PICCHIATA A MORTE, MUORE A 33 ANNI.

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Omayma Benghaloum aveva 33 anni.

Tunisina, legata alle sue tradizioni, il velo faceva da cornice a due occhi grandi e un sorriso apparente.

Moglie del suo assassino, Fauzi Benghaloum, di venti anni più grande di lei e, soprattutto, madre di quattro splendide bambine, di 12, 8, 4 e 2 anni.

Il suo lavoro di mediatore culturale l’aveva portata oltre il suo velo, oltre le sue tradizioni, fino ad abbracciare il disagio dei migranti, fino a confortarli, fino a sentirsi così vicina a chi soffriva da nascondere il suo dolore.

Sì, il dolore di una donna che aveva in passato già denunciato le violenze del marito, per poi ritirare la denuncia. Il dolore di una donna che veniva maltrattata davanti le sue bambine.

Siamo al porto di Messina, intorno alle 18.00 del 3 settembre. Sbarcano 833 migranti.

Omayma, mediatrice per l’ufficio immigrazione della questura, viene chiamata per svolgere il suo lavoro. Il tempo passa e comincia a farsi tardi. La donna, intorno all’una di notte, inizia ad agitarsi, come racconterà una sua collega che l’affianca nello sbarco.

Torna a casa, è tardi. Rientra nel suo appartamento sito in via Comunale Sperone, villaggio che si affaccia sul litorale Nord di Messina. Apre la porta. L’uomo è lì ad aspettarla. Inizia l’inferno.

La picchia. La picchia fino ad ucciderla. Poi, proprio come se fosse un rituale, come se era già tutto scritto, Fauzi prende le sue quattro figlie e si reca presso il commissariato di Messina Nord per costituirsi. Arriverà sul posto la Squadra mobile per gli accertamenti coordinati dal magistrato Pietro Vinci.

Muore una donna. Un’altra. Ormai non si contano neanche più.

Muoiono le sue quattro figlie, destinate a subire la violenza di una società che non tarderà ad arrivare.

Quella società che gli ricorderà per sempre, quanto peso ha la sua cultura secondo il nostro finto perbenismo;

quanto peso ha quel velo secondo la nostra sterile coscienza;

quanto peso hanno quelle botte mortali su quattro donne marocchine.

Ora sono state accolte da una Casa Famiglia. Vittime. Qualcuno domani le chiamerà carnefici. Magari quel domani è già oggi.

Chi gli darà voce?

Chi gli insegnerà ad avere voce?

Noi italioti? Che imbavagliamo chiunque consideriamo “diverso” e lo mettiamo al muro, per poi…<<caricare…>>…<<sparare…>>.

Sparare in una guerra ideologica senza fine.

Qualcuno parla di femminicidio. Altri di Genocidio. Altri ancora di Olocausto.

Io dico semplicemente morte. Muore l’uomo e la sua essenza, l’umanità.

Non siamo tutti orfani? 

 

Monica Capizzano – Criminologa

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