È la mafia che si impossessa in Campania, di quello che, comunemente viene definito il quinto potere. Un potere forte, pervasivo e tentacolare , -quello della camorra- che intacca il funzionamento dell’attività democratica e mina il concetto stesso di informazione. L’aggressione è portata avanti con mezzi illeciti, sferrando colpi con meccanismi subdoli. Questa è la realtà descritta dal giornalista Alessandro De Pascale, nel suo libro, “Telecamorra” edito da Lantana Editore, che descrive gli interessi della criminalità organizzata per l’etere e il giro di ricchezze che gravita attorno al meccanismo televisivo. Il libro è nato da un’inchiesta lunga quattro anni e restituisce per la prima volta, un ritratto caratterizzato da illegalità dilagante e taciti consensi. Il tema è scottante e di grande rilevanza, e per questo motivo, ci è parso doveroso porre qualche domanda all’autore.
Nel tuo libro “Telecamorra” racconti la mafia in una veste diversa. Qual è la realtà che viene denunciata?
L’assalto della camorra all’etere, facendo nomi e cognomi di tutti i personaggi coinvolti. Questa conquista è iniziata quasi per gioco negli anni Novanta, con l’esplosione delle tv private, diventando poi una faccenda seria e soprattutto inquietante. Già in quel decennio c’era una piccola televisione partenopea di quartiere, Telemiracoli, che trasmetteva dal rione Sanità, che mandava in onda film contraffatti appena usciti al cinema e le partite di campionato del Napoli in diretta rubate a Telepiù. Inoltre, anticipando di parecchi anni la tv interattiva, vendeva nel quartiere le cartelle della tombola per poi estrarre la sera i numeri in tv. Era insomma, una formidabile macchina del consenso sociale. Peccato che gli inquirenti, già allora, scoprirono che attraverso quel gioco mandavano anche messaggi in codice ai detenuti nel carcere di Poggioreale. Stesso meccanismo adoperato poco dopo da un’altra tv napoletana e qualche anno fa anche inviando sms apparentemente innocenti alla trasmissione Rai “Quelli che il calcio”, ovviamente all’insaputa degli autori del programma.
È quello l’esordio, in Campania, dei rapporti tra criminalità e media. Telemiracoli apparteneva alla famiglia Turco:pluri-pregiudicati che negli anni avrebbero occupato e rivenduto illegalmente decine di frequenze televisive e tuttora gestiscono un’emittente, Campania tv, chiusa perché usata come base logistica per sferrare rapine a portavalori. Da allora si è poi radicato il genere musicale neomelodico, fatto troppo spesso da cantanti di malavita che elogiano e giustificano la ferocia della camorra. Attualmente la situazione è davvero preoccupante: radio e tv espressione diretta delle cosche, frequenze del valore di 500 milioni di euro rubate allo Stato, funzionari ministeriali a processo perché accusati di aver chiuso per anni tutti e due gli occhi consentendo la vendita (senza l’autorizzazione del magistrato) di canali affidati addirittura in custodia giudiziaria, boss che scrivono i testi delle canzoni neomelò, parenti dei capiclan che le producono attraverso le loro case discografiche e le mandano in onda sulle loro emittenti, spot elettorali usati per avere legami e protezioni politiche, raccolta pubblicitaria adoperata per giustificare il racket delle estorsioni ai commercianti, intimidazioni e antenne usate come armi per intimidire i pochi che hanno avuto il coraggio di denunciare questo sistema perverso e contributi pubblici per 12 milioni di euro l’anno. Un mondo che peraltro consente alla camorra anche di gestire i posti di lavoro del relativo indotto, fondamentale in un’area del Paese con una disoccupazione cronica, ma anche di riciclare soldi spochi e “ripulirli”. Il tutto spesso a nero, senza pagarci nemmeno le tasse. E parliamo di un’evasione fiscale da centinaia di milioni di euro l’anno che soprattutto in questi tempi di crisi e di pesanti sacrifici chiesti agli italiani, farebbero di certo comodo allo Stato. Nel 2008 quando ho iniziato a raccontare questi fatti mi prendevano per pazzo ma poco dopo ci sono stati i primi arresti, processi e condanne. L’illegalità in questo settore ormai è talmente diffusa che le operazioni della magistratura si susseguono: editori in odor di camorra arrestati per truffa ai danni dello Stato, graduatorie per i contributi pubblici da rifare, funzionari a processo perché ritenuti collusi con i malfattori e assegnazioni delle nuove frequenze avocate direttamente dal ministero di Roma. Lo scorso 25 maggio, poco prima dell’uscita del libro, con l’operazione “Canta Napoli” è stata ad esempio contestata a due cantanti neomelodici un’evasione fiscale da oltre 6 milioni di euro.
