Una rivoluzionaria a Teatro

Salernitana di nascita, bolognese d’adozione e con la famiglia divisa tra Milano e Venezia. Raggiungo telefonicamente Tiziana Di Masi, bravissima attrice che ha scelto un’altra cifra stilistica per i suoi spettacoli, a testimonianza che in Italia è ancora possibile, per fortuna, andare oltre, superare gli steccati di genere e i clichè dell’ostentazione del corpo femminile come unica fonte per soddisfare la passiva e pruriginosa fantasia degli uomini. E’ per questo che parto da Tiziana Di Masi, parto da una donna per indagare il rapporto fra arte e potere, fra arte e mondo dell’informazione giornalistica vista soprattutto in chiave televisiva. Solo apparentemente due mondi distanti.

La tv di stato ci ha sempre più abituati a un certo tipo di programmazione, impegnata com’è a inseguire le logiche della tv commerciale. Questo ha determinato una distanza notevole fra artisti e fruitori. Qual è la tua opinione?

Quelle che indichi sono realtà complesse con diverse chiavi di lettura. Per me l’artista deve riuscire a comunicare una verità e una urgenza e può farlo attraverso molti modi: con la letteratura, con la poesia o con  la musica e comunque cercando di eliminare la barriera, la distanza fra realtà e capacità dello spettatore a fruire della realtà. Il problema è che per affrontare la realtà, per indagarla ci vogliono cultura ed educazione a cui spesso lo spettatore non è stato abituato, per cui poi finisce col percepire la cultura come qualcosa che non lo riguarda: non si sente parte della vita politica del nostro paese; non si sente protagonista, ma spettatore, finendo per fruire in modo passivo dell’arte.

Quando questa logica è ribaltata, quando è lo spettatore a essere al centro del discorso artistico, quando si trova immerso dentro uno spettacolo allora questa è una rivoluzione. Il mio spettacolo “Mafia in pentola” che tocca da vicino ciò che mi sta particolarmente a cuore, come i temi della legalità, nasce proprio da questa mia necessità, nasce dalla volontà di ritrovare un senso di formazione e informazione partendo dalla nostra quotidianità.

L’attore di teatro civile cerca di creare un collante fra cittadini e politica e lo fa quando porta in piazza i suoi spettacoli, spesso accolti anche con una certa indifferenza. Ecco, è come fare un invito al pubblico, un  “proviamo a fare insieme questo percorso, riflettiamo insieme” il mio compito è di sensibilizzare, dal basso, senza presunzione, con umiltà.

I social network hanno davvero allargato il campo delle informazioni in nostro possesso? E con quale risultato?

I social network hanno due aspetti, uno positivo e uno distruttivo. Da una parte io credo di sapere, io so determinate cose: ma prendere coscienza è altra cosa. Per prendere coscienza c’è bisogno di arrivare al cuore di una informazione. Questo mondo virtuale che sembra che ci apra a mille prospettive in realtà ci lascia sempre soli, siamo soli davanti a un’emozione, alle immagini di gente che muore, alle scene di guerra, ai bambini ammazzati. Davanti a tutto questo noi siamo soli. Ecco, fino a quando l’informazione non passa attraverso un’emozione la sfida è persa. Succede anche a me di trovarmi a fruire di informazioni in modo non emozionale. Ma se io non provo emozione, se l’informazione non arriva fin dentro il profondo, come faccio ad agire? E’ per questo che io credo nel potere rivoluzionario, nella potenza del teatro, perchè è attraverso il teatro che si aprono i canali emozionali. Bisognerebbe ricordarsi che per essere cittadini non bisogna essere eletti in nessuna lista, lo si è naturalmente. Bisognerebbe avere la capacità di porsi delle domande e non dire sempre solo si; per partecipare alla vita politica basta solo domandarsi, chiedersi il perchè delle cose. Quindi che ben vengano i social network, ma se si pretende che il virtuale sia esaustivo della comunicazione di per sé, allora è un fallimento totale.

Guarda, per dirti della potenza della parola teatrale, ero in provincia di Milano quando subii delle minacce dai mafiosi. In teatro riportai delle notizie su questa famiglia mafiosa che erano ovunque: sui giornali, nei tg, su internet, ovunque. Ma loro si arrabbiarono con me perche avevo osato denunciarli davanti a un pubblico teatrale. Rimasi colpita, poiché questa famiglia mafiosa era anche abbastanza ignorante, eppure ha percepito la pericolosità del messaggio veicolato attraverso il teatro. Perchè in teatro, a differenza dalle valanghe di informazioni da cui siamo inondati dai mass media,  la testimonianza è in carne e ossa, con la propria faccia. Anche perchè il pubblico, una volta uscito dal teatro, parla. Parla con altri e quella piccola fetta di comunità veicola ad altre persone in modo emozionale quello che ha visto sul palcoscenico. Questo è  il valore proprio della testimonianza.

Per tornare alla logica della tv, il messaggio che lancia è veloce, immediato, diretto, senza mediazione. Quello che provo a fare io ha le stesse caratteristiche ma deve essere anche capace di fare pensare. Il mio vuole essere un invito a divenire comunità, è più una proposta che un’imposizione che, altrimenti, finirebbe per orientare e divenire un messaggio dittatoriale.

Arte e potere. In ogni società questa vicinanza è sempre una minaccia per la libertà, d’informazione soprattutto. Perchè tocca così spesso agli artisti il compito di informare?

Guarda, i miei spettacoli nascono sempre da inchieste giornalistiche dalla cui struttura io traggo l’impalcatura dei miei spettacoli. Il mio spettacolo, Voce alle parole, ha per tema proprio i giornalisti. Il buon giornalismo c’è, richiede uno straordinario impegno e coraggio. Richiede coraggio perchè non c’è più un giornalismo vero, quello che c’è è un giornalismo di parte che il più delle volte non riesce ad affrontare i temi che davvero possono cambiare il modo di percepire la realtà, di indagarla. Perchè sono temi scomodissimi, pericolosissimi. I protagonisti del mio “Voci alle parole” sono persone sotto scorta che hanno subito minacce. Parlo di Arnaldo Capezzuto, giornalista sotto scorta perchè ai tempi affrontò tutta la vicenda di Annalisa Durante uccisa a Forcella. Parlo di Ester Castano che parla del comune di Sedriano,  il cui imminente scioglimento sarebbe il primo caso di  comune sciolto per mafia in provincia di Milano, con il sindaco indagato per voto di scambio con la ‘ndrangheta. Cioè è un giornalismo di frontiera che non teme di approfondire tematiche anche scomode.

Il teatro deve fare davvero molta paura al potere se da una parte lo stato taglia sempre più i fondi alla cultura mentre, dall’altra, artisti e semplici cittadini si sono coalizzati per riappropriarsi di quei luoghi di cultura che sono i teatri negati e da cui sono nati anche scontri molto duri con le forze dell’ordine. E’ così?

Secondo me lo Stato dovrebbe promuovere una tournée nazionale a Giulio Cavalli finanziando i suoi spettacoli che dovrebbero toccare tutti i paesi, tutti i comuni. Giulio Cavalli è un artista e una persona straordinaria, molto brava e molto preparata. Perchè lo Stato non lo fa? Non lo fa perchè sono anni che Cavalli denuncia, raccontando per filo e per segno le collusioni, le connivenze tra Sicilia e Lombardia, fin da tempi non sospetti, quando Maroni si arrabbiò con Saviano dicendo che in Lombardia la mafia non c’è. Ecco quella sarebbe una funzione civile. Riuscire ad essere onesti: è questa la difficoltà. Troppi sono gli interessi personali da difendere. Ecco, in Italia, finchè ci saranno interessi personali da difendere, non ci sarà nessuna rivoluzione.