La lezione di Enzo Biagi:
un patriottico d’altri tempi contro il “disincanto nazionale” nel 150mo dell’Unità d’Italia
Toponomastica alla mano, l’Italia è fatta di volti e storie che l’hanno costruita nel tempo. Parlare di Unità del Paese, significa quindi capire anche chi veramente ha saputo, nel discreto del proprio vissuto, raccontare agli italiani la propria storia, la propria identità, aiutando a far crescere quel sentimento di appartenenza alla Patria difficilmente comprensibile solo dietro la simbologia di un tricolore.
Un italiano cresciuto con il sogno di raccontare la vita quotidiana per oltre 60 anni dietro la passione del giornalismo ragionato e dal tocco del saggio maestro quasi da libro “Cuore”. Parlare di Unità d’Italia, significa dedicare un ritaglio di memoria a chi alla memoria comune del Paese ha dedicato l’intera vita come Enzo Biagi.
“Ho sempre sognato di fare il giornalista, lo scrissi anche in un tema alle medie: lo immaginavo come un “vendicatore” capace di riparare torti e ingiustizie. Ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo”. Biagi si appresta sin da giovane all’impegno civile che lo porterà a scelte di campo a sostegno della rinascita morale e democratica dell’Italia liberata dal nazifascismo. Tuttavia, tutta la carriera giornalistica sarà caratterizzata da una continua ricerca della verità dei fatti che gli fa ottenere numerosi premi di narrativa, distinguendosi anche nella cura di importanti testate giornalistiche e televisive dove ottiene un notevole successo e viene riproposto in diversi programmi di approfondimento in cui riusciva a raccontare in appena cinque minuti,f atti ed avvenimenti con il consueto tono diretto, pacato e semplice del buon cronista. Ciò non di meno sapeva essere schietto e diretto nell’analisi giornalistica. Basti la citazione (pare di Amendola) di “Cara porca Italia” nel suo libro “Cara Italia”(1998), laddove con orgoglio ricorda che siamo la patria di Dante e Leonardo ma anche di mafia e camorra.
“Ho vissuto e lavorato per i contemporanei – diceva Biagi – e ho preferito la gente vera a quella famosa. Mi ha aiutato il senso del precario, del provvisorio, che mi accompagna dall’infanzia…Sono stato a dacia. Dietro a un filo spinato è stata ritrovata una poesia che dice:
«Morirò domani/ con parole d’amore sulle
labbra./ Nell’alba di una notte d’esilio./ Solo./
Di fronte al cielo indifferente./ Nessuno avrà
saputo la mia fatica./ Per diventare uomo».
Se guardo indietro vedo una vita lunga e fortunata: sono sfuggito a tre infarti, al 1940, al 1943, al 1945.Vedo mio padre, un operaio con la camicia bianca e la cravatta e poi mia madre con il cappellino, e i guanti stretti in mano, io e mio fratello Francesco, vestiti alla marinara.
Penso che in ognuno di noi ci sia una scintilla di eternità: un figlio, un edificio, un campo ben seminato, un quadro, un verso. C’è qualche prete a cui chiedere consolazione: vorrei tanto avere la fede di mia madre, io procedo a corrente alternata”.
Forse Enzo Biagi qualcosa in più in questo frangente poteva ancora dircela. Vedere dove ci porta questa politica, che timidamente pare festeggiare il proprio orgoglio nazionale; uscire dal torpore delle consuetudine istituzionali per un rinato spirito risorgimentale; riscoprirsi tanti giovani Mameli pronti a scrivere parole nuove per l’Italia giunta al suo terzo giubileo, magari, rifugiandoci con lui nell’appennino bolognese, dove da partigiano immaginava l’Italia del domani, libera, giusta e solidale. Un italiano che non ha certamente bisogno di riconoscimenti ma che nel racconto della sua Patria sapeva dare il giusto posto a uomini come Salvo D’Acquisto, brigadiere dei carabinieri, che si fa ammazzare, incolpevole, per salvare la gente che ha il compito di proteggere.
“Non credo che gli italiani siano razzisti – scriveva Biagi – invidiosi, violenti, qualche volta cretini, può capitare, ma fanatici, intolleranti e programmaticamente crudeli, no!”
Sfogliando gli scritti e rileggendo le vicende umane e professionali di Enzo Biagi, non ci vuole molto a capire che lo scrittore bolognese è stato una persona ammodo e distinta. Dentro la lettura della storia dei suoi saggi rivivono le eccezionalità del nostro Paese. Uomini che fieri dell’impegno civico ed etico hanno segnato in positivo il travaglio dell’Italia in tutti i campi e nella propria storia nazionale.
