Violenza sulle donne fra leggi e cronaca

Aveva 21 anni Pina Siracusa quella maledetta Pasquetta del 1988. La sua vicenda è rimasta scolpita nella mia memoria nel corso di questi lunghi venticinque anni: stuprata nelle campagne del suo paese, Mazzarino, da un branco di 15 “persone”, se così possiamo definirle, la maggior parte dei quali ancora minorenni. La attirarono con la scusa di una scampagnata insieme ad altri ragazzi, che invece abusarono di lei fin quasi a ucciderla. La trasferirono, ormai priva di sensi, in un casolare nelle vicinanze, dove sopraggiunsero altri che continuarono ad abusare di lei. I giovani si difesero in ogni sede accusando la vittima di essere una “che ci sta”. Come se questo fosse un motivo sufficiente per essere assolti da ogni infamia. Il reato di violenza sessuale era ancora delitto contro la morale e non contro la persona; le forze di sinistra chiedevano con forza e da tempo l’approvazione di una legge più adeguata e meno conservatrice di una morale immorale. Seguirono manifestazioni di solidarietà e pressioni sulle forze politiche per un cambiamento legislativo che sonnecchiava da tempo dentro i cassetti del Parlamento italiano.

1988-1996, anno in cui, finalmente, la legge 66 viene licenziata definitivamente dal Parlamento. Otto anni più tardi da quell’evento delittuoso. Diciannove di iter nelle stanze di coloro ai quali abbiamo delegato le scelte politiche in nostra rappresentanza! Vorrei che venisse chiesto conto a tutti quegli “onorevoli”, che hanno impiegato quasi un ventennio per approvare una legge sacrosanta, del loro colpevole ritardo. Vorrei che fossero presi uno ad uno per ogni vittima di violenza, per ogni stupro, per ogni sequestro di persona consumato in quell’arco temporale e che pagassero insieme ai violentatori. Vorrei che ci risarcissero per ogni donna che ha dovuto cambiare città o paese, come allora fece Pina Siracusa, per continuare a vivere cercando di superare la vergogna e le ferite dell’anima che un’esperienza simile “regala” per sempre. Vorrei che ammettessero le loro personali responsabilità e che convertissero il loro regale stipendio in dono ai centri antiviolenza, unica frontiera che con coraggio cerca ancora di resistere ai tagli di questo stato dalla vista lunga solo fin dentro il proprio portafoglio. Tagliare i fondi a questi centri equivale ad abbandonare totalmente le vittime al loro destino, un destino che troppo spesso finisce per essere spezzato per mano di un uomo; significa, altresì, essere complici degli stupratori e degli assassini prendendo, di fatto, le difese dei carnefici e sacrificando quelle donne che hanno pagato con la vita il loro diniego, il coraggio della libertà delle loro scelte.

Occorre una coraggiosa inversione di marcia nel costume e nella mentalità di questo paese ancora arretrato e bacchettone, perchè non si debba più leggere in una sentenza della cassazione che è impossibile essere abusate se si indossano i jeans, a meno di essere consenzienti. Violate nel corpo e nella dignità. Ed è necessaria un’operazione di sensibilizzazione capillare, che parta già dalle scuole per insegnare il rispetto per la volontà e l’autodeterminazione delle donne. Perchè una legge, senza un effettivo cambiamento culturale, è cosa morta.

Oggi in ogni piazza d’Italia viene celebrata la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne; ovunque si stanno svolgendo manifestazioni, concerti, reading tutti al femminile. E’ un momento importante di testimonianza. E se, come dice qualcuno, non bastano le celebrazioni dico, invece, che sono importantissime se accompagnate a tutto il resto narrato qui sopra, per ricordare a ciascuno di noi quanto è alto il prezzo fin qui ingiustamente pagato per l’indifferenza dei nostri politici. A loro e delle loro (in)azioni continueremo a chiedere conto!