Siamo abituati a sentirne parlare ma la consideriamo una realtà lontana, qualcosa che non può intaccare le nostre vite perfette, che non può riguardare i nostri fratelli e sorelle, i bambini o gli adolescenti che crescono intorno a noi e che ogni giorno si rapportano con una società sempre più selettiva e senza scrupoli pronta a tagliarti fuori da qualsiasi cosa a seconda del tuo corpo, del tuo peso: tutti la conosciamo, l’anoressia. Siamo talmente assuefatti alle immagini che ci vengono proposte che non ci rendiamo conto di quanto la psicologia di un adolescente, maschio o femmine che sia, possa essere influenzata da standard di “bellezza” così elevati da sembrare inarrivabili e far sì che nessuno riesca ad accettarsi per ciò che è. Ero talmente abituato anch’io a questi discorsi da non rendermi conto che il problema è vero, esiste, è tangibile e riguarda la nostra vita. Forse perché non ho avuto un’esperienza personale, diretta o indiretta, o perché sembra un mondo così lontano da noi, non mi sono mai reso conto di quanto l’anoressia e la bulimia possano essere devastanti, di quanto profondamente siano radicate all’interno del “sistema” e della nostra realtà. Lo scorso anno, uscito dalla sala cinematografica in cui la Mostra del Cinema dello Stretto proiettava i cortometraggi realizzati da ragazzi di molte scuole della città e del Paese, un bellissimo lavoro dal titolo “Una mela al giorno” mi ha dato molti, moltissimi spunti di riflessione. Sì, un cortometraggio di soli quattordici minuti e girato da ragazzi di una scuola superiore è stato in grado di scuotermi più di tante trasmissioni televisive in cui si parla del tema generalizzandolo e ci si nasconde sotto lacrime ipocrite o critiche a un modello che viene ampiamente appoggiato pochi secondi dopo con stacchetti musicali di ragazze dal fisico perfetto. Vito Palumbo e i ragazzi del Convitto Nazionale “D. Cirillo” di Bari, invece, non si nascondono e le parole del regista barese sono ben chiare: “volevo che si mostrasse il mostro per quello che è, senza alcun tipo di censura in modo che facesse paura”.
“Una mela al giorno” (visibile al link seguente http://vimeo.com/7883389 e andato in onda lo scorso 9 aprile su Coming Soon Television) ha come protagonista Alice, una ragazza delle scuole superiori che, come le sue compagne, crede di essere grassa, non mangia ed è terrorizzata dalla possibilità di ingrassare, sia perché, come dice una delle tante frasi che durante la pellicola appaiono tra le scene, che “fino a quando sarò grassa resterò l’essere più disgustoso e inutile a questo mondo e non meriterò il tempo e l’attenzione di nessuno”, sia perché non vuole sentirsi ridicolizzata e insultata dai suoi compagni di classe per il suo peso. A scuola, infatti, alla prima occasione utile, i banchi verranno spostati ai margini in modo tale da creare spazio al centro per cominciare un gioco perverso che vede coinvolte tutte le ragazze in una sorta di sfida al raggiungimento dei quaranta kg. “La felicità è nei 40, ve lo dico io che ci sono passata prima di voi, fidatevi” dice l’unica tra le compagne di scuola che non partecipa al gioco, perché è la più magra e ha il controllo di tutti. Il peso dell’ultimo “rilevamento” di ognuna viene segnato sulla lavagna e a turno le ragazze sono costrette a salire sulla bilancia. Gli insulti di tutti verso chi ingrassa sono intervallati dalla gioia di chi è riuscito a perdere peso, una vera e propria conquista dopo tutti i sacrifici fatti e l’attenzione rivolta a ogni singola caloria. “Perdere peso è bene, prendere peso è male” è un’altra della frasi che appare come fosse un vero e proprio comandamento di Ana e tratta dal decalogo di uno dei siti a suo favore. Il gioco, però, avrà un epilogo terribile: Alice, infatti, non riuscirà a salire sulla bilancia perché, tenendosi lo stomaco, correrà verso i bagni della scuola e finirà per accasciarsi al suolo, stroncata da un infarto. Ironia della sorte, Alice morirà a 16 anni proprio nel giorno in cui avrà raggiunto i 40kg di peso, a dimostrazione che quello che doveva dargli la felicità tanto sognata le ha portato soltanto la morte. La frase finale, l’unica priva di sfondo nero e con la telecamera che indugia sul cadavere della ragazza, è il messaggio che i ragazzi hanno voluto lanciare: “l’anoressia nervosa è la prima causa di morte tra le adolescenti”. Non si scherza con la salute, non si gioca con la morte.
