La città dello Stretto, sei amici e l’eterna lotta tra il bene e il male, questi sono gli ingredienti che lo scrittore emergente Dario Ganci ha sapientemente miscelato per dar vita al suo primo lavoro. I protagonisti, annoiati in un sabato sera privo di divertimenti, vengono coinvolti in uno strano incidente che li porterà all’acquisizione di poteri surreali e, allo stesso tempo, metterà in pericolo la loro stessa vita. I sei ragazzi, infatti, sono costretti, loro malgrado, a difendere Messina da forze demoniache che vogliono rievocare il male fuoriuscito dalla bocca dell’inferno creatasi nel fondale dello stretto durante il terremoto del 1908. Sullo sfondo di questo scontro i nostri, nonostante siano dotati di poteri sovrannaturali, vivono e si scontrano con le esperienze e le confusioni della quotidianità, l’amore, l’odio, l’amicizia, la delusione, lo studio e la paura per il proprio futuro. Cosa accadrà ai nostri improbabili eroi e alla nostra città che, assopita nel suo torpore, non si accorge di nulla? Le campane dell’inferno, edito da Smasher, ve lo svelerà.
Intanto facciamo qualche domanda al giovane autore.
Cominciamo con una domanda di rito. Come e quando nasce la tua passione per la scrittura?
La passione per la scrittura mi ha sempre accompagnato. Da piccolo riempivo ogni superficie utile per scrivere di scarabocchi o di parole, anche senza senso; crescendo ho dato una riordinata al caos “letterario” che avevo nel cervello e ho iniziato a scrivere in maniera sistematica. Diciamo che attorno ai sedici/diciassette anni ho cominciato a coltivare assiduamente la passione per la scrittura. Ho iniziato, come molti adolescenti sognatori, scrivendo poesie e poi sono passato alla prosa. Tutto questo accompagnato da una fame di libri che ancora oggi, dolcemente, mi tormenta.
Ci sono stati dei libri che ti hanno dato l’input per passare dal ruolo di lettore a quello di scrittore?
Non c’è stato un vero input a dire la verità. Ho iniziato a scrivere provando ad imitare quelli che erano i miei miti letterari e a poco a poco ho iniziato la ricerca di uno stile personale, ricerca che è ancora in corso. Come libri che mi hanno ispirato, non saprei indicarne uno preciso, ho avuto parecchie muse: le opere di Tolkien, Terry Brooks, Frank Herbert e Irving Welsh e il fumetto Bastard!! L’oscuro distruttore di Kazushi Hagiwara.
Cosa ti piace e cosa non ti piace dell’editoria italiana?
L’editoria italiana al momento mi è molto indigesta. Stiamo assistendo al sacrificio completo del valore letterario in funzione del business. Non parlo solo dei libri di Moccia, bersaglio fin troppo facile, ma, tanto per fare un esempio, la saga di Twilight, milioni di copie vendute per un prodotto, a mio modesto avviso, di bassa qualità. Dell’editoria italiana apprezzo quel piccolo universo di case editrici minori che, nel tentativo di sopravvivere in un mercato di pescecani, riescono a dare spazio ad autori, magari talentuosi, che i grossi gruppi editoriali scartano. Chiaramente non mi riferisco a me.
Le campane dell’Inferno, il tuo romanzo d’esordio, è un fantasy. Come mai proprio questo genere? Da dove è nata l’idea per il libro?
Le campane dell’Inferno ha una genesi un po’ anomala. Il tutto nasce da una sera con un gruppo di amici e qualche birretta di troppo. Tra una chiacchiera e l’altra salta fuori una scommessa: scrivere un romanzo fantasy (genere di cui ero e sono tutt’ora appassionato) su di noi. E così quasi per gioco sono nati ben tre romanzi fantasy, bizzarri e scalcinati, ad opera di altrettanti amici. Poi, dato che il mio romanzo piaceva un po’ a tutti, ho deciso di vincere il pudore e di iniziare a farlo girare tra le piccole case editrici e ho avuto fortuna.
C’è qualche autore in questo campo che più di altri ha rappresentato per te un punto di riferimento?
Ho cercato di scrivere un qualcosa che rompesse, in maniera ironica, i canoni del romanzo fantasy classico. Mi riferisco al tema del viaggio, l’eroismo, la crescita morale e fisica dei personaggi, creature bizzarre e sovrannaturali. Per fare questo ho attinto, da un lato ai “Maestri” del genere, come Tolkien, Terry Brooks, Marion Zimmer Bradley e altri. Dall’altro lato ho preso spunto dal grande dissacratore del genere fantasy Terry Pratchett e il suo “Mondo Disco”.
La narrazione del romanzo segue la struttura della canzone “Hell’s Bells” degli AC/DC, da cui tra l’altro hai tratto il nome del tuo libro. Com’è nata l’idea di accostare un romanzo fantasy a una canzone?
L’idea è nata mentre buttavo giù qualche pensiero per il plot del romanzo. Solitamente quando scrivo ascolto musica a tutto volume (per la gioia di tutti!) e mentre mi scervellavo nel tentativo di costruire una storia quanto meno passabile ho udito il suono delle campane. L’intro di “Hell’s Bells” mi ha aperto il cervello, una sorta di epifania letteraria. Ho buttato giù qualche idea e ascoltando e riascoltando la stessa canzone è uscito fuori il plot. Ma la connessione non si esaurisce solo nella mera ispirazione. Le Campane dell’Inferno stanno ad indicare il richiamo del male al quale tutti siamo soggetti: come le campane della chiesa richiamano i fedeli, così quelle dell’inferno invitano alla perversione e a perdere la propria moralità.
Hai detto che questo romanzo nasce da una scommessa con il tuo gruppo. I personaggi li potremmo riconoscere tutti nella tua cerchia di amici o alcuni sono totalmente frutto della tua fantasia?
Come ho detto prima, il libro nasce come un gioco tra amici, di conseguenza la maggior parte dei personaggi sono ispirati a persone reali a me molto care. Ovviamente non tutti, il personaggio di Romiel per esempio è stato inventato di sana pianta. Ho cercato di trasporre su carta, i caratteri, i tic, i modi di fare e di agire dei miei amici e di alcuni conoscenti. In alcuni casi la trasposizione è riuscita discretamente, in altri non sono stato abbastanza bravo.
Dovessi descrivere con tre aggettivi il tuo romanzo, quali useresti, e perché?
Ironico, perché è una cosa che mi appartiene e che volevo far trapelare nel romanzo. L’ironia è una cosa eccezionale, crea incongruità e discordanza, confonde piacevolmente il lettore e crea un piccolo e innocuo caos di significati.
Ingenuo, perché a distanza di anni dalla sua scrittura mi accorgo che in certi punti la trama sprofonda nell’ingenuità ma non la vedo come una cosa negativa. Le Campane dell’Inferno è figlio del tempo in cui è stato scritto, rappresenta un pezzo di me, mi fa ricordare com’ero e come scrivevo ed è sempre una grande lezione.
Metaforico. Il romanzo al di là dell’intento ludico, si è trasformato tra le mie mani ed è diventata una metafora di ciò che mi circondava e mi circonda tutt’ora. Il tema del potere e del suo raggiungimento ad ogni costo e del logoramento che la sua gestione comporta è un tema attualissimo, oggi più che mai. Più o meno consapevolmente ho cercato di esprimere la mia posizione attraverso la metafora del romanzo fantasy.
Sono passati nove mesi da quando è uscito il tuo primo romanzo Le Campane dell’inferno, raccontaci un po’ come hai vissuto quel momento e le sensazioni che provi tuttora in quanto scrittore emergente.
Quando ho visto gli scatoloni con dentro il romanzo stavo per mettermi letteralmente a piangere. A rischio di sembrare un po’ retorico e scontato posso dire che quel momento per me è stato il coronamento di un sogno e allo stesso tempo l’inizio di un qualcosa. Non so se avrò una carriera da scrittore o passerò l’intera vita a scrivere romanzetti che non leggerà nessuno, per me l’importante è trasporre su carta quelle che sono le storie che si affastellano nel mio cervello. La pubblicazione del romanzo è il segno tangibile che almeno parte di quelle storie non rimarrà chiusa dentro un cassetto a prendere polvere, ma verrà letta, si spera, da qualcuno.
A cosa stai lavorando ora? Vedremo nuovamente all’opera i nostri eroi o hai altri progetti per il futuro?
Al momento continuo a scrivere come un pazzo, lavoro permettendo. A grande richiesta ho messo mano agli appunti e alle idee scritte al momento dell’ideazione de Le Campane dell’Inferno e sto scrivendo un seguito. Ma poi ho tante, forse troppe, idee per la testa. Ho appena terminato un altro romanzo un po’ anomalo e sperimentale e lo sto sottoponendo ad un grosso lavoro di revisione. Il mio orizzonte letterario non si fermerà soltanto al fantasy, sono un tipo cui piace sperimentare, tentare strade poco battute o mai battute. Se riuscirò nel mio intento spero che qualcuno vedrà i frutti sugli scaffali delle librerie.