E mentre Martedì 15 Aprile , alla 17.30 presso la Sala Ovale del Comune di Messina, inizia l’avventura del laboratorio dei beni comuni e delle istituzioni partecipate con l’incontro tra l’Assessore delegato, Daniele Ialacqua, le circoscrizioni comunali ed i loro Presidenti, al non nascosto fine di portare anche a Messina l’esperienza della democrazia partecipata alle decisioni amministrative che tanto successo ha già da tempo avuto in altre città (Bologna, Napoli, Roma ecc.), noi continuiamo il nostro percorso sugli aspetti più controversi di questa nuova filosofia del bene comune ad interesse collettivo.
Ma prima bisogna precisare subito che le interviste realizzate in quella occasione avevano alla base un convitato di pietra. Un fatto, un accadimento come è stato la presa di possesso della casa del portuale di Messina da parte del collettivo del Teatro Pinelli che, a prescindere del pur rilevante fatto politico, pone il suo accento sulla legittimità “ della pubblica amministrazione” d’abbandonare i suoi beni pubblici.
Come molti lettori ricorderanno, i ragazzi del Teatro Pinelli si trovarono una prima volta a detenere senza “titolo” i locali dell’ex Teatro in Fiera, immobile pubblico abbandonato e in disuso da anni. Poi, dopo essere stati buttati fuori dalle forze dell’ordine, procederono con un altro immobile pubblico abbandonato da decenni, la “casa del portuale”, su cui muri esterni ancora si può vedere l’imprimatur di BLU. Famoso artista della Street Art che ha donato alla città una bellissima opera d’arte che per il solo fatto di essere stata realizzata lì, ha valorizzato e restituito nuova vita ad una zona grandemente degradata della città.
Cosa pensa dei beni Comuni ?
“Siamo nel mezzo di una rivoluzione socio –culturale, risponde la Consigliere Daniela Faranda del NCD, della quale non ci siamo ancora resi conto. Ho letto parecchie cose già quale Presidente della Commissione Consiliare per i Beni Comuni e sono per la riqualificazione dei beni” .
Pur essendo stata defenestrata dalla carica di Presidente della Commissione Consiliare, per le pressioni dei suoi ex colleghi di partito, rimasti con Berlusconi e FI, che hanno preteso e preso la Presidenza con l’aiuto di un “inciucio” col PD alla cui base vi era la minaccia, avvalorata dalla forza dei numeri in Consiglio Comunale, di provvedere alla modifica del Regolamento Comunale in materia di nomina dei Presidenti di Commissione, la Faranda non ha perso l’occasione di tirare le orecchie ai ragazzi del Pinelli e mentre nel suo intervento pubblico dichiarava di averli ringraziati, fuori dai riflettori precisava. “Ho visto peraltro che al convegno sono presenti alcuni attori e relatori come i rappresentanti del collettivo del Teatro Pinelli (il cui intervento era previsto di pomeriggio) ed è certo che il metodo non può essere l’occupazione che è solo un metodo per attirare l’attenzione… Per beni comuni, continua la Consigliera, s’intendono tutti quei beni che sono di tutti i cittadini. Quindi i beni immateriali (acqua, aria ecc. ) però è chiaro che io ho una visione un po’ diversa dalla “costituente” o da quei giuristi come Rodotà e Mattei e pur avendo lo stesso obiettivo, cioè la fruizione di tutti i beni comuni, è il metodo che non va bene perché deve essere regolamentato. Perché pur non abusando del termine “comune” deve emergere il rispetto delle regole… molti di questi beni si sono evoluti”.
E’ chiaro che dopo l’apprezzamento sui ragazzi del Pinelli non ci siamo fatti scappare l’occasione di girare la domanda a Luigi Sturniolo, il consigliere di CMdB, a cui l’amministrazione Accorinti ha affidato il compito politico di guidare il Laboratorio dei Beni Comuni insieme all’Assessore delegato.
Davanti ad un bene abbandonato dobbiamo aspettare il riconoscimento che di esso ne può dare il diritto prima di legittimare l’azione di chi ha già in uso quel bene (casa del portuale) ?
