Ci sono questioni alle quali la maggior parte della gente non si interessa affatto, come l’ergastolo
Quesiti che nessuno si pone, poiché riguardano una porzione di società che potremmo definire “invisibile”, fatta di persone che, a causa dei gravi crimini dei quali si sono macchiati, agli occhi dei più hanno perduto lo status di “essere umano”, e per questo è giusto che vengano puniti. Si tratta di uomini che in qualche modo sembrano essersi guadagnati l’oblio nel quale sono destinati a vivere per sempre. Stiamo parlando degli ergastolani: coloro che per la maggior parte dell’opinione pubblica, meritano quel carcere duro del quale “si butta via la chiave”; quelli i cui diritti non trovano l’attenzione delle persone oneste.
Su argomenti tanto delicati è sempre bene però fare chiarezza, nel caso si volesse cercare il tempo o semplicemente la voglia di saperne di più. Che cos’è l’ergastolo? L’ordinamento in Italia prevede, quando si parla di ergastolo, due tipologie di pena: quello cosiddetto “normale”, e quello ostativo. Il primo contempla per il condannato la possibilità di ottenere benefici quali libertà condizionale, semi-libertà, e permessi premio. Il secondo, come l’etimologia stessa della parola lascia intuire, “osta”, cioè impedisce, il raggiungimento dei vantaggi sopra citati. I detenuti condannati a questo secondo regime duro scontano quindi la punizione di un “fine pena mai”.
L’ostativo è una condizione eccezionale che viene inflitta a soggetti che vengono reclusi per via di specifici reati, classificati come “efferati” dall’ordinamento giuridico italiano. Fra questi rientrano gli atti di terrorismo, l’associazione di tipo mafioso, l’associazione finalizzata al traffico di droga, il sequestro di persona a scopo di estorsione. Si tratta di una punizione che, quindi, è destinata a chi perpetra i reati più gravi. Di fatto i condannati all’ergastolo ostativo sono in larga maggioranza carcerati per omicidi di stampo mafioso. La pena dell’ergastolo è prevista dall’art. 22 del codice penale. L’ergastolo ostativo conferisce l’impossibilità di accedere ai vari benefici penitenziari e alla liberazione condizionale in mancanza di una adeguata collaborazione con la giustizia, finalizzata ad appurare fatti aggiuntivi e responsabilità: “L’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter della presente legge: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza” (art. 4 bis / art. 58-ter ord. penitenziario).
Le caratteristiche dell’ergastolo ostativo sollevano gravi questioni di costituzionalità: innanzitutto per via del “principio rieducativo” sancito dall’art. 27 comma 3 della Costituzione (seconda parte) e poi per il “trattamenti contrari all’umanità” sancito dall’articolo 27 comma 3 della Costituzione (prima parte), nonché dall’art. 3 CEDU (Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali). Il principio di fondo, del quale non ci si dovrebbe mai dimenticare, è che la pena, la sanzione dell’accusato, debba avere un fine riabilitativo e mai di mero castigo. In parole più semplici la condanna non deve essere solo afflittiva ma rivolta al recupero dei detenuti.
È interessante al riguardo una decisione presa dai giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che hanno reputato ricevibile il ricorso di un detenuto italiano, ergastolano al 41 bis. Essi vaglieranno dunque se sia conforme alla Convenzione Europea sui diritti dell’uomo l’esclusione da eventuali benefici penitenziari di chi decida di non collaborare con la giustizia. In caso di una risposta negativa verrebbe imputata al nostro sistema giudiziario la presenza di un “doppio regime penitenziario”, che nei fatti creerebbe profonde differenze tra chi ha operato reati più pesanti e tutti gli altri.
Il pronunciamento dei giudici di Strasburgo sarà fondamentale perché potrebbe condizionare profondamente il diritto della nostra nazione. Nel frattempo in Italia è stata annunciata una riforma dell’ordinamento penitenziario in data 16 marzo 2018 che prevede fra le altre cose di riportare al centro la finalità rieducativa della pena, diminuire il sovraffollamento delle carceri, valorizzare il ruolo della polizia penitenziaria. Tuttavia, anche se dovesse essere approvata in via definitiva, non comporterebbe la fine dell’istituzione dell’ergastolo ostativo, né apporterebbe variazioni a proposito dei requisiti per l’ammissione ai benefici penitenziari, che resterebbero comunque vincolati alla prerogativa della collaborazione. Ciò nonostante, se la sentenza della Corte europea dovesse dare ragione al ricorso presentato dall’ergastolano, questo comporterebbe una revisione inevitabile dell’unica strada finora percorsa dal Governo italiano.
La certezza della pena è un fondamento assoluto che nessuno vuole mettere in discussione, e lo è anche il fatto che ogni castigo debba essere commisurato all’entità del reato commesso. Bisogna però prendere atto che l’ergastolo ostativo porta la legislazione italiana al conflitto con i principi indicati dalla corte EDU. Chi sconta la pena dell’ergastolo ostativo, e decide di non cooperare con la giustizia, viene infatti inevitabilmente tagliato fuori dalla possibilità della liberazione condizionale, così come dall’eventualità di ottenere ogni sorta di miglioria nella reclusione.
Questo non consente di valutare con efficacia il reale riscatto morale e sociale del soggetto carcerato, e tutto ciò male si integra con il fine riabilitativo della pena previsto dalla nostra Carta Costituzionale.