Via don Blasco, Messina. Un progetto in cantiere da anni. Una riqualificazione dalle potenzialità straordinarie, che risolleverebbe le sorti di una città il cui assetto urbano in continuo degrado è ormai normalità. Circa 10 km di mare negati alla città, dal porto storico fino all’approdo di Tremestieri, soffocati da una periferia disordinata ad alta densità abitativa, strutture commerciali, impianti produttivi e tanto, troppo abbandono. Un fronte mare di 7,5 km, dalla larghezza media di 450 m e una superficie complessiva di 359 ettari. Il tutto occupato per il 10 % da infrastrutture ferroviarie. Un’area da anni presentata come grande sfida da parte delle diverse amministrazioni comunali. Dal 2009 si parla in termini apparentemente concreti di ‘recupero del waterfront’, monitoraggio dei litorali, progetti di riqualificazione dell’area e di riaffaccio sul mare. Una zona divenuta utile strumento per garantire rinnovamento, riqualificazione e rilancio, per assicurarsi sostegno e sostenitori. Ad oggi, simbolo del declino, dell’abbandono e dell’inciviltà.
Una enorme discarica ‘a macchie’ offre scenari da film sull’Apocalisse. Stormi di gabbiani banchettano su spiagge dalla sabbia invisibile, ricoperta da ogni genere di rifiuto. Scarti industriali, domestici, materiali di risulta, materassi, rifiuti tossici, frutta e verdura rancidi trasformano il profumo del mare in odore nauseabondo. L’azzurro lascia spazio al marrone. Intere colline di immondizia a strapiombo sul mare, dal quale qualche coraggioso pescatore conta di ricavare una giornata di lavoro.
Come in ogni discarica che si rispetti, tra le numerose montagne di immondizia, si scorge sparpagliato in frammenti e resti di serbatoi il caro e vecchio amianto. Alla luce del sole, nella normalità dell’inciviltà e dell’incuria, un materiale il cui solo spostamento prevede norme sanitarie severissime è abbandonato ai bordi delle strade. Viene da pensare che la ‘bonifica’ dell’ottobre 2010 non sia stata così accurata, o che, trascorsi 5 anni di totale abbandono e anarchia, l’area abbia recuperato il suo ruolo di discarica a cielo aperto.
Ma in 5 anni si è fatto tanto. Si è parlato, discusso, riempito le pagine di giornali e social. Dichiarazioni su dichiarazioni. Proposte, promesse, grandi aspettative. Dichiarava nel 2009 l’allora assessore alle politiche del mare Pippo Isgrò a un quotidiano messinese: “L’obiettivo è arduo, ma le competenze e la coscienza ambientale coniugate al grado di sviluppo tecnologico, interpretate anche secondo un concetto di sostenibilità finanziaria (fondi europei, defiscalizzazione, aiuti una tantum, etc.) si ritiene siano in grado di rendere perseguibile l’obiettivo generale. I progetti strategici su cui gli uffici di riferimento al mio settore stanno investendo o dovranno investire sono: piano spiagge, Museo del mare, monitoraggio dei litorali, recupero dell’affaccio a mare”. Ottime intenzioni, e qualche azione: la ‘bonifica’ e lo ‘smaltimento’ dell’amianto nell’ottobre del 2010, lo sgombero del campo rom di San Raineri nell’aprile del 2011, l’eliminazione di manufatti tra i cui resti ancora può scorgersi ciò che sopravvive della Cittadella. Una timida porzione dell’antico Bastione Don Blasco, chiamato così in onore di Don Blasco Branciforte Conte di Cammarata e Stradigò di Messina. “Propugnaculum contra Maurus”, venne edificato nel 1538 su mandato del Branciforte, come estrema difesa verso mare della Città di Messina, insieme al gemello bastione San Giorgio, poi demolito in occasione della costruzione della Real Cittadella, a fine Seicento.
Luglio 2012, momento di apparente svolta. Favero e Milan Ingegneria con Idrotec, gli studi di architettura di Benedetto Camerana e Ufo (Urban Future Organization), la paesaggista Erika Skabar, Marcello D’Alia, Alfredo Natoli eGianluca Ardiri, il gruppo vincitore del primo premio al concorso indetto dal comune di Messina per la riqualificazione del fronte mare. Il tutto, utilizzando il Programma urbanistico in ambito urbano (Piau) “Porti e stazioni”, introdotto dal Ministero delle Infrastrutture (dm n. 2522 del 27 dic 2001) per favorire la riqualificazione di ambiti urbani prossimi alle aree ferroviarie o portuali in condizione di forte degrado. Un progetto ambizioso, per la cui realizzazione non vi erano allora risorse disponibili. Da parte del Comune, l’impegno ad attrarre investitori pubblici e privati e a richiedere i finanziamenti europei 2014/2020. A 3 anni dall’assegnazione del premio, ciò che si conosce è il progetto teorico: un masterplan articolato per fasce tematiche: eliminazione delle barriere infrastrutturali, recupero a fini urbani delle aree nella disponibilità della Rfi (Rete ferroviaria italiana) per collocare strutture pubbliche, private, ricettivo-turistiche, anche in funzione dell’approdo crocieristico. Realizzazione di un nuovo quartiere residenziale affacciato sull’acqua, e una città giardino con strutture ad altezza contenuta, per restituire alla città il suo mare. Il nucleo centrale del progetto, un porto turistico con spiaggia balneare, spazi ricreativi per il tempo libero e un albergo. Un piccolo paradiso terrestre, al momento imprigionato in un inferno dalle potenzialità incredibili. Nel settembre dello stesso anno, l’assessore Isgrò muoveva i primi passi nel tentativo di ottenere finanziamenti. Con una lettera al direttore generale dell’Assessorato regionale territorio e ambiente, dott. Giovanni Arnone, al direttore del Demanio marittimo regionale, ing. Francesco Buonasera, e per conoscenza al Commissario del Comune di Messina, Luigi Croce, si richiedeva un finanziamento di 300 mila euro per proseguire l’azione di riqualificazione della zona. Nel febbraio del 2014, si torna a parlare di waterfront: una riunione a Roma nella sede della Rfi tra l’assessore regionale alle Infrastrutture Nino Bartolotta, l’assessore all’urbanistica Sergio de Cola, l’Autorità Portuale e le Ferrovie dello Stato. Si sente parlare di procedura accelerata e accesso privilegiato alle risorse. Ancora solo parole.
Ad oggi, una strana sensazione di confusione accompagna chi ancora spera di poter godere di nuovo del proprio mare. Neanche più le belle parole e le grandi promesse. Si ha come la sensazione che sia finito tutto nell’ormai saturo dimenticatoio. Grandi progetti buttati lì, tra il marrone scuro del mare e l’aria che odora di amianto.
Gaia Stella Trischitta