“Penso che debba essere recuperato direttamente dalla città, dice il Consigliere Sturniolo, il diritto può anche essere innovativo ma di solito tende a definire degli equilibri e delle pratiche sociali date, già presenti nella società. Quindi il diritto riconosce o dovrebbe riconoscere le pratiche che già ci sono, in questo senso anche il Prof. Maddalena parla dell’articolo 42 della costituzione e della funzione sociale che la proprietà dovrebbe avere. È evidente che nel momento in cui un bene in disuso perde la sua funzione sociale, può acquistare legittimità d’uso attraverso chi con l’utilizzo di quel bene accresce o soddisfa bisogni fondamentali (ad es. il diritto abitativo) oppure arricchisce la città o un territorio”.
Anche in questo caso, prima di procedere, dobbiamo fare una precisazioni; l’ Art. 42 della Costituzione si riferisce solo alla proprietà privata ed è solo ad essa che il costituente richiede il requisito della funzione sociale (La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti art. 42 Cost.). Per la proprietà pubblica, invece, il costituente non ha avuto bisogno di specificare alcunché proprio perché il suo “interesse” pubblico esclude a priori che possa essere finalizzata ad un interesse non sociale. O almeno questo è quello che risulta dal dato normativo, ciò non toglie che l’abbandono di un bene privato o pubblico che sia possa essere “sopportato” dalla colletività. Se a questo uniamo che la Costituzione parla solo di proprietà pubblica o privata, possiamo meglio apprezzare le conclusioni che sul bene comune fornisce il sito del Comune di Napoli che ha già da tempo attivato il suo osservatorio su beni comuni (Si ritiene che, laddove i beni, anche in proprietà privata, siano abbandonati e perciò non assicurino quella funzione sociale per cui il diritto di proprietà è riconosciuto e garantito dalla legge, sia possibile ritenere non più sussistente il diritto di proprietà e, dunque, acquisire il bene stesso alla collettività, ritenendolo un bene comune, ossia un bene oggetto di proprietà collettiva);
In assenza della figura giuridica del bene comune ad interesse collettivo, l’occupazione di un bene pubblico abbandonato e che quindi non rispondere alla funzione sociale ex articolo 42 Cost. giustifica o non giustifica l’occupazione ?
“Non è tanto giustificare l’occupazione, continua il Consigliere, le pratiche sociali si legittimano sulla base del riconoscimento sociale che hanno. Se occupo un luogo disabitato e non utilizzato e la mia azione-occupazione nell’utilizzare il bene ottiene un consenso sociale, perché ad esempio le persone del quartiere ne riconoscono la sua funzione sociale. Come un gesto anche proprio il fatto stesso dell’occupazione attraverso l’acquisizione del consenso ne acquisisce la legittimità. È chiaro che il laboratorio tende a riconoscere questo dato di fatto che è già presente nella società. Sul Temi dei beni comuni ci vuole una nuova scrittura del diritto. In questo campo molti stanno lavorando e vorrei sottolineare che il lavoro non consiste nell’invenzione di un nuovo diritto ma è un lavoro di ricostruzione di norme e di giurisprudenza che già esiste, le quali messe tutte insieme queste disposizioni possono dare vita a un Codice dei beni comuni. Un altro elemento, che voglio sottolineare è che le cose comuni nella società si danno già, esistono già e bisogna solo riconoscerle. Per esempio la conoscenza che viene prodotta in rete cos’è se non (bene) comune? Chi può dire è mia?
Esiste il concetto di una cultura privata differente dal concetto di cultura pubblica?
ll Comune viene indicato, soprattutto dal giurista Ugo Mattei, come una categoria indipendente rispetto al pubblico e privato, io invece penso che la categoria del Comune sia dentro il privato che dentro il pubblico e nel pubblico vi è più comune che nel privato. Questo vuol dire che la difesa del pubblico é funzionale alla salvaguardia dei beni comuni. Ad esempio su molti bisogni fondamentali, sanità istruzione trasporti e comunicazione è chiaro che attraverso la difesa del pubblico (rispetto alle privatizzazioni) si salvaguardano anche questi beni comuni. Quindi, questi beni comuni possono essere beni la cui caratteristica rimane pubblica, poi se sono beni comuni statali o sono solo beni comuni non dipende solo dalla proprietà ma dipende dal modo in cui vengono gestiti e cioè di meccanismi partecipativi che vi sono alla base. Ad esempio, una clinica di un ospedale se è privata sicuramente non sarà mai comune, se è pubblica può essere comune se è gestita con meccanismi partecipativi dagli utenti, dei pazienti, dei dottori e dei lavoratori che partecipano alla gestione. Rimarrà “proprietaria” se, invece, è gestita in modo padronale dal primario o dal direttore generale.
Pietro Giunta