Nato colpevole. Quando la sorte ti rende ergastolano

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Abbiamo parlato spesso, noi del carrettinonews, di Carmelo Musumeci, ergastolano. L’abbiamo fatto con quella curiosità tipica di chi vuole capire cosa significa carcere duro, vivere sotto il regime del 41 bis ( il regime penitenziario che in Italia si applica a quegli ergastolani che avendo commesso grandi delitti non hanno voluto collaborare con i magistrati) non avere contatti con l’esterno, potere avere solo due ore d’aria al giorno e non riuscire neanche a sognare. Vi è un termine che Musumeci usa spesso quando deve parlare di quelle poche strutture penitenziarie dove si applica il carcere duro. “L’assassino dei sogni” nel senso che per un ergastolano che ha “un fine pena mai” per definizione e il regime del carcere duro, la stessa struttura carceraria, materialmente, intesa uccide i sogni. Tutti i sogni.

Non bisogna mai fare un eroe di chi, come Carmelo Musumeci, ha commesso rapine e delitti efferati con l’aggravante dell’associazione mafiosa. Questo non significa che non possiamo apprezzare gli sforzi compiuti per risalire la china, per ridiventare un uomo che ha riscoperto la sua umanità. Il suo percorso di reinserimento nell’umanità ha dovuto fare i conti con il suo passato e il risultato è stato “Nato Colpevole”.   È la storia della sua storia, un racconto rabbioso che non vuole spiegare come abbia fatto un ragazzino, nato nel 1955 in una Sicilia molto povera, a diventare un temibile personaggio della scena italiana, quanto piuttosto il perché quel ragazzino abbia scelto un giorno di diventare “cattivo”.

Noi fondamentalmente nasciamo buoni, i bambini sono buoni, ma io per difendermi ho fatto di tutto per diventare cattivo perché era l’unica arma che avevo per andare avanti” dice Musumeci, e continua: “Tutti i passaggi, tutto quello che ho passato lo descrivo, quindi è un libro particolare. Ho paura che non tutti riusciranno a capirlo. È faticoso diventare cattivi, tanti non lo sanno, molto faticoso”.

Dal titolo del libro e dalla storia di un bambino costretto dalla “sorte” a diventare cattivo, sembra che lei voglia giustificare il suo agire. Trovare una scusante alle rapine, agli omicidi, alla violenza sulle donne.

 “Io mi dissocio dal mio passato, anche se non ho mai collaborato con la giustizia per uscire dal carcere. Non ho mai voluto fare come quei collaboratori che si rendevano disponibili solo per uscire dal carcere e avere dei vantaggi. Io ho accettato la mia pena e ho collaborato a modo mio, cercando il rispetto della legalità in carcere, dicendo ai miei compagni di migliorarsi. E non è facile”.

Lavorando duramente su se stesso, imparando negli anni a mettere da parte la rabbia e a utilizzare il tempo in modo costruttivo, Carmelo Musumeci ha ripreso a studiare, conseguendo tre lauree in Scienze giuridiche, Giurisprudenza e Filosofia. Ha iniziato a scrivere, per combattere l’angoscia di non rivedere mai più la libertà, ha ricominciato a sognare e ha ritrovato dei motivi per cui vivere. Nel tempo ha incontrato la comunità Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, specialmente nella persona di Nadia Bizzotto, una collaboratrice che ormai è una sua carissima amica: “C’è la responsabile della struttura dove lavoro che mi segue da tanti anni. È un po’ il mio angelo custode… a volte io la chiamo il mio diavolo custode perché è una persona eccezionale che è in sedia a rotelle, disabile, che dirige, che è quella che mi ha dato la forza”, dice.

Lei ha una sua idea del carcere e di come dovrebbe essere applicata la pena?

 “Il carcere dovrebbe fare bene, dovrebbe cambiare le menti e i cuori dei detenuti, invece li incattivisce. Il problema è questo. Il carcere dovrebbe fare bene, dovrebbe essere una medicina, mentre in realtà è una malattia, non ti fa uscire col senso di colpa, cosa che dovrebbe fare un buon carcere, dove ti trattano con umanità e con affetto sociale. Il carcere non deve punire, deve guarirti”.

Forse dimentica che la pena deve essere anche afflittiva, sia pure con umanità, anche se sembra un controsenso, ma afflittiva.

 “Io ho tanta umanità anche dentro. Il discorso è che tanti pensano che uno è una brava persona, che è una persona per bene se rispetta la legge. Ma uno può rispettare la legge ed essere un criminale. È la legge del cuore da rispettare”.

Mi consenta di dissentire. Anche se riconosco che in carcere uno può pure migliorarsi.

“Se uno migliora vuole vivere la sua vita meglio. Lottare è sempre bello, l’importante non è vincere ma lottare”.

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