Il grado di libertà di un paese si misura dalla libertà di stampa. Quanto è lontano, questo ideale, alla luce dell’inchiesta che hai realizzato e quali sono i”complici indiretti” che minano questa libertà?
L’altro aspetto preoccupante della vicenda è proprio questo. Nel momento in cui i media finiscono nelle mani delle mafie, la criminalità organizzata arriva a controllare anche il delicato settore dell’informazione. Quella locale è di vitale importanza, perché è molto seguita poiché è l’unico mezzo che consente ai residenti di sapere cosa succede nella città in cui vivono. Alla luce del preoccupante quadro che emerge dalla Telecamorra campana, la libertà di stampa è capillarmente minata. I responsabili di questo disastro sono tanti, forse troppi. Nel caso in esame anche le istituzioni, spesso latitanti se non conniventi. Campania e Calabria sono state, ad esempio, le uniche regioni d’Italia a non aver mai realizzato il catasto delle frequenze analogiche. Una mancanza che ha favorito l’occupazione abusiva dell’etere da parte della criminalità a colpi di atti di compravendita poi risultati completamente falsi. La stessa cosa vale per presunti episodi corruttivi che avrebbero coinvolto funzionari dell’Ispettorato campano del ministero delle Comunicazioni. Diversi editori hanno difatti dichiarato che bastava pagare per non avere problemi, accordandosi di fatto con la cricca delle telecomunicazioni attiva in quella regione. Lo stesso vale per alcuni membri delle forze dell’ordine. Le fughe di notizie sono state numerose, con segnali illegali che si spegnevano come per magia il giorno dei controlli per riaccendersi poche ore dopo o editori vicini ai clan avvisati delle imminenti perquisizioni che a loro volta “educavano” i loro dipendenti fittizi, utili a scalare le graduatorie per ottenere i contributi pubblici alle tv locali, su cosa dire agli inquirenti. Da ricordare infine l’esistenza di politici campani, anche di rilievo nazionale come Nicola Cosentino e Mario Landolfi che hanno ricoperto importanti incarichi di governo in questo settore, sotto processo perché accusati di concorso esterno in associazione mafiosa. Non mi sembra ci sia altro da aggiungere.
La tua denuncia descrive il territorio campano. Ritieni che il problema delle infiltrazioni mafiose nell’etere sia un problema solo di questa regione?
Il rischio è alto ed è favorito da una criminalità organizzata in costante e rapida evoluzione, contrastata da un sistema giudiziario e legislativo lento e farraginoso, che riesce ad agire a danni ormai fatti risultando di conseguenza spesso inefficace a contrastare questo tipo di fenomeni. Proprio per questo bisogna prevenire e agire a monte, per impedire questo tipo di infiltrazioni. Ad esempio, ed è la proposta che mi ha raccontato un magistrato partenopeo che sta seguendo le inchieste su Telecamorra, si potrebbero estendere gli emendamenti antimafia, con tutte le relative misure preventive, anche ai comparti radio-televisivo e discografico. Limitando così la possibilità per la criminalità, di gestire il delicato settore dell’informazione e di alimentare sul territorio la cultura mafiosa. Claudia Benassai