Un ponte che divide

Il ponte in teoria è un qualcosa che unisce, ma c’è invece un particolare ponte che divide. Stiamo parlando del ponte sullo Stretto di Messina, opera definita strategica e di importanza nazionale per il nostro Paese. 3360 metri, ancora da costruire, che dal ’68 hanno scatenato un’infinità di discussioni.

Ebbene sì, è dal ’68, da quando si è indetto il concorso internazionale di idee, che è cominciato tutto. Anzi, si comincia a pensare al ponte sullo Stretto già dall’Unità d’Italia, ma ci vorrà  un secolo affinché si arrivi a qualcosa di “concreto”. Dopo il concorso, nel ’71 è stata approvata la legge che decide che il ponte è di interesse nazionale. Dopo questa fatidica data solo progetti vari dei principali gruppi privati ma niente che smuovesse la situazione. Nell’81 nasce lo Stretto di Messina S.p.a con azionari al 51% l’IRI e al 49% FS, ANAS e le due regioni, Sicilia e Calabria.

Così, con il governo Craxi nell’ ’85, parte l’operazione ponte sullo Stretto senza però avere  ancora un’idea della tipologia di ponte da progettare, alla fine si arriva alla conclusione che si costruirà un ponte sospeso a campata unica lungo 3360 metri, il ponte più lungo del mondo.

Così, nel dicembre del ’92, il presidente della società  Stretto di Messina consegna il progetto di massima del ponte e da qui passeranno altri 10 anni di varie discussioni ed esami fino ad arrivare ai nostri giorni.

E così tra varie vicissitudini adesso la realizzazione del ponte sembra proprio una cosa effettiva, almeno sulla carta. Il Presidente del Consiglio ha dichiarato che si farà e che rientra tra le opere strategiche da realizzare.

E così sono cominciati anche i più duri dibattiti: il Paese è diviso.

I favorevoli sono convinti che il ponte sullo Stretto rappresenti un grande momento di sviluppo per il Mezzogiorno,  anche per il sistema ferroviario visto che si completerà l’opera di alta velocità; porterà un miglioramento del sistema di comunicazioni, il rilancio del turismo, del commercio, e porterà una ripresa dell’economia con un conseguente abbattimento dei livelli di disoccupazione.

In tutto questo c’è anche forte e ampia la campana del no, che trova tra i suoi sostenitori anche il WWF, Legambiente, la CGIL, tutti convinti che questa sia solo un’opera faraonica e che comporterà un’enorme dispendio di denaro.

Tra l’altro bisogna anche considerare l’impatto ambientale visto che il ponte comporterebbe una trasformazione dell’intero paesaggio, sarebbe inoltre un’opera che porterebbe attrazione per un breve periodo come tutte le grandi opere, ma poi i cittadini messinesi  si ritroverebbero come sempre con nulla in mano e con una situazione sempre ferma.

Il patrimonio per il turismo c’è già in Sicilia, basterebbe occuparsene di più.

Ma, l’aspetto sociale? Nessuno pensa ai cittadini di Torre Faro, della parte in cui si aggancerà il ponte, che si troveranno praticamente espropriati della propria abitazione o dei propri locali di lavoro. Inoltre il blocco di ancoraggio siciliano sarà costruito a pochi metri di distanza dall’unico cimitero presente nella zona di Torre Faro e Ganzirri.

Ed inoltre per i cittadini messinesi, dopo la tremenda alluvione che ha colpito la provincia , non sarebbe più importante ed utile avere delle buone infrastrutture secondarie, come gli svincoli autostradali che sono in costruzione da 12 anni ad esempio, piuttosto che un ponte che comporta un enorme dispendio di soldi che si potrebbero appunto investire in altro modo?!

Il fronte del “no al ponte” non si arrende e nonostante la delibera dello Stato scenderà nuovamente in strada giorno 1 dicembre per manifestare.