Le celebrazioni del 1° agosto segnano un nuovo anniversario, il 31esimo, del dolore e della commozione dei familiari delle vittime della strage di Bologna. Era l’estate del 1980 quando 23 kg di esplosivo di vario genere squartarono la stazione bolognese di piazza Medaglie d’Oro provocando 85 morti e più di 250 feriti. Nonostante i tempestivi sforzi del Governo, presieduto da Francesco Cossiga, di attribuire l’esplosione allo scoppio di una caldaia, le indagini si indirizzarono subitamente verso il terrorismo nero, portando la Procura della Repubblica di Bologna all’emissione di 28 ordinanze d’arresto, tutte per i militanti dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Poi il processo estenuante, iniziato nel gennaio del 1987 e terminato nel novembre del 1995, con in mezzo una ripetizione del primo processo d’appello, la cui sentenza di assoluzione per tutti gli imputati viene giudicata dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione – il 12 febbraio 1992 – in questi termini: «illogica, priva di coerenza, non ha valutato in termini corretti prove e indizi, non ha tenuto conto dei fatti che precedettero e seguirono l’evento, immotivata o scarsamente motivata, in alcune parti i giudici hanno sostenuto tesi inverosimili che nemmeno la difesa aveva sostenuto». Alla fine, grazie soprattutto alla volontà ed alla forza dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 – che oggi comprende più di 300 tesserati – si giunse alla condanna definitiva, all’ergastolo, come esecutori materiali dell’attentato, Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro dei NAR, alla quale la Corte di Cassazione faceva accompagnare altre 4 condanne per depistaggio, il primo per il Maestro Venerabile della P2 Licio Gelli, altri due per gli ufficiali dei servizi segreti Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, l’ultimo per il faccendiere ed agente del SISMI – Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare – Francesco Pazienza, che in un’intervista di Milena Gabanelli per Repubblica del 2009 dichiarava, quasi a sua discolpa: «il depistaggio è stato fatto dal Sismi per non fare emergere la vera verità della bomba di Bologna. Secondo l’allora procuratore Domenico Sica c’era di mezzo la Libia, e coinvolgerla in quel momento avrebbe voluto dire tragedia per la Fiat e per l’Eni […] l’Italia non poteva sottrarsi agli obblighi Nato, e quindi doveva fare un accordo con Malta, per proteggerla in caso di attacchi del colonnello Gheddafi. L’accordