Era l’anno 1962; al congresso DC a Napoli, il segretario del partito Aldo Moro punta all’apertura a sinistra per dar vita a una nuova politica. Un ancora poco conosciuto Giulio Andreotti irrompe con la sua corrente ‘Primavera’. Ha inizio il Concilio Ecumenico Vaticano II, sotto il pontificato di Papa Giovanni XXIII.
In quello stesso anno, nell’Italia dei cambiamenti, della beatlesmania, una giovane ventottenne militante del PCI fa il suo ingresso a Caccamo (Palermo), destinata a cambiarne la storia. Lei è Vera Pegna, la giovane donna che sfidò la mafia, quando ancora questa parola non si poteva pronunciare. Collaboratrice del “Gandhi italiano” Danilo Dolci, arrivò nel piccolo comune del palermitano con lo scopo di creare una forte opposizione a una Democrazia Cristiana locale fusa, più che collusa, con il potere mafioso. Un potere incarnato nella figura di don peppino panzeca, l’intoccabile boss cui la giovane e impavida Vera sottrasse la poltrona durante la prima assemblea comunale, tenutasi dopo aver sorprendentemente interrotto la totale egemonia della DC, permettendo per la prima volta ai comunisti di entrare in consiglio comunale. Lo stesso panzeca contro cui si scagliò in sede di campagna elettorale, chiamandolo pubblicamente ‘mafioso’ e costringendolo alla fuga. Perché per Vera, la mafia andava combattuta, senza mostrare paura.
Si racconta lei stessa nel libro Tempo di lupi e di comunisti – La storia mitica della ragazza che sfidò la mafia (Il Saggiatore). Abbiamo provato a raccontarla noi de ilcarrettinodelleidee, in occasione della ristampa del testo che ne illustra l’operato.
Riusciamo a contattarla telefonicamente, e il risultato è un’intervista dalla quale emerge l’autentica Pegna. A più di vent’anni dal suo arrivo nella Caccamo di panzeca, Vera ci regala i ricordi delle sensazioni provate da quella ragazza “borghese, colta e diversa”, ritrovatasi faccia a faccia con un nemico che, come da lei stesso sottolineato, “non va rispettato, ma combattuto”.
Si descrive come una ‘donna anomala’:
“Ero molto diversa: ero borghese e colta, che era lì per un ideale. Una cosa fuori da quel mondo. Completamente fuori da quel mondo. […] Ero anomala in tutto e per tutto. Io toccavo le persone, davo pacche sulle spalle ai miei compagni, guardavo le persone negli occhi, stringevo la mano. Tante piccole cose mi rendevano diversa, ma difficilmente criticabile”.
Un’aliena in terra straniera, ma che per quella terra ha messo in gioco tutto. Per un ideale di cambiamento che dopo 6 decenni ha ancora difficoltà a concretizzarsi: “Caccamo è un caso particolare, perché anche adesso, ANCHE ADESSO, non si può parlare di don peppino panzeca… E’ subito silenzio. Scappano. Sono pochi quelli disposti a farlo. Abbassano la voce, si guardano intorno, è incredibile… è rimasta l’idea che di mafia è meglio non parlare. E’ meglio non parlarne, perché chi vuole farlo è accusato di infangare la reputazione del paese”. Un paese difeso come fosse il proprio. Rimasto dentro sé come un pezzo della propria storia, della propria vita. Riflette sul passato, Vera Pegna, ma anche sul presente. Un presente che arranca, ma non si arrende. Popolato dai nuovi protagonisti della politica, che devono fare i conti con un passato MAI remoto, che ancora domina, non solo i ricordi:
“A Caccamo la mafia è esasperata,
perché rimane un gruppo di potere ben alimentato dalla chiesa locale. Dicono che il nuovo arcivescovo sia una persona perbene, sono felice di crederci. Ma vi è un gruppo di potere che difende ad ogni costo la memoria della vecchia mafia, al punto che c’è una connivenza con quel piccolo, ma encomiabile gruppo di antimafia… c’è un sindaco molto chiacchierato, ma a me questo non riguarda, a me riguarda soltanto quello che poi si riferisce alla mafia. […] Ha tirato fuori una delibera vecchia di 20 anni, mai stata attuata, che diceva di intitolare delle strade a Falcone e Borsellino. […] Sul territorio oggi i nomi delle vittime della mafia ci sono. Il nome dell’aula del consiglio comunale è intitolata a Geraci, un cippo al sindacalista Filippo Intili ucciso dalla mafia. […] Ma allo stesso tempo c’è il liceo comunale intitolato al vecchio cervello della mafia, mons. panzeca. Ecco, questa connivenza di mafia e antimafia è resa possibile dalla cultura mafiosa che esiste ancora. E chi vuole fare antimafia, come questo sindaco, è isolato. Insomma, è estremamente difficile…”
Quando Vera ci parla dei tanti protagonisti dell’antimafia, isolati e lasciati privi di appoggio, sembra che parli un po’ di sé. Di quella giovane ventottenne sbucata da chissà dove per sfidare un potere considerato intoccabile. Ma Vera non è sola, e non lo è mai stata. Tanti i sostenitori, i compagni. Tante le figure che vantano il nome di Vera Pegna tra i propri ricordi.
Abbiamo dunque pensato fosse il caso che, a raccontarla, fosse qualcuno che Vera l’ha conosciuta. Qualcuno che, seppur di sfuggita, ha condiviso con lei, vissuto con lei, quel clima fatto di cambiamenti tanto importanti da fare paura. Che abbia respirato la stessa aria di coloro che gravitavano intorno a figure quali Danilo Dolci, Pio La Torre, ma anche Gassman, Treccani…
Ci siamo dunque rivolti a Vincenzo Vasile, giornalista e scrittore, firma dell’Unità dal ‘72 al 2008, e per un periodo direttore dello storico quotidiano l’Ora di Palermo. A lui ci siamo affidati per conoscere il mondo in cui si muoveva ‘la giovane che sfidò la mafia’, per indagare attraverso i ricordi in quell’humus da cui si poté originare tanto coraggio, seppur, come lo stesso Vasile ci confida in modo quasi romantico, i due si siano “solo sfiorati”.
Riusciamo a contattarlo telefonicamente, gli parliamo della nostra intervista a Vera Pegna. Subito arrivano i ricordi, sia personali che storici, della Caccamo di panzeca e della militanza politica di Pegna e compagni sul territorio:
“un’ attività – racconta Vasile – che oggi potremmo definire pionieristica, svolta da militanti comunisti che andavano in queste piazze assolate, conquistavano la fiducia dei braccianti, e sfidavano il capomafia locale. La militanza politica era per davvero quello che Sciascia definì “un’attività nella terra degli infedeli”. Una terra fertile sotto il punto di vista storico, sociale e politico.
Sono gli anni della lotta non-violenta di Danilo Dolci a Partinico. Una fucina di incontri e di idee proprio nel cuore della Sicilia che lega, seppur solo di sfuggita, Vasile e Pegna. E’ qui che il giornalista lascia momentaneamente lo spazio all’uomo. A quel ragazzo cresciuto respirando cultura, innovazione e rivoluzione. Dalla cornetta del telefono irrompono ricordi accompagnati quasi malinconicamente dalla memoria di un passato tanto vivo culturalmente e politicamente: “Appena arrivata in Sicilia – continua Vasile – Vera comincia la sua attività a Partinico, nel gruppo di Danilo Dolci. Lo stesso che frequentavo io, da ragazzo, ogni tanto, e dove c’era la gente più sensata. Il pittore Treccani, per esempio, ma anche Gassman che a quei tempi aveva il teatro tenda. Praticamente era una tenda da circo in cui portò in scena uno spettacolo dal titolo “Otello” e si alternava con Tino Carraro nel ruolo di Otello e di Iago. A volte andavamo a dormire da loro al centro di Partinico. Lì conobbi un sacco di giovani venuti da tutta Italia”. E li ricorda bene Vasile, quei giovani, regalandoci una prospettiva interna di quello che era un movimento che coinvolgeva l’intero continente. Un movimento dagli effetti e dai risultati variabili in base al luogo di partenza e arrivo, alle difficoltà riscontrate: “Molti venivano dalle regioni rosse (Emilia, Toscana e Umbria) durante la campagna elettorale, ma non solo. Anche nella storia più recente della sinistra siciliana e meridionale – ricorda Vasile – ci sono numerosi dirigenti del settentrione o del centro. Non sempre il trapianto riusciva bene. C’era gente che se ne tornava a casa dopo una campagna elettorale o dopo 1-2 anni, senza aver fatto nulla o essere stati capiti. Mentre altre volte si stabiliva una sintonia, come quella che descrive Vera Pegna”. Un lavoro non facile, un percorso tortuoso. Continua Vasile: “Prima di scuotere dalla subalternità quel partito minoritario arroccato su un paese a sua volta arroccato sulle montagne, ce n’è voluto. Oggi si può considerare la battaglia politica con questa passione, con questa qualità di impegno e può sembrare, lo capisco, quasi il racconto di una favola”.
Non un caso unico, quello di Vera, ma per il quale mantenerne la memoria rappresenta un dovere morale e civile. Ricordare quella donna che incarnò il vero senso dell’impegno politico, che contribuì a scrivere una pagina di democrazia che alla luce della situazione politica attuale “può sembrare quasi una favola”.
Conclude Vasile: “il titolo stesso del suo libro ‘Tempo di lupi e di comunisti. La storia mitica della ragazza che sfidò la mafia’ , evoca i lupi e dice un po’ tutto di questa vicenda. I geografi dell’antichità, quando rintracciavano le annotazioni nelle loro carte geografiche dell’Africa, scrivevano ‘qua ci sono gli animali selvaggi e feroci, i leoni’.
Lei andò senza le carte geografiche per orientarsi. E si orientò benissimo”.
La redazione de ilcarrettinodelleidee.com ringrazia Vera Pegna e Vincenzo Vasile per aver concesso la possibilità di imprimere nero su bianco il ricordo di una storia che DEVE rimanere impressa nella memoria. Dei giovani, dei vecchi, di TUTTI.
GS Trischitta