Ho avuto la fortuna di assistere ad uno spettacolo straordinario, che non sarà possibile rivedere perché non ci sono foto o riprese che ne conservino memoria. So, però , che resterà nel ricordo delle persone – studenti e insegnanti giunti da ogni parte d’Italia- che l’hanno visto, a Marano, all’ auditorium intitolato a Carlo Siani, nella terza giornata del Festival internazionale dello spot sociale.
Un evento teatrale, curato dall’associazione Agita, che vede insieme le Madri del festival ed i ragazzi del carcere minorile di Nisida. Fin dall’inizio si sentono dense nell’aria attenzione ed attesa pur in un contesto, come il festival di Marano, in cui siamo abituati ad assistere e a partecipare ad eventi straordinari capaci di emozionare, meravigliare e toccare le corde più profonde. Il gruppo di attori è già così inusuale da ipnotizzare il pubblico, ancor prima che lo spettacolo cominci. Il presentatore chiede al pubblico di non fotografare attori e momenti dello spettacolo: la magistratura ha concesso ai ragazzi di lasciare Nisida per qualche ora ma non di essere ripresi o fotografati durante la performance teatrale.
Altro elemento che incuriosisce: lo spettacolo è stato costruito in soli tre giorni. E la domanda silenziosa del pubblico, giovane e adulto, è la stessa: come hanno fatto, in tempi così brevi, attori e attrici, che sembrano appartenere ad universi così lontani, a condividere un’esperienza così intensa? La risposta è in uno spettacolo, semplice e lineare nella costruzione, ma di forte impatto emotivo, in cui le persone restano vere pur recitando, parlano di sé e sanno che questo incontro è autentico. Fin dall’inizio sembrano dimenticare il pubblico e avviano una conversazione densa, dove ogni parola è pietra, sul desiderio di una nuova prospettiva di vita, affacciata su universi di libertà, di nuove strade da percorrere, sul bisogno di relazioni di affetto mai vissute nella realtà. Fanno propri i versi di Alda Merini e di Edgard Lee Masters e lasciano ad uno dei ragazzi di Nisida l’ultima parola: “Se io fossi nato donna avrei voluto essere madre, perché non c’ è cosa più bella che crescere un figlio”. Leggere le madri accompagnano le parole con movimenti sobri, volteggiano con i figli acquisiti, rappresentando la maternità civica che realizzano nella pratica quotidiana.
Come si sia arrivati a questa fusione, sono loro stesse a dirlo, con la semplicità sapiente che le accompagna: “All’inizio i ragazzi erano diffidenti e noi stesse ci chiedevamo se saremmo mai riuscite a parlare veramente con loro, ad ascoltarli -ricorda Giorgia- avevamo solo tre giorni per sciogliere pregiudizi e diffidenze. Ci guardavano come se dicessero “queste sono venute a vedere gli animali dello zoo”. “E’ stata una scommessa che ci ha cambiate-racconta commossa Antonietta– perché , dopo questo incontro siamo diverse: fiere ed orgogliose di avere condiviso con loro questa esperienza. Ci hanno aperto un nuovo mondo, insegnato la condivisione, l’accoglienza, la speranza che si possono aprire altre strade” . Gli applausi, fragorosi e commossi, confermano che la magia della condivisione di cui parla Antonietta ha toccato anche il pubblico. E ora, cosa succederà ? “Provo una tristezza immensa quando penso che questi ragazzi ora torneranno tra le quattro mura del carcere per scontare una pena. C’ e ‘ stato un errore, forse una catena di errori nelle loro vite. Ora ricominceranno, in un’altra prospettiva” . Antonietta si ferma un attimo, forse per raccogliere le parole, forse per sciogliere l’emozione.
Poi riprende: “Quando li hanno applauditi i loro occhi brillavano. Quando sono andati via, avevano uno sguardo diverso. Di speranza! Per loro e per noi comincia veramente un nuovo viaggio”. Ecco, nelle parole di Antonietta è il segno di una maternità sociale che vuole tracciare e percorrere nuove strade di inclusione, accoglienza e ascolto, che pone la sapienza delle donne al servizio di un’idea di mondo giusto, equo. Per questo le Madri del Festival di Marano vanno oltre la realizzazione di un’ esperienza teatrale: creano un modello civico, da seguire e ripetere, che coniuga antica sapienza femminile e moderno spirito di cooperazione e impegno. Ora tornano agli stand culinari del festival: sono regine generose, sorridenti, leggiadre che nutrono centinaia di ospiti con i cibi odorosi e profumati della loro tradizione. Già pronte a ripartire per nuove battaglie civili, per continuare a prendersi cura del mondo. Loro sono Maria Sampognana, Giorgia Leone, Giusy Nebbia, Assunta Infante, Cetty De Gennaro, Paola De Campora, Simona Cataniello, Antonella Gala, Angela Giordano, Liliana Salza, Gabriella Perillo, Titta Pecoraro, Titti Micillo, Maria Casolaro.
Pina Arena