Una recrudescenza mafiosa che puo’ sfociare in scontro cruento

Stiamo vivendo una fase delicatissima nella lotta alla mafia. È in atto una recrudescenza mafiosa che ha nel mirino gli uomini in prima linea nel contrasto alla criminalità organizzata e le istituzioni. La serie di messaggi intimidatori a magistrati calabresi e siciliani, come pure la notizia di summit e piani omicidi fanno parte di una strategia della tensione che rischia di sfociare in uno scontro cruento con lo Stato.

In questi ultimi tempi si sono verificati fatti e vicende che vanno letti all’interno di  una visione più ampia: l’escalation di attentati intimidatori nei confronti dei procuratori Salvatore Di Landro, Giuseppe Pignatone e dei loro colleghi della procura reggina; le lettere di minacce ricevute dal procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari; l’accertamento della presenza di uomini dei servizi segreti nei luoghi delle stragi di mafia del 1992; il rifiuto da parte del governo di non concedere al pentito Gaspare Spatuzza il programma di protezione; la scomparsa dall’archivio del tribunale di Palermo dei tabulati delle telefonate tra il boss dell’Arenella Gaetano Scotto e agenti dei servizi segreti.

Le mafie dopo un lungo periodo di silenzio e inabissamento hanno deciso di uscire allo scoperto e scontrarsi a viso aperto con lo Stato. Una scelta di questo tipo si è sempre rivelata controproducente agli interessi mafiosi perché ha provocato la reazione dello Stato. Allora per quale motivo aprire un fronte così rischioso?

La lotta alla mafia ha visto due svolte sostanziali. Da un po’ di tempo a questa parte non solo in Sicilia e non solo Cosa nostra ha subìto duri colpi, ma è stata colpita anche la ‘Ntrangheta in Calabria e nel Nord del Paese. Una mafia, quest’ultima, che aveva vissuto indisturbata per molti anni e che ha proliferato affari nel traffico di stupefacenti e negli appalti,  tanto da espandere il proprio potere oltre i confini nazionali.

Dall’altro lato le indagini sulla trattativa mafia-Stato, sulle stragi e sulle collusioni mafia-politica hanno avuto una notevole accelerazione. Grazie al prezioso lavoro dei magistrati e degli inquirenti emergono trame e responsabilità più chiare e nitide: è innegabile che la strategia stragista in cui persero la vita Falcone e Borsellino rispondeva ad un livello superiore di quello mafioso militare. Inoltre, in una situazione di instabilità e vuoto politico la mafia aveva la necessità di individuare nuovi interlocutori.

Oggi come allora corriamo un pericolo altissimo. I provvedimenti del governo e il clima d’odio contro i giudici, fomentato da Berlusconi, screditano le istituzioni e rendono vulnerabili quanti si battono contro la mafia, per la legalità. Il governo la smetta di attaccare i magistrati e di caldeggiare leggi che la giustizia e la lotta alla criminalità organizzata: il disegno di legge che limita l’utilizzo delle intercettazioni, grazie alle quali ogni giorno vengono arrestati decine di mafiosi; lo scudo fiscale che ha consentito il rientro dei capitali dei boss in pieno anonimato; il processo breve che accorcia i tempi della prescrizione.

La politica deve dare segnali forti di sostegno all’azione repressiva dei giudici e agli uomini delle forze dell’ordine con scelte nette e rigorose, come l’espulsione dai partiti di persone colluse e il sostegno a provvedimenti utili alla lotta alla mafia.

Serve a poco l’invio dell’esercito. Bisogna abbandonare la reazione propagandistica e passare dall’antimafia del giorno dopo all’antimafia del giorno prima, fornendo alle procure le risorse umane per rimpolpare le piante organiche ridotte ai minimi termini  e i mezzi e gli strumenti di cui necessitano per condurre le indagini.

Sul capitolo stragi, inoltre, la politica deve essere pronta ad affrontare le più amare e terribili verità per fare giustizia e dare credibilità alle istituzioni.

 

Giuseppe Lumia