Tecnicamente si chiama multidisciminazione, una definizione così complicata e piena di significati che neppure Windows XP la riconosce come linguaggio corrente. Essa è la condizione della persona che in quanto donna e disabile è discriminata due volte, sia nel ruolo di donna che in quello di disabile.
La donna disabile è un’esclusa tra gli esclusi, non è un essere umano, non è una cittadina, bensì un essere senza diritti, priva di sesso, corpo, intelligenza, desideri, emozioni.
Ho provato in questi giorni a trovare delle manifestazioni, delle notizie, dei convegni sulle pari opportunità che di là dal “diluvio di retorica, di frasi fatte, banalità, mimose all’incrocio, cene fra donne, galanterie non richieste” ponesse l’accento su questa taciuta piaga sociale che solo in Italia riguarda 1 milione 864 mila donne disabili.
Un silenzio assordante avvolge quest’argomento come un sudario sociale e non mi consente di tacere a costo di aggiungere alle altre anche le mie banalità, per questo mi trovo a rilevare com’è veramente sconcertante che l’unica manifestazione nazionale quella dell’AISM ( per sostenere la ricerca scientifica ed aiutare le donne colpite da sclerosi multipla) pur meritoria negli scopi ed intenti, sia rimasta relegata ad una prospettiva di statica solidarietà-assistenzialistica, senza nessun tentativo di percepire che ogni persona disabile, ed ancor più una donna disabile, esprime un valore autonomo, universale e unico.
Invero se il tema della disabilità della donna fosse trattato al di fuori del ristretto ambito medico-assistenziale saremmo in grado di vedere che esso esiste già come valore autonomo e cresce in modo esponenziale nei rapporti interindividuali acquisendo un valore sociale. La disabilità della donna connotata da una componente di solidarietà attiva, elemento che tiene insieme ogni società civilizzata, ma anche quale valore sociale, amplifica la consapevolezza collettiva e crea le condizione per un ambiente sociale capace di includere ogni membro, rispettando la sua individualità e la sua specifica abilità e considerando il suo potenziale contributo.
Purtroppo se dalle belle parole si passa ai fatti, la realtà che quotidianamente ci si trova ad affrontare diventa desolante, avvilente, in altri termini, mortificante della stessa dignità femminile. Il pregiudizio che tutti noi abbiamo verso la donna disabile, ci porta a considerarla un fallimento e scusate il termine troppo crudo, un aborto di natura, un soggetto passivo della società. Se questo è il nostro giudizio e l’espressione della nostra cultura civile e sociale non meno scoraggiante è il poco valore e il basso livello di autostima che la donna disabile ha di se stessa, dal disconoscimento di se stessa come individuo, centro d’imputazione d’interessi rilevanti, alla negazione del proprio corpo e della propria femminilità.
La colpa, se di colpa si deve parlare, è imputabile alla mancata tutela dei diritti umani, ovviamente “umani” per tutti, ma non per le donne-disabili, le quali in maggioranza sono senza istruzione, formazione, occupazione, accesso ai servizi sanitari riabilitativi, senza facoltà di scelta sulla sessualità, gravidanza, maternità, adozione e potremmo continuare per una lunga, lunga ed ancora lunga lista.
Questa dura selezione di natura inizia già all’interno delle famiglie, dove un non detto, un inconfessato senso di colpa per questa figlia nata storta, cieca, sorda, muta, down porta ad un iperprotezione, ad un’educazione distorta e falsata che impedisce la crescita. Un ambito familiare dove fossero bandite discriminazioni e privilegi (tutti i figli sono uguali) consentirebbe una corretta educazione alla vita adulta, con un normale desiderio di diventare grande, donna e invecchiare serenamente senza essere costretti e rimanere bambine per sempre, bisognevoli d’assistenza continua, d’affettività e cure, oltre e di là delle singole esigenze connesse con la disabilità.
Basta. Diciamo la verità una volta per tutte. Non nascondiamoci sotto falsi moralismi e pietose bugie. La verità è che la maggior parte delle persone quando si trova di fronte ad una donna diversamente abile, vede solo il suo handicap. Pertanto quanto più evidenti sono i segni dell’handicap tanto più il suo “essere femminile” sembra scomparire. Non esiste, nell’immaginario collettivo, che una donna disabile possa piacere, possa suscitare desiderio sessuale e possa, di conseguenza, avere rapporti sessuali, relazioni sentimentali,essere madre.
Esempi concreti forse ci possono aiutare a stare ancorati alla verità e con i piedi per terra.
Secondo voi una donna disabile può andare dal ginecologo a chiedere consigli sui metodi contraccettivi? Ditemi, secondo voi, quale sarebbe il primo pensiero del ginecologo davanti, ad esempio, ad una donna senza………. Scusate. Io non me la sento di continuare, ma sono sicuro che voi, anche senza molta fantasia, ci possiate riuscire benissimo.
Si pensi, ancore, se vuole andare in un negozio e davanti ad una commessa invece di comprare prodotti di bellezza per il viso o per il corpo chiedesse di acquistare della biancheria intima sexy. Impagabile sarebbe riuscire e vedere l’espressione della povera commessa.
Pensate infine, se si rivolgesse ad un professionista del bisturi estetico per richiedere un intervento correttivo dell’aspetto del seno o delle labbra. Il professionista per lo meno domanderebbe, “ma a che le serve Signora. Con questi correttivi non migliora poi granché. Secondo me dovrebbe andare prima dall’ortopedico. ”
Ove questi esempi, fatti realmente accaduti, vi sembrassero inverosimili, allora si rifletta che anche nel semplice modo di pensare le cose non sarebbero molto diverse.
Così non ci si capacita di fronte a scambi di tenerezza di una coppia di cui uno dei due è disabile. Mai una volta che si prende in considerazione di primo acchito l’idea che i due sono amanti. Sono sempre parenti, o disabile-volontario/a, o disabile-assistente personale.
Nell’immaginario collettivo non esista nemmeno il binomio “donna-disabile/violenza”.
Effettivamente sembra un paradosso che esseri considerati privi d’interesse sessuale possano essere vittime di abusi in tal senso. Ma ben sappiamo che alla bestialità dell’uomo non c’è mai fine e succede più spesso di quanto s’immagini che donne-disabili restino vittime di soprusi, completamente invisibili, che si consumano quotidianamente nell’ambito delle mura domestiche e in tutti gli altri contesti sociali.
Dobbiamo riconoscerlo le donne disabili escluse per definizione dal concetto di “essere femminile” non lo sono dalla tremenda gamma delle forme di violenza che colpisce tutto il genere femminile.
Il problema è quanto se ne sente parlare?
Sembra quasi che questi esseri non abbiano, sangue, corpo, sentimenti, cuore, sudore passioni.
Certo è un tema molto delicato. Un fenomeno tanto complesso quanto taciuto. Taciuto così tanto che non se n’è parlato nemmeno in occasione della giornata nazionale contro la violenza sulle donne, figurarsi se se ne doveva parlare, come mi è stato detto, proprio in occasione della Festa della Donna.
Ripeto. LA FESTA DELLA DONNA? MA QUALE DONNA ?
Avv. Pietro Giunta