La scelta di mostrarci la morte della protagonista, gli attimi durante il quale perde la vita e il suo cadavere esaminato dai medici, è stata tanto apprezzata quanto criticata come racconta lo stesso Vito Palumbo, regista e ideatore dell’opera proposta ai dirigenti del “Cirillo” nell’ambito del progetto “ciak si gira” e subito ben accolta da ragazzi e professori: “sia i ragazzi che i docenti hanno subito accettato di realizzare qualcosa sul tema dell’anoressia, dopo aver fatto altri laboratori proprio in quell’anno. Ha riscosso delle critiche positive e negative, quelle negative giocavano sul fatto che il cortometraggio è molto crudo e quindi, secondo alcuni, non è adatto ad un pubblico di ragazzi sedicenni o quindicenni. Io non sono d’accordo sia perché in televisione vediamo molto di peggio, secondo il mio punto di vista, sia perché secondo me i ragazzi devono vedere quello a cui vanno incontro, per questo alla fine ho mostrato il cadavere di una ragazza morta. Penso che bisogna vederla in faccia una cosa del genere perché probabilmente spesso i giovani non sanno cosa li aspetta, quindi vederlo con i propri occhi può servire”. Per Vito il suo cortometraggio potrebbe aprire gli occhi agli adolescenti che vedono nell’anoressia o nella bulimia non una malattia ma quasi un gioco, a cui aggrapparsi per sentirsi compresi e inseriti in un gruppo o nella società: “se tu dici a un ragazzo che può morire perdendo peso lui, probabilmente, la vede come una cosa molto lontana. Magari hanno anche altri amici che lo fanno tranquillamente e da più tempo quindi la vedono come un’ipotesi molto remota la possibilità del decesso. La morte è l’ultimo dei problemi, è solo l’apice, ci sono tante problematiche ‘minori’ che possono sopraggiungere: molte ragazze anoressiche perdono i capelli, non hanno più le mestruazioni, hanno disfunzioni ormonali molto gravi. La morte è l’estremo, ma c’è, è possibile”. Ai temi già citati si aggiunge un altro importante tassello intorno a cui ruota la trama del film, costituito dai numerosissimi blog in cui molti giovani di tutta Italia si scambiano consigli su anoressia e bulimia, sostenendosi a vicenda e osservando alla lettera molte regole: “quando scoprii i blog pro-Ana mi shockarono. Mi shockava il fatto che si parlava di Ana come di un’amica, come fosse l’amica del cuore. Ana, l’anoressia, e Mia, la bulimia, non sono dei mostri, delle malattie vere, ma delle persone, delle amiche. È questo che mi ha shockato tanto. Inoltre c’è quasi un senso di appartenenza e mi ricordo che c’era scritto di non registrarsi al sito per criticare. Era sentirsi parte di qualcosa, è assurdo: si parlava come fosse una moda, come fosse una canzone o un film ma si parlava di una malattia grave”. Se poniamo l’accento sul fatto che la gran parte del cast del corto è fatto da studenti di scuola superiore non possiamo che dare maggior valore all’intera opera e al lavoro svolto da Vito e dai ragazzi, soprattutto considerando la tematica affrontata e l’impatto che questa può avere nella vita di tutti i giorni soprattutto a questa età. “C’era molto interesse”, continua Vito, parlando proprio del modo in cui i protagonisti hanno affrontato il tema, “un po’ di più da parte delle ragazze. Si sono informati, hanno fatto delle ricerche, tutto al fine di sviluppare una sceneggiatura. Si sono impegnati molto. Alcune ragazze l’hanno sentita un po’ di più perché, non ci nascondiamo, il problema è presente. Forse alcune ragazze che hanno preso parte al cortometraggio hanno toccato con mano il problema o conoscono qualcuno che c’è dentro quindi erano molto sensibili tutti i ragazzi”.
Un cortometraggio come “Una mela al giorno”, fatto da ragazzi per ragazzi e con una visione così drastica ma terribilmente vera di quel mostro chiamato anoressia, può aprire gli occhi e fungere come una sorta di pubblicità progresso contro questo male che causa così tanti decessi e problemi di ogni tipo? O la “crudezza” delle immagini non lo rendo adatto ad essere visto da bambini e ragazzi ancora minorenni? Con tutto il marcio che c’è in tv, come ha detto Vito, non penso che ci si possa scandalizzare per la vista della morte, anzi, in questo caso, il cadavere in bella vista è giustificato dallo scopo che Vito e i ragazzi del Convitto di Bari si sono prefissati. L’anoressia è reale, il male è reale, la morte è reale e il rischio che tutto ciò possa succedere a qualcuno che amiamo è più grande di quanto pensiamo. Forse la paura, per una volta, può essere utile a salvare qualcuno.