Come un “cuntastorie”, la figura del cronista, dell’anima terza che osserva il dispiegarsi degli italiani, Biagi è profondamente legato alla sua terra. I valori della lealtà, dell’onestà intellettuale, della coerenza e la fedeltà ai principi della Resistenza, mai abbandonati dal conduttore televisivo durante la sua vita. Valori che sono stati alla base della scrittura della Carta degli Italiani – la Costituzione – e che hanno animato l’Italia negli anni successivi alla disfatta della guerra e dell’umiliazione tedesca.
Scegliere Biagi per raccontare il cuore pulsante dell’Italia unita significa, quindi, riportare in vita i moti interiori che hanno mosso intere generazioni dapprima nell’Italia risorgimentale di Mazzini, Garibaldi, Cavour e Gioberti (politicamente distinti ma uniti dall’ideale unitario), passando per gli anni difficili della cosidetta “Legenda del Piave”, momento storico a compimento della liberazione dallo straniero austriaco e della successiva rinascita democratica post-fascista. Parlare di Biagi, significa anche ripercorrere gli anni ideali di un giovane italiano promesso alla dedizione e al dovere, alla manifestazione di adesione convinta ai simboli della coscienza comune degli italiani, senza se e senza, ma anche a costo di sembrare di parte o meglio di essere “partigiani”.
Sul significato della Memoria ed in genere della partecipazione della società civile all’affermazione dei valori della democrazia e della cultura italiana, nelle sue opere Biagi sembra richiamare ciascuno al proprio amor patrio con importanti risposte al momento storico in cui lo stesso scrittore vive.
Sul tentativo da più parti di riscrivere gli eventi in funzione di un proprio tornaconto politico, Biagi afferma come “la condotta, pubblica e privata, a volte cozza con il buon senso, viola l’etica e c’è il tentativo, errato, di riscrivere la storia dei partigiani che hanno liberato l’Italia dall’occupazione nazifascista donando alle generazioni future la libertà”. A proposito di memoria. Se questa viene meno in un Paese, i suoi cittadini rischiano di cadere in una crisi di identità, con gravi conseguenze sullo sviluppo della stessa nazione. Ogni giorno l’essere umano è chiamato a resistere affidandosi alla parola che, assieme all’ascolto, rappresenta una fonte inesauribile per la democrazia.
Enzo Biagi non è più con noi ed in questo centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, assieme a lui mancano all’appello molte personalità che oggi ci avrebbero accompagnato a comprendere meglio il valore storico e nazionale della festa di tutti gli italiani.
Nel messaggio di cordoglio giunto ai familiari di Biagi il giorno della sua scomparsa, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitiano, riassumeva con queste parole il sentimento delle istituzioni repubblicane nell’omaggio al maestro bolognese:
«Egli ha rappresentato uno straordinario punto di riferimento ideale e morale nel complesso mondo del giornalismo e della televisione, presidiandone e garantendone l’autonomia e il pluralismo. Il suo profondo attaccamento, sempre orgogliosamente rivendicato, alla tradizione dell’antifascismo e della Resistenza lo aveva condotto a schierarsi in ogni momento in difesa dei principi e dei valori della Costituzione repubblicana. L’amore per l’Italia e la conoscenza della storia nazionale avevano ispirato la sua opera di scrittore e le sue indagini nel vivo della realtà italiana».
E’ sua infatti, l’intuizione della “Nuova storia d’Italia a fumetti”, opera dai grandi successi che ha aiutato i più giovani a leggere assieme l’Italia dai Romani ai giorni nostri. Ora che non c’è più e nell’omaggio che anche noi vogliamo fare come italiani a chi l’Italia l’ha amata davvero (tutta intera) facciamo nostro il desiderio di Enzo Biagi, di rimanere come un saggio vivente ad attenderci nell’intima sua dimora di Pianaccio. Come scrisse lo stesso Biagi, quasi a lasciarci il messaggio forse più bello della sua vita (la semplicità e la sobrietà dell’impegno civile e l’adesione totale all’ideale di nazione) anche noi vogliamo ripensare al “posto delle fragole” che Biagi amava riprendere figurativamente da un film di Ingmar Bergaman, dove il personaggio ormai vecchio, ripensa alla propria esistenza.
“Quel bosco, quei sentimenti: devo ritrovarli. Io ho in mente l’albero dei fiori bianchi, dietro la casa, a Pianaccio: un ciliegio selvatico che faceva frutti dolcissimi e gli volavano attorno nugoli di merli golosi. Vuol dire mio nonno Marco, il suono delle campane, le veglie d’inverno, i mercanti di maialetti e di pignatte con il biroccio, le processioni, la festa del Santo protettore, i funerali con le donne che cantano: «Miserere nostri, Domine», e non sanno che cosa vuol dire. Eccomi, sto tornando!”