Ventimiglia, vince Mamma Africa: l’Italia non è malata

La chiamano Mamma Africa ma Delia Buonuomo è una donna dalla pelle bianca, titolare del bar “Lo Hobbit” in via Hanbury a Ventimiglia, che ha trasformato in un luogo di accoglienza e speranza per i migranti bloccati nella cittadina ligure in attesa di superare il confine con la Francia. Delia per tre anni ha offerto loro cibo, vestiti, giocattoli e tutto quello che riusciva a raccogliere, tra minacce, insulti e clienti che diminuivano di giorno in giorno. Lo scorso giugno a causa dei debiti accumulati, decide di chiudere il locale ma il suo impegno è stato ripagato: 37 mila euro è la cifra raccolta grazie ad una campagna di crowdfunding per scongiurare la chiusura del bar. E le donazioni continuano ad arrivare.

Abbiamo chiamato lo Hobbit. Delia è sempre lì e le sue porte sono sempre aperte.

Quando
e come nasce Mamma Africa?

Nasce circa tre anni fa
con l’apertura del bar che avevo ripreso in gestione proprio in pieno boom
dell’immigrazione a Ventimiglia. Era una domenica d’estate. Il locale era vuoto
e di fronte al mio marciapiede c’erano bambini che piangevano e dormivano su un
marciapiede sporco. Mamme esauste per la fatica, per il loro percorso e per il
caldo. Sono andata fuori e ho chiesto loro di entrare per stare almeno un po’
al fresco. Ho offerto loro quello che potevo, dalla possibilità di usare il
bagno, agli assorbenti per le donne, al cibo. Da quel momento tra loro c’è
stato come un passaparola, sapevano che qui avrebbero trovato le porte aperte.
Io mi chiamo Delia, per loro è anche difficile pronunciarlo e hanno iniziato a
chiamarmi “Mamma Africa”.

Da
quel momento non ha più smesso di aiutare?

No e non ho pensato
neanche alle conseguenze. Come fai quando vedi un bambino per terra, affamato,
sporco di cacca? Poi col tempo ho pagato questa mia scelta ma non mi sono mai
pentita. Sono stata allontanata dai miei stessi cittadini.  Sono stata insultata, ho subito atti
vandalici, mi hanno sputato in faccia e mi sono riempita di debiti e tutto
perché aiutavo i neri.

L’amministrazione
l’ha supportata o osteggiata?

All’amministrazione io
ho dato un po’ fastidio. La mia via si è riempita di neri e dunque si sono
ribellati i commercianti, i condomini, e logicamente non sono ” ben vista
pubblicamente”.

Come
si spiega tutta questa ostilità? E’ paura?

No, è ignoranza.
Ignoranza e cattiveria. Perché Ventimiglia è sempre stata un paese di confine. Abbiamo
sempre avuto flussi di migranti, negli anni ’80 con marocchini, portoghesi,
peruviani e poi nel 2000 con le migrazioni dai paesi dell’Est. Ma la
popolazione non si è mai ribellata come adesso. Perché? Perché l’italiano stava
ancora bene. Oggi che non c’è più crescita, lavoro etc. con chi te la prendi?
Con l’africano che non c’entra nulla. La disgrazia italiana non è dovuta all’immigrazione
ma ai vari governi che si sono succeduti e hanno ridotto l’Italia a un
colabrodo. Se non fosse ignoranza, non si sentirebbe mai la frase
“arrivano tutte incinte”. Non è che queste donne fanno l’amore prima
di partire, vengono stuprate. Non è difficile da capire! E allora è ignoranza e
cattiveria. Attraverso la televisione, la pubblicità …ci chiedono continuamente
di salvaguardare le razze in via di estinzione, il pianeta etc. E poi ci
chiedono di lasciare affogare la gente?

Qual
è la situazione a Ventimiglia oggi?

Abbiamo solamente un
campo che è gestito dalla Croce rossa. La chiesa che accoglieva i migranti
l’hanno chiusa e sono tutti allo sbaraglio. Questa per loro è solo una zona di
passaggio. Non vogliono rimanere. Li vedo al mattino e magari nel pomeriggio,
ma non è detto che li riveda il giorno dopo perché cercano tutti di andare oltre
confine.

Riescono
a varcare la frontiera?

Ci provano anche venti
volte. C’è chi riesce a passare pagando, chi lo fa attaccandosi a un treno, chi
lo fa tramite il passo della morte. Cercano tutte le vie possibili. C’è qualcuno
che ci rimette la vita e questo è il loro destino. Quello che mi fa rabbia è
che noi andiamo in Francia a lavorare perché a Ventimiglia non ci sono
fabbriche o uffici. Se noi italiani “rubiamo il lavoro ai francesi”
va bene? Perché? Perché abbiamo la pelle bianca? 

Come
vengono trattati i migranti dalla polizia di frontiera e da quella locale?

Da quella francese
vengono trattati come bestie. Se vengono fermati senza documenti vengono
lasciati senza nulla. Senza acqua e senza cibo e vengono respinti. Spesso sono
costretti a tornare in piena notte e a percorrere a piedi altri 9 km. C’è chi è
stato preso a bastonate e chi è stato allontanato con lo spray al peperoncino.
Che siano adulti o bambini vengono trattati allo stesso modo. Qui a Ventimiglia
invece c’è un controllo costante. Chi non ha i documenti viene preso e
riportato a Taranto, Crotone o in Sardegna, nel primo posto disponibile per
accogliere chi è sprovvisto di documenti. 

Anche
per lei non è stato semplice appoggiarli in questa fase di transito.

Momenti in cui ho detto
basta ne ho avuti parecchi. Le loro storie e le loro emozioni le subisci, le
acquisisci, ma nonostante i tre anni passati, dove ho pianto di dolore ma anche
di gioia, non mi sono mai abituata fortunatamente. Loro mi arricchiscono. E
quando un bambino ti da un bacio o ti sorride con quella bocca meravigliosa non
c’è soldo che tenga. Nella tragedia, perché è una tragedia, ci sono momenti in
cui esplodi di felicità. Io non voglio abituarmi né al dolore né alla gioia, io
voglio viverle. 

Come
pensa possa evolvere la situazione?

Non so se apriranno le
frontiere o se qualcosa si muoverà con le elezioni di Marzo. Io so che se c’è
gente che ha bisogno, mi trova. E non solo per i neri. Io non mi tiro
indietro. 

Il mondo non è nostro.
È di tutti e tutti devono poterne usufruire. Noi italiani siamo andati ovunque
e non siamo scappati per una guerra ma dopo. I nostri figli oggi non vanno via
né per la guerra né per fame ma per cercare un futuro migliore. Perché gli altri
non possono farlo? Perché sono neri?

Lo
scorso giugno aveva preso la decisione di chiudere il bar, poi è arrivata la
campagna di crowdfunding.

Sì, non me la sentivo
più di affrontare i debiti e di non portare la pagnotta a casa dopo dodici ore
lavorative al giorno. I volontari delle varie associazioni mi hanno spinto ad
affidarmi al crowdfunding, io non sapevo neanche cosa fosse. In 7 giorni abbiamo
raccolto 20 mila euro ma se quei soldi sono stati di grande aiuto per essere
ancora qui, la cosa più bella è che tutte quelle persone che hanno contribuito alla
campagna sono la testimonianza che non c’è un’Italia malata come si può pensare.
C’è un’Italia che ha un cuore che batte e quella è stata la gioia più immensa.
Sapere di non essere l’unica.

E’ la risposta a migliaia
di persone.

La campagna di
crowdfunding: https://gofundme.com/solidarieta-per-delia