. E’ questo il caso dell’obesità, tratto inconfondibile, marchio di fabbrica che si presta a interpretazioni quasi infinite. In questo modo Botero obbedisce al motivo primo dell’arte: essere fruibile a tutti, comunicare e lasciare libero l’occhio di chi osserva a perdersi nella propria interpretazione.

Il pezzo forte della rassegna, La Crocifissione, mostra un Cristo visibilmente in sovrappeso, che campeggia al centro del quadro. Sullo sfondo, imponenti grattacieli e assorti passanti. È Gesù in croce, senza dubbio. Ma a Central Park.

Non è blasfemia, né irriverenza. L’artista non vuol muovere provocazioni di nessun genere, piuttosto desidera dare un volto alla sofferenza. Non certo al martirio, si badi bene, ma a quel subdolo e sordo dolore che attanaglia le viscere dei più. Soprattutto oggi, soprattutto adesso.

E così vigili e gendarmi, uomini in giacca e cravatta e donne vestite di rosso affiancano gli apostoli e la Madonna, San Giuseppe e le Pie Donne. Le tele dell’artista si aprono ad una frenetica danza di tempo e spazio, lasciando attoniti critici e visitatori.

Curioso. Affascinante. Sbalorditivo. D’altronde si tratta di arte, quindi tutto è concesso.

Ma come ignorare le rotondità di Maria Vergine, l’innegabile grassezza di Giuda e persino l’obesità di Gesù Cristo? Eppure, nessuno fra gli osservatori, inorridito alla vista dei dipinti, si è guardato bene dall’avvicinarli. Nessuno si è preso gioco di un discepolo di taglia extralarge né di una guardia con qualche chilo di troppo. Al contrario, molti ne esaltano le curve, la sinuosità, la bellezza.

Visi rubicondi e braccia ben tornite soppiantano corpi emaciati e zigomi sporgenti: del resto non è solo la fame a far soffrire, oggi più che mai. Nondimeno, ci ostiniamo ad associare il disagio alla magrezza, mentre lasciamo la giovialità ai simpatici ometti paffuti che da decenni popolano i film d’animazione.

Ed ecco che Botero infrange prepotentemente ogni schema, libera la sua arte da ogni preconcetto. Ed ecco che ci si abbandona alle mille interpretazioni che conducono quasi a una riflessione sociologica.

Certo, siamo ben lontani dagli slogan pubblicitari lanciati da modelle curvy in pose provocanti. Le tele del nostro artista non gridano grasso è bello, mostrando generosi decolté e fianchi robusti, niente affatto. Non si tratta della rivincita delle taglie forti, ma del sovvertimento di un radicato e pericoloso pregiudizio. Un pregiudizio che anche nell’arte ha trovato terreno su cui coltivarsi, ma che in questo caso sovverte ogni regola, rendendo leggiadro ciò che per convenzione è goffo. Una rivoluzione che ha origine sin dall’inizio della produzione di Botero, da sempre all’avanguardia nonostante un’attività che dura da decenni. Un sovvertimento senza paragoni, che rompe ogni schema. Cosa accadrebbe se accanto alle figure longilinee e filiformi di Modigliani, inserissimo la paffuta Maria Vergine del Botero? O se sdraiata vicino alle provocanti donne di Schiele, immaginassimo la ‘Ballerina alla sbarra’? L’idea del bello, dell’aggraziato, del ‘leggero’, va ad associarsi come in un ossimoro colorato alle produzioni di un’artista che, come un Picasso delle rotondità, smuove l’occhio e le coscienze di chi osserva. Anche a sua insaputa.

Giorgia Medici

Gaia Stella Trischitta