Si è da poco festeggiato il trentesimo anniversario della fortunata saga cinematografica “Ritorno al Futuro”, e in tanti hanno ripensato alla tecnologia che il film proponeva per il suo 2015 fittizio: macchine e skateboard volanti, giacche autoasciuganti e scarpe autoallaccianti. Niente di tutto ciò è stato davvero inventato, ma se c’è una cosa che il film non poteva prevedere è come sta cambiando il lavoro nell’epoca di internet e delle intelligenze artificiali sempre più complesse.
Un recente studio[1] dell’università di Oxford sottolinea come il 47% dei posti di lavoro finirà per essere computerizzato nei prossimi vent’anni. Un altro studio[2], stavolta dell’istituto McKinsey, parla invece della possibe scomparsa, su scala globale, di un numero di posti di lavoro che oscilla tra i 40 e i 75 milioni.
Grandi numeri e certamente preoccupanti per una generazione che ha sempre più difficoltà nel mondo del lavoro. Quotidianamente assistiamo già a questo fenomeno. Nelle grandi città, in quanti supermercati abbiamo visto comparire le casse totalmente automatizzate, dov’è il cliente stesso a scannerizzare il codice a barre dei prodotti che acquista, tramite un comodo apparecchio portatile fornito all’ingresso? Oppure, quanti di noi preferiscono prelevare al bancomat, o pagare online un bonifico, anziché perdere tempo entrando in una delle agenzie della nostra banca di fiducia? Non è difficile immaginare che, nei prossimi anni, si senta sempre meno il bisogno della figura del cassiere, cosa che comporterà la mancanza di assunzioni in questo ruolo. Ma quali sono i due fattori che, più di tutti, stanno portando a questi rapidissimi cambiamenti?
Il primo è la sempre maggiore abilità delle macchine di controllare, gestire e analizzare i grandi flussi di dati. Non intendiamo però la gestione di dati prettamente informatici (nel gergo tecnico, big data), quanto la capacità delle macchine di analizzare lo spazio intorno a loro e reagire di conseguenza. Negli Stati Uniti, ad esempio, quest’anno è stato lanciato un robot mobile chiamato Baxer, capace non solo di caricare e scaricare oggetti pesanti, ma anche di confezionare pacchi e altre attività meccaniche relativamente semplici. Il suo costo? 19.000 dollari, all’incirca quanto lo stipendio annuale di un operaio non specializzato. Ma rispetto al salario dell’operaio, questa è una spese da sostenere una volta soltanto, esclusi eventuali costi per la revisione.
Il secondo fattore è invece rappresentato dalle sempre maggiori abilità cognitive delle intelligenze artificiali. L’esempio delle Google Car americane è probabilmente quello più lampante, anche se nel nostro paese è ancora difficile da immaginare. La presenza di auto senza guidatore, capaci di spostarsi da un lato all’altro delle città (seppur su corsie apposite, per ovvi motivi di sicurezza), è qualcosa che fino a pochi anni fa sarebbe sembrata impossibile.
Quali sono i rischi di questa automatizzazione sempre più dirompente? Sicuramente l’ineguaglianza salariale, dove una piccola (e ricchissima) élite di tecnici e programmatori monopolizzerebbe, di fatto, il mercato, arrivando a cancellare tutta la manodopera meno specializzata. Questo trend sembra ripercorrere quello delle precedenti rivoluzioni industriali, che hanno visto confluire la maggior parte della manodopera nel settore terziario.
La società dei prossimi anni si trova davanti a una sfida da far tremare i polsi. Dando per scontato che l’automatizzazione arricchirà sempre di più le aziende che la sfrutteranno, la sfida sarà duplice: assicurarsi che questa ricchezza in eccesso venga ridistribuita e, soprattutto, spingere i giovani a coltivare degli studi che contemplino la programmazione e il digitale.
Non è un caso che alcuni paesi, come la Finlandia, stiano valutando di inserire la programmazione come materia sin dalla scuola elementare. La quarta rivoluzione industriale sta avvenendo sotto i nostri occhi, più rapida che mai. Il timore è che si torni a vivere in un mondo con pochi ricchi e tanta disoccupazione, la speranza è che la ricchezza tecnologica sia invece il viatico verso un rinnovato benessere che manca ormai da troppo tempo.
Noi giovani siamo spettatori consapevoli di questo futuro che diventa presente, ma non possiamo ancora sapere se ne saremo vittime o beneficiari.