La complessità della vita di Michelangelo Merisi da Caravaggio è pari solo a quella della sua personalità. Un pittore il cui percorso artistico può dirsi influenzato e forgiato da incontri, personalità e luoghi senza i quali la storia dell’arte post manierismo non sarebbe stata la stessa. E tra queste personalità, tra questi luoghi così determinanti, uno spazio troppo spesso negato va restituito alla Sicilia e, in particolare, a Messina.
Questa la base della polemica recentemente scatenatasi attorno al film documentario “Caravaggio – L’anima e il sangue” di Jesus Garces Lambert, che ignora un periodo non solo ampliamente documentato da fonti private, archivistiche e artistiche, ma assolutamente determinante per la formazione del pittore e del conseguente ‘caravaggismo’.
Grazie alla collaborazione con la storica dell’arte dott.ssa Valentina Certo, autrice del libro “Caravaggio a Messina. Storia e arte di un pittore dal cervello stravolto” edito da Giambra, abbiamo cercato di ricostruire il periodo siciliano e nello specifico messinese dell’artista. “Il rapporto tra Messina e Caravaggio – ci spiega la Certo – è un rapporto intenso, riccamente documentato. Abbiamo a disposizione fonti biografiche e archivistiche, gli inventari dei collezionisti che vantavano all’interno delle loro raccolte opere dell’artista”.
Un artista la cui esperienza siciliana va oltre l’influenza. La ‘sicilianità’ è un carattere inscindibile dalla personalità caravaggesca, tanto da poter definire il pittore come figlio artistico della Sicilia. Quella stessa Sicilia da cui proveniva il primo maestro di Caravaggio, il nasitano Carli, presso la cui bottega a Roma, il giovane Michelangelo Merisi iniziava a conoscere le meraviglie e i tormenti di un’arte che doveva ‘imitar bene le cose naturali’.
Concentrandoci sulla Sicilia, si può affermare che un arrivo quasi ‘obbligato’ per sfuggire alla prigionia porterà a un periodo dalla produzione vastissima, ampliamente documentata. L’espulsione dall’ordine dei Cavalieri di Malta, la prigionia, la fuga e la conseguente condanna a morte, arricchiscono il sapore romanzesco della storia del pittore, ma fanno anche comprendere quanto la sua arte sia stata apprezzata dalle personalità più influenti della Messina seicentesca. Nonostante sul Merisi pendesse una condanna che autorizzava chiunque lo incontrasse ad ucciderlo, vi è testimonianza di numerose commissioni da parte di personalità eccellenti. Personalità dalle quali, oltre alle commissioni, il Caravaggio ottenne ciò di cui aveva più bisogno: protezione. Messinese è infatti uno dei suoi primi benefattori, il cardinale Rebiba, di San Marco d’Alunzio.
Prima di Messina, è bene menzionare l’esperienza siracusana. Lasciandoci guidare dalla dott.ssa Certo, apprendiamo come “a Siracusa il soggiorno fu cruciale per Caravaggio, nonostante la sua permanenza sia durata solo un mese, intorno al dicembre 1608. Qui incontrerà l’amico Mario Minniti, lo storico siracusano Mirabella, autore de ‘Le piante delle antiche siracuse’. Mirabella racconta in prima persona di aver incontrato Caravaggio e di avergli mostrato le latomie siracusane: le stesse che ritroviamo nel ‘Seppellimento di santa Lucia’. Questo perché Caravaggio dipingeva quello che vedeva”. La Sicilia si riconferma dunque come luogo di protezione, di lavoro intenso ma anche di ispirazione. Non solo per i luoghi visitati, ma anche per le personalità incontrate. Continua la Certo: “lo stesso Mirabella intratteneva un rapporto epistolare con Galileo Galilei, e Caravaggio era un uomo molto attento alla rivoluzione di Galilei, Giordano Bruno, Campanella, perché era una rivoluzione del reale. E lui era interessato alla rappresentazione visiva del reale. Poteva seguire la Controriforma cattolica e dipingere secondo i dettami del Borromeo. Ma non l’ha fatto”.
Tornando a Messina e alle commissioni, il Caravaggio si imbatté in una realtà dall’eccezionale vitalità artistico culturale. Ci ricorda Valentina Certo come Messina fosse “una città ricchissima nella quale l’affluenza di artisti venuti da fuori non costituiva novità. C’erano stati in precedenza gli allievi di Michelangelo, il Montorsoli. L’allievo di Raffaello, Polidoro Caldara. Era una città vivissima, sede della zecca, dell’Università. La falce del porto era un punto cruciale del commercio. Da lì si partiva per le guerre, per le crociate”.
Ed è vicino a quel porto che si ergeva la chiesa di san Pietro e Paolo dei Pisani, dove Caravaggio ha dipinto la ‘Resurrezione di Lazzaro’, commissionata dalla famiglia genovese de’ Lazzari, e per la quale il pittore ottenne dall’attiguo ospedale gestito dai ‘frati della buona morte’ un cadavere da utilizzare come modello per l’opera. Un gesto che conferma l’amore per il ‘vero’ e il naturale, ma che costerà alla tela una cattiva accoglienza da parte dei fedeli, per poter incontrare il giusto riconoscimento solo a partire dal 1700.
“La seconda committenza – ci informa la Certo – è stata dello stesso Senato di Messina, che gli commissionò l’ ‘Adorazione dei pastori’, opera poi donata alla chiesa dei Cappuccini, situata fuori dalle mura della città e oggetto di lasciti importanti da parte delle migliori famiglie messinesi. E’ importante – sottolinea l’esperta – considerare la situazione del Merisi: un fuggiasco e condannato a morte che riceve una commissione da parte del Senato! Pensiamo all’importanza che l’artista doveva ricoprire per la città”.
Un’altra opera dipinta a Messina sarebbe il “Ritratto di Cavaliere di Malta”, rappresentante il cavaliere Antonio Martelli e attualmente alla Galleria Palatina di Firenze. “La presenza del cavaliere – ci informa la dott.ssa Certo – è documentata a Messina nello stesso periodo in cui è documentato Caravaggio. E lo stesso a Malta. Quindi i due si conoscevano bene. Sicuramente è stato un benefattore e non è escluso sia stato ritratto proprio nella chiesa dei Cavalieri nel Palazzo, attiguo alla chiesa dei cavalieri di Malta a Messina”.
Altre opere commissionate a Messina sarebbero veramente tante, ma l’unico documento, ricordato da Saccà, è una nota del giugno 1609 di Nicolò Di Giacomo, rinvenuta nell’archivio della baronessa Arau: “ho dato la commissione al sig. Michiel Angiolo Morigi di Caravaggio di farmi le seguenti quatri: quattro storie della passione di Gesù Cristo […] dalli quali ne finì uno che rappresenta Christo colla croce in spalla, la Vergine addolorata e dui manigoldi uno sona la tromba […] e l’altri tre s’obligò il pittore porarmeli nel mese di agosto […] da questo pittore che ha il cervello stravolto”. “Da questa descrizione – ci racconta la Certo -ho tratto ispirazione per il titolo del mio lavoro editoriale”.
Alla luce di una ricostruzione come la nostra, che non vuole fare ‘scuola’, ma semplicemente informare, risulta quantomeno improbabile pensare di raccontare la storia del pittore dal cervello sconvolto eliminandone la parte relativa alla sua esperienza nella Messina del cinquecento. Un’esperienza dalla portata tale da produrre una vera e propria ‘scuola’. Una corrente, quella del caravaggismo, che conta numerosi simpatizzanti o veri e propri emulatori. Un nome su tutti, Alonso Rodriguez che, secondo quanto espresso dall’esperta Valentina Certo, è da considerarsi “colui che ha ricevuto meglio la lezione del maestro. L’adesione del Rodriguez al caravaggismo è molto sensibile. Non è un’adesione di ‘maniera’, ma quasi sentimentale”. O ancora Mario Minniti, che conobbe personalmente il Merisi fino a poter affermare che “il periodo messinese del Minniti è stato anche quello più caravaggesco. Quando si è spostato a Siracusa la pittura è andata infatti scemando verso un tardo manierismo”. Si potrebbe continuare con il giovane Suppa, primo restauratore del maestro, descritto come un giovane pittore che passava il proprio tempo a ricopiare la “Resurrezione di Lazzaro”, fino a diventarne il restauratore.
Caravaggio, figlio e compagno di una Sicilia, di una Messina, che è stata madre e protettrice. Destinataria di opere eterne. Alfa e omega di una personalità tanto indefinita quanto eccellente. “La sua presenza a Messina – conclude la Certo – E’ un fatto storico. Né più né meno. Cancellare Messina dalla vita di Caravaggio è un peccato storico”.
GS Trischitta