di Fabio Repici
La settimana scorsa la notizia mi la lasciato disorientato. Nell’apprendere che i pubblici ministeri di Reggio Calabria hanno individuato nel Procuratore generale di Messina, Antonio Franco Cassata, il responsabile del dossier anonimo con cui si era tentato per l’ennesima volta di infangare Adolfo Parmaliana, a quasi un anno dalla sua morte, mi sono scorsi rapidamente davanti agli occhi i fatti degli ultimi tre anni, con un senso di amarezza insopportabile.
Più di tre anni. Era il mese di agosto 2008 quando Adolfo mi mandò un’e-mail per commentare la nomina di Cassata, avvenuta il precedente 29 luglio, al vertice della magistratura requirente del distretto messinese: “Dopo le ultime decisioni del Csm sono stato assalito da una grande amarezza, da una sensazione d’impotenza…”.
Poi, il 2 ottobre di quell’anno, Adolfo si tolse la vita e lasciò il suo testamento morale. Tra l’altro, scrisse: “La Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna, vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi, mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati … Hanno deciso di schiacciarmi, di annientarmi. Non glielo consentirò … Chiedete all’Avv.to Mariella Cicero le ragioni del mio gesto, il dramma che ho vissuto nelle ultime settimane, chiedetelo al Sen. Beppe Lumia, chiedetelo al Maggiore Cristaldi, chiedetelo all’Avv.to Fabio Repici, chiedetelo a mio fratello Biagio. Loro hanno tutti gli elementi e tutti i documenti necessari per farvi conoscere questa storia: la genesi, le cause, gli accadimenti e le ritorsioni che sto subendo”.
Quelle parole hanno continuato a rimbombare senza sosta nella mia testa per tutto questo tempo. E le ho avvertite subito come il fardello più oneroso da sostenere, un punto da cui non sarebbe stato possibile tornare indietro.
In realtà, prima ancora di conoscere le ultime parole di Adolfo, avevo iniziato a esaudirle: il pomeriggio successivo alla sua morte mi ero presentato spontaneamente davanti ai pubblici ministeri di Patti per raccontare tutto quello che sapevo sulla rappresaglia che era stata orchestrata contro Adolfo. Fui facile profeta nel prevedere che le infamie ai suoi danni sarebbero proseguite; anzi, si sarebbero rinvigorite.
Nel frattempo mi fu chiaro che gli scalcinati equilibri giudiziari messinesi sarebbero stati compromessi dall’ultima, definitiva, denuncia di Adolfo e che la posizione di due protagonisti del rito peloritano come Antonio Franco Cassata e Olindo Canali (i due magistrati al centro delle dolorose riflessioni di Adolfo) avrebbe traballato. Gli eventi iniziarono ad accavallarsi con insuperabile coerenza: i veleni diffusi sottotraccia contro Adolfo, gli attacchi dell’Anm messinese contro di me, gli incredibili sviluppi del processo Mare Nostrum in grado d’appello (con il ripescaggio di un infame memoriale di Canali che già a gennaio 2006 diffamava Adolfo). I nemici di Adolfo (val poco rilevare che erano anche i miei) trovarono i loro fedeli propagandisti nel settimanale Centonove. Da quel giornale era stata allontanata (o si era allontanata, la sostanza non cambia) un’onesta giornalista che non aveva soddisfatto le pretese del dr. Cassata nel raccontare ai lettori le vicende che avevano portato Adolfo al suicidio ed era stata sostituita da uno scriba talentuosamente (e soprattutto generosamente) velenoso: Michele Schinella. Il quale a maggio 2009, non contento di quanto fatto a me, aveva rivolto il suo fango direttamente contro la memoria di Adolfo Parmaliana: inedita frontiera del giornalismo d’assalto a un cadavere.
Non so se ci fosse una relazione ma è certo che in quel momento già si sapeva che il noto scrittore Alfio Caruso era impegnato nella redazione di un volume sulla storia di Adolfo Parmaliana. E infatti – come oggi ci raccontano gli atti dei processi a carico di Olindo Canali e di Franco Cassata – cominciarono i tentativi per avvicinare Alfio Caruso, al fine di spiegargli che in fondo Parmaliana non era propriamente un eroe, che il territorio barcellonese non era quella Corleone di cui cianciavano i suoi detrattori e che Canali e Cassata erano due personcine perbene e due magistrati rispettabili. Rivelatisi vani gli sforzi di Canali e di suoi amici che rispetto ad Adolfo hanno avuto la lealtà di Giuda (e chissà se hanno capito che una frase dell’ultima lettera di Adolfo era a loro dedicata: “alcuni dovranno avere qualche rimorso“), ecco che Cassata attivò suo nipote perché intervenisse (senza risultati) su un parente di Alfio Caruso e poi il barcellonese Melo Freni perché raggiungesse (con risultati ancora peggiori) Caruso addirittura per il tramite dello scrittore Matteo Collura.
Si era nell’estate del 2009 e si sapeva che il libro su Adolfo sarebbe stato pubblicato in autunno inoltrato. Il sistema barcellonese, quando raggiunge lo stadio della disperazione, assume le sembianze del corvo e si dedica alle infamanti lettere anonime. Sciascia a Barcellona, con “A ciascuno il suo“, sarebbe stato un modesto cronista piuttosto che un inarrivabile letterato. Accadde così che nella seconda metà di settembre il corvo barcellonese, identificato dalla Procura di Reggio Calabria in Franco Cassata, fece pervenire un plico olezzoso, nella stessa giornata, ad Alfio Caruso a Milano e al senatore Lumia a Palermo, oltre che al municipio di Terme Vigliatore. All’interno c’erano una lettera di una pagina e mezza che spiegava ai destinatari come Adolfo Parmaliana fosse un farabutto e dieci documenti che dovevano servire a corroborare la tesi: non a caso, fra di essi, c’era pure un articolo di Centonove a firma di Schinella. L’obiettivo era dichiarato: indurre Alfio Caruso a non spendere la sua penna per un morto che non meritava. Il progetto fallì perché Caruso verificò che si trattava di fango inventato a tavolino. Il 19 novembre 2009 “Io che da morto vi parlo” fu nelle librerie e riuscì a raccontare mirabilmente agli italiani il martirio che Adolfo Parmaliana aveva dovuto affrontare in vita e la scelta di fare della sua morte la più forte delle sue denunce.
Ricordo come fosse ieri il giorno in cui depositai per conto della moglie di Adolfo la querela contro gli autori del dossier anonimo. Chi fossero i corvi era facile capire. Alla magistratura chiedevamo di farne la formale individuazione. Ora, almeno in parte, è stata fatta, con il nome del più potente magistrato del distretto messinese, Antonio Franco Cassata. Sfuggito indenne ad accuse di ben più gravi reati, vede chiudere ingloriosamente la sua carriera giudiziaria e il suo ruolo di comando nel sistema di potere barcellonese con un processo per diffamazione da giudice di pace: ricorda un caso celebre di quasi un secolo fa.
Insieme al decreto di citazione a giudizio di Cassata, c’è il fascicolo delle indagini svolte dalla Procura di Reggio Calabria. Racconta, insieme alle risultanze del processo a carico di Olindo Canali (che si aprirà l’11 gennaio), un mondo mefitico ma spiega meglio di una fotografia la rete di relazioni del corvo che ha tentato di infangare il mio amico Adolfo Parmaliana. Sarà bene, appena possibile, darne conto pubblicamente, in ossequio all’impegno assegnatomi con la sua ultima lettera. Si può qui già anticipare che, tra gli altri, rilevano un settimanale e un giornalista.
Oggi Centonove ha scelto di dare la notizia del processo a carico di Cassata sposandone, more solito, la linea difensiva e compiendo curiose dimenticanze ma segnalando ai lettori che pureCentonove ricevette il dossier del corvo e però – chissà perché? – omise di darne notizia all’Autorità giudiziaria. Autore? Chi se non Schinella, nei secoli fedele ai suoi danti causa?
Sapevo già che non avrei provato soddisfazione ma solo un quid pluris di tristezza, nel dover ripensare alle persecuzioni patite da Adolfo, pure da morto.
Per l’ennesima volta gli porterò, al cimitero di Terme Vigliatore (non a quello echiano di Praga, tanto caro a Olindo Canali), una copia del libro di Alfio Caruso.
Per due volte gli è stata rubata da uno sciacallo: anonimo, naturalmente.