Vivere con la “minima” in un mondo in crisi

Con la crisi economica che ha investito tutto il mondo, i rincari di benzina, gas, luce e acqua, qual è il valore reale di una banconota da 500 euro? A prima vista può sembrare una domanda stupida: sono soldi, uguali per tutti. Non è così. C’è chi usa questa somma per comprare un cellulare d’ultima generazione, un televisore HD o un notebook. Alcuni preferiscono spenderli per le vacanze estive o natalizie. Altri ancora potrebbero usarli per rinnovare il guardaroba acquistando scarpe, vestiti e accessori per sentirsi alla moda e assecondare i propri sfizi. C’è anche chi, ed è un numero di persone che si aggira intorno ai 4 milioni nel nostro paese, con la banconota viola più desiderata dagli italiani, ci vive per un mese o meglio: prova a sopravvivere. Stiamo parlando dei pensionati che ricevono, ogni mese, una “pensione sociale”, la cosiddetta “minima”, e che spesso devono rinunciare perfino alle cure sanitarie per arrivare a fine mese.

Il trattamento del “minimo vitale” è il modo con cui l’INPS, Istituto Nazionale Previdenza Sociale, cerca di aiutare tutte le persone che, a causa del basso numero di contributi versati nell’arco della propria vita, riceverebbero una pensione esigua, che non permetterebbe ai pensionati di sostenersi autonomamente e condurre una vita normale. La quota con cui si decide di provvedere alla maggiorazione per raggiungere la “minima” viene stabilita ogni anno dallo stesso istituto che provvede anche a segnare i limiti di reddito che i pensionati non devono raggiungere per ricevere l’assistenza. Che siano soli o coniugati, gli anziani ricevono un sostegno che, ovviamente, non può garantir loro un livello di vita adeguato alla loro età. Una lotta per la sopravvivenza che li vede notevolmente svantaggiati, in una società dove tutto, dalla frutta alle medicine, dagli affitti alle bollette, diventa sempre più caro e in cui gestire il denaro di ogni mese significa sempre più fare delle rinunce. Escludendo a priori le spese superflue, la prima rinuncia che un pensionato con la minima è costretto a fare, quando possibile, è legata all’acquisto di medicinali. Sono tantissime le medicine dal prezzo elevatissimo con cui molti anziani sono costretti a fare i conti giornalmente e, con un budget così ristretto, si preferisce evitarne l’acquisto per non ridurre ancora la somma di denaro disponibile, anche se questo significa non curarsi come si dovrebbe. Ciò può comportare conseguenze disastrose, considerata l’età. Se si aggiunge il fatto che, escludendo le medicine, la spesa su cui si tende a risparmiare maggiormente è il cibo, creando così un circolo vizioso in cui il pensionato resta immobilizzato.

La rinuncia al cibo genera malessere, la rinuncia alle cure non fa altro che accentuarlo, a cosa può portare tutto questo?
I pensionati non meritano assistenza perché non producono? Chiusasi la fase lavorativa delle loro vite, è lecito abbandonarli a sé stessi, anche se in condizioni disagiate?
In realtà, da studi recenti della CGIL, risulta che dall’aiuto in famiglia o dal volontariato praticato dagli over 55 deriva un valore aggiunto di bene 18,3 miliardi di euro. Una cifra notevole che dovrebbe essere spesa dal Fondo nazionale per la non autosufficienza per la costruzione e il mantenimento di asili nidi, scuole materne e altre servizi a favore non solo dei bambini, ma anche riguardanti le cure agli adulti. Dati alla mano, è con i bambini che si raggiunge il picco della “produzione” degli anziani. Sono pochi i nonni che non badano ai propri nipotini: se fosse un lavoro retribuito, l’insieme degli stipendi dei nonni d’Italia sarebbe di più di un miliardo di euro al mese.
Mica male, considerando la crisi che sta investendo la nostra società e la carenza di proventi derivanti dal Fondo nazionale. Ciò nonostante, gli anziani vengono abbandonati al loro destino, troppo spesso pieno di solitudine e problemi d’altro tipo, tra cui spicca quello dell’alcol. Più di tre milioni di over 65, secondo i dati Istat, è a rischio per il notevole consumo di alcolici. Se il più delle volte si tratta del classico bicchiere di troppo a tavola, dove il vino per tradizione non manca quasi mai, non è sempre così. L’età, d’altro canto, accentua notevolmente il problema vista l’assenza di un enzima presente nel fegato che aiuta il corpo ad assimilare l’alcol e “smaltirlo”. Le cause di questo fenomeno, in costante aumento, sono molteplici anche se le maggiori sono da riscontrare nello stress psicosociale e nel disagio esistenziale. L’alcol diventa un rifugio, una sorta di anestetico usato per alleviare lo stress derivante dalla vita quotidiana, ogni giorno più difficile con l’avanzare del tempo. La perdita di un coniuge, la solitudine, le difficoltà motorie e, soprattutto, la fine della propria carriera e quindi la pensione, sono solo alcuni dei motivi che spingono gli anziani verso l’autodistruzione derivante dall’alcolismo. Un problema serio che si aggiunge alle innumerevoli difficoltà già presenti nella vita di oggi.

Affrontare un mese “tirando avanti” con 500 euro o anche meno, non è per niente facile. Abbandonare i pensionati è qualcosa di ingiusto e raccapricciante. Tutti noi, figli e nipoti, zii e padri, un giorno saremo nonni: come reagiremmo se questo fosse fatto a noi?