Augusta e Vincenzo

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La barba di Vincenzo Agostino quella mattina si disperdeva nel vento degli anni passati a cercare una verità sempre troppo lontana, ogni filo bianco candido un tappeto amaro di dolore sotto i passi dell’esistenza.

Accanto a quel grande uomo prima silenzioso che d’improvviso stringeva i pugni e li alzava al cielo brandendo le sue domande per la sua cupa rabbia davanti al mare calmo, c’era lei. Augusta Schiera, che guardava suo marito perché la forza di parlare il destino e gli uomini gliel’avevano tolta da un pezzo. Un vestito sempre nero di pizzo e di lutto dell’anima per il suo adorato figlio ammazzato, per la moglie, per quel nipote mai conosciuto, lacrime ormai stanche sul volto opaco della sofferenza.

No io non dico niente grazie, sono qui, parla mio marito grazie. E suo marito parlò anche di Lei, guardandola, del suo silenzio, della sua triste pena, della sua verità ricercata inutilmente ogni giorno andando in giro con l’immensa dignità dei Giusti, e quella foto del matrimonio come un fardello troppo amaro da sopportare.

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