Il Mezzogiorno è scansafatiche, fanalino di coda del Paese, zavorra dell’Italia che produce: nel libro di Paolo Brogi, “Uomini e donne del sud” che è stato presentato al Salone delle Bandiere di Palazzo Zanca mercoledì scorso, ci sono le prove che tutto ciò non è vero. Il lavoro del giornalista toscano è un atto di accusa nei confronti dei mass-media, intenti a propagare stereotipi e falsi miti. È anche l’autocritica di un cronista che non si arrende alla legge dei cliché che fanno più notizia delle storie che li sfatano.
Il libro è proprio un insieme di storie, raccontate per il loro valore nell’opera di verità sul meridione d’Italia condotta dall’autore. «È un libro bellissimo perché è fatto da un cronista – è l’elogio di Nuccio Anselmo della Gazzetta del Sud – Il cronista è diverso dal giornalista, perché non passa agenzie ma si mette le scarpe e va a vedere con i propri occhi quello che accade». Lo fanno sempre meno persone, perché anche quello del giornalista è diventato un lavoro precario; perché i giornalisti sono scoraggiati da un sistema che non premia i più bravi ma manda avanti i più sottomessi; perché i pochi lettori rimasti nel mondo dell’informazione usa-e-getta e della Rete non pretendono la qualità dei giornali di una volta.
Nella giornata di mercoledì, però, essere giornalisti è tornato a significare ancora una volta scovare le storie che nessuno racconta, anche se impongono di cambiare opinione sulle popolazioni del sud. Così emerge la storia del professore Franco Cassano, lo «stimato e barbuto sociologo» dell’Università di Bari che Paolo Brogi ha intervistato, e che fa un’analisi storica del declino delle regioni meridionali: «Mi ha colpito la figura del professore Cassano e vi voglio leggere un estratto del capitolo a lui dedicato – ha spiegato Anselmo – Lui dice: “Il flusso della spesa pubblica in passato consentiva anche il mantenimento del consenso. Con la crisi economica, però, ha intaccato gli investimenti e ha lasciato solo la parte dedicata alla formazione di consenso”. E non è un caso che tutti gli istituti di credito presenti al sud si siano spostati altrove».
Questo concetto, “altrove”, emerge spesso nel libro di Paolo Brogi: nelle storie di chi parte per ritornare e di chi invece decide di restare per combattere e riscattare il sud. Fra questi Santo Laganà, presidente dell’associazione antimafia Rita Atria, ha ricordato chi si è opposto alla criminalità organizzata, «in particolare i testimoni di giustizia, da non confondere con i collaboratori di giustizia. Sono persone che non hanno nulla di cui pentirsi, che hanno deciso di fare un servizio allo Stato e che così hanno dato lustro alle istituzioni». Come le donne calabresi, stritolate nella morsa della ‘ndrangheta, che spesso sono costrette a mettersi contro i loro stessi familiari per un’idea di giustizia che non è quella mafiosa. Come Lea Garofalo, che viene uccisa perché aveva testimoniato sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno. Come Simona Napoli, una giovane di 24 anni costretta dalla famiglia a sposarsi a 15 anni e colpevole di aver rivendicato il suo diritto ad amare un altro uomo di cui si era innamorata.
Storie degne del Medioevo che arrivano agli onori della cronaca di rado, spesso raccontate in modo fuorviante. «Queste storie non emergono perché i media sono gestiti malamente, la loro agenda è costruita altrove – ha confermato l’autore sul finire dell’incontro – ma voglio ricordare chi continua a fare il proprio mestiere portando a galla storie come quelle che ho raccontato io nel libro. Come Antonio Crispino, un collega precario del Corriere del Mezzogiorno che ha documentato per primo la mostruosità che avvelena 2 milioni di persone in Campania: i roghi di rifiuti speciali della camorra.
Il sistema dei media non ci fa apprezzare queste persone – ha concluso con amarezza Brogi – Viviamo in un Paese con due vite parallele: una ufficiale e una reale, che però non emerge».