Cos’hanno in comune il paleopatologo Dario Piombino Mascali, che studia le malattie attraverso scheletri e mummie e l’autrice di “Caravaggio a Messina” Valentina Certo?
La
città d’origine, Messina, e il genio senza dubbio, ma c’è molto di più. Una spinta
motrice incredibile che deriva dalla comune passione per l’arte, la cultura, la
storia, la bellezza, il patrimonio e una difficoltà, non di poco conto, verso una
città e un territorio che tanto amano ma che pare non sapere come accoglierli
appieno e come tesaurizzare tanto capitale umano.
Li abbiamo intervistati contemporaneamente in un
momento storico in cui entrambi, partendo da studi differenti, si trovano ad avere a che fare con la storia
attraverso i morti.
Dario, dopo aver
scritto delle mummie di Palermo continua il tuo studio delle mummie in Sicilia.
Da dove nasce questo interesse?
E’ un interesse legato al fatto che da antropologo mi occupo di resti
umani, quindi il fatto che ce ne siano tanti in Sicilia mi induce a continuare
le mie ricerche proprio sul territorio cui appartengo geneticamente e biologicamente.
In secondo luogo c’è da dire che queste mummie esercitano su di me una certa
suggestione, un certo fascino proprio perché le ho viste da piccolo, iniziando
dalla Santa Eustochia finendo con le mummie di Savoca, molto note se non altro
per il danno perpetrato negli anni 80 cui poi ha fatto seguito un restauro
magistrale.
Cosa raccontano le
mummie del loro periodo e del loro vissuto?
Hanno tantissimo da raccontare, sono ovvi testimoni del passato e quindi
associate a materiali che ci parlano delle mode del tempo, della merceologia,
dei materiali utilizzati per le decorazioni, ma attraverso uno studio
scientifico, condotto in maniera non invasiva perché di reperti si tratta, è
possibile anche ricostruire lo stato di salute della popolazione cui
appartenevano limitatamente a quelle malattie che lasciano un segno.
Anche a Messina c’era
l’uso la tecnica della mummificazione. Ne abbiamo traccia?
Chiaramente l’evento sismico del 1908 ha azzerato le testimonianze, o
meglio, all’indomani di questo evento la ricostruzione ha deciso di cancellare
tantissime testimonianze culturali che sicuramente includevano anche le cripte
al di sotto delle chiese. Messina doveva essere piena di chiese come lo è
Palermo e soprattutto piena di cripte dove avveniva questo fenomeno della
scolatura dei cadaveri. Il fatto che in città ci fosse questa pratica è
indubbio è un metodo diffuso in tutto il Meridione. Ma qui rimane ben poco.
Dobbiamo accontentarci delle poche strutture architettoniche che ancora
conservano questi segnali come per esempio quella del Santissimo Salvatore,
dove si potrebbe sicuramente valorizzare il contesto attraverso una spiegazione,
perché tanti per lungo tempo, hanno paradossalmente menzionato la pratica senza
però chiedersi il perché avvenisse. Attraverso nuovi studi è stato finalmente
individuato un possibile perché che ha a che vedere con il culto delle Anime
del Purgatorio che era estremamente diffuso. Poi ci fu l’avvento della
modernità, il rapporto con i morti che cambiava nel corso del Novecento a causa
dei due conflitti mondiali…almeno i tanatologi individuano in questi eventi il
fatto che la morte sia diventata un tabù, qualcosa di cui non parlare almeno
pubblicamente.
Valentina,
dopo Caravaggio ultimamente ti sei dedicata alla figura di Federico II
trattando anche la sua morte.
Sì, in particolare mi sono dedicata alla sua
relazione e al suo amore anche verso la Sicilia e verso Palermo. Anche il suo cadavere
è un dono di Federico II, che morto nel 1250 in Puglia viene, secondo suo volere,
portato a Palermo con un bellissimo corteo di guardie saracene. Il sarcofago dove si trova Federico e
l’altro del padre Enrico erano di Ruggero, del nonno. Uno era per il corpo
mortale, l’altro per lo spirito e Federico II, in maniera anche un po’
dissoluta, li ha presi per sé. E Ruggero riposa in un altro sarcofago.
Parlando di grandi
personaggi come Caravaggio o la dinastia Normanna non è semplice trovare
qualcosa che non sia già stato detto.
Allora innanzitutto parlando di grandi geni, grandi personalità,
personaggi illuminati e contrastati come sono Caravaggio e Federico II, si
rischia sempre di cadere nel già detto, già fatto, già scoperto. Il taglio che
ho voluto dare alla mia ricerca è un taglio spero originale. Ho trattato in
maniera particolare quella che era la sua collezione, perché collezionava e
come già con Federico si potesse parlare anche di rinascita prima ancora del Rinascimento.
Federico collezionava di tutto, gioielli, mantelli, cammei e soprattutto sculture
e oggetti che appartenevano al passato riprendendo gli usi e costumi. Era
un’arte anche propagandistica. Non è un caso che ad esempio personalità come
Lorenzo il Magnifico, volevano gli oggetti appartenuti a Federico, e prima di
lui ad altri, sempre per riallacciarsi ai grandi sovrani del passato. Federico
II riprende Augusto, riprende quindi gli imperatori classici e si fa effigiare
in quel modo anche nella moneta, importantissima soprattutto per l’immagine che
voleva dare di sé, sempre laureato col paludamentum e con la fibula come lo era
Augusto e come lo era poi anche Costantino.
Parliamo di figure
anche volutamente sminuite dagli storici nel corso degli anni e rivalutati solo
negli ultimi decessi.
Federico è sempre stato oggetto di studi però molto contrastati.
All’inizio del 900 c’era questa esaltazione del genio, di questo superuomo…poi
è stato ridimensionato “Federico figlio del suo tempo, Federico semplice
sovrano medievale”. Su Caravaggio è stato detto di tutto, libri su libri,
pubblicazioni…quindi io ho voluto narrare quello che è Caravaggio nella mia
città, Messina, e dare un taglio che non sia soltanto storico-artistico ma
contestualizzare quello che era la città di Messina.
Cos’era la città di
Messina nel periodo di Caravaggio?
Messina nel periodo di Caravaggio vive quello che viene denominato il
secolo d’oro: punto centrale del Mediterraneo, porto per eccellenza, una città dove
economicamente si stava bene, evoluta anche dal punto di vista artistico e culturale,
“crocevia di uomini, popoli e culture”. Messina lo era a tutti gli
effetti.
A Messina rimane tanto,
perché non si riesce a generare un legame affettivo tra ciò che è stato e ciò che è?
Valentina: anche in questo caso dobbiamo tenere in
considerazione i due eventi catastrofici disastrosi che ha avuto Messina, il
terremoto della fine del 1700 e poi quello del 1908. Messina è stata rasa al
suolo due volte. Mi viene in mene
la Chiesa di San Pietro e Paolo dei Pisani
dove c’era il quadro di Caravaggio della resurrezione di Lazzaro, è stata
distrutta col primo terremoto, poi ricostruita, poi ri-distrutta. Parliamo
anche di una città che sta costruendo paradossalmente la sua identità, perché è
l’identità che ti fa storia, che ti porta a valorizzare, che ti porta a credere,
a sentirlo tuo. La conoscenza della storia di quello che è stato per una città
come Messina è determinante perché a me capita di passeggiare e di tornare
indietro nel tempo e dire: qua c’era questo qua c’è quest’altro. E quindi ci
guardo con occhi magari diversi, più innamorati, ma adesso si fa fatica.
Dario: Io credo che ci siano ancora tanti scorci di questa
città e tante potenzialità che potrebbero davvero cambiare il destino di
Messina. Ad esempio il cuore Liberty eclettico, che la fa sembrare diversamente
da Palermo e Catania, una città francese una Parigi in miniatura. Io credo che
bisognerebbe valorizzare soprattutto quello, perché noi adesso abbiamo solo
quello abbiamo il cuore Liberty.
Valentina tu sei osannata
in tutta Italia, dalle reti televisive, alle piazze e alla librerie, ma il grande
orgoglio messinese come si sostiene?
Da sola. Completamente da sola. Inutile dire che mi
aiuta qualcuno perché non è così. Studio, tento il concorso per insegnanti,
supplenze perché sono abilitata all’insegnamento, faccio lezioni, curo eventi
culturali. Ultimamente ho vinto una borsa di studio ma non qui. A Napoli. A
Messina non so perché non ci riesco mai. Ad esempio il mio progetto sui
Caravaggeschi a Messina lo sto concretizzando a Napoli con un professore di
Vienna e vorrei farlo qui.
Dario
tu invece hai un lavoro, ma non a Messina.
Io ho un lavoro effettivo in Lituania, Vilnius in questa capitale suggestiva. In cui sono arrivato per caso. Mi scrissero perché avevano visto uno dei miei documentari per National Geographic dicendomi che anche loro avevano delle mummie. A Vilnius il mio lavoro oltre il discorso mummia è legato all’identificazione di vittime dei totalitarismi e dei conflitti bellici del ventesimo secolo, che non divulgo per il semplice fatto che si tratta si tratta di persone con i familiari ancora in vita che vogliono avere un corpo su cui piangere. Finora mi sono un po’ sottratto all’antropologia forense in Sicilia però quest’estate dovrò affrontare anche questo, perché c’è una vittima del secondo conflitto mondiale a Caltagirone. Il governo americano ha richiesto all’Università di Cranfield di cui io sono anche membro di occuparsene e quindi dato che sono in situ mi è stato chiesto di organizzare la parte burocratica e poi comunque di prendere parte a questo scavo che include non solo la vittima ma anche il suo aereo per poi restituirlo al Paese di provenienza, gli Stati Uniti.
Consigliereste
la cultura come professione ad un/a ventenne.
Valentina: assolutamente! io ci ho basato tutta la mia vita,
quindi non vedo altro. Vedo solo arte, solo cultura e territorio. E’ una sfida ardua
e forse mi piace anche per questo, perché ogni mattina devi inventarti qualcosa,
ogni mattina è sempre una nuova sfida. E poi in Sicilia è più difficile ma
forse quando arriva la soddisfazione…è più grande. Per questo vogliamo studiare proprio il
territorio, sia per la grande passione, per l’amore che ci lega, sia perché
merita. È un posto che merita, tutta la Sicilia e Messina in particolare.
Quindi non ho sinceramente nessuna intenzione di fare altro.
Dario: Messina merita un po’ di più in realtà proprio per
il fatto di essere stata così sfortunata, meriterebbe una maggiore attenzione.
Comunque ritornando al valore dell’arte e della cultura io credo che siano
salvifiche. Io credo di essere stato salvato dalla bellezza, dall’arte,
dall’architettura, se Vilnius non fosse patrimonio Unesco, se non avesse tutte
queste storie nascoste tra i vicoli del centro medievale, probabilmente non
riuscirei a viverci e quindi sono convinto che alla fine tutte questi elementi culturali
aiutino davvero a sopravvivere.
Valentina: io sono felice quando parlo o studio o faccio
qualcosa che riguarda l’arte. Soprattutto nel condividerla perché la
divulgazione è importante! Facciamo uscire questo sapere dalle quattro mura e
offriamolo a tutti.
Cosa accede quando si
mortifica l’arte?
Dario: Se si continuerà a mortificare la cultura e l’arte
si andrà incontro a periodi difficilissimi. Prevedo periodi catastrofici. E’
opportuno e salvifico unirsi a persone come Valentina che permettono di resistere
davvero. Io sono assolutamente fiducioso che saranno le persone come Valentina,
un esercito di Valentine, che permetteranno alla Sicilia di riuscire a
sollevarsi. Ne sono assolutamente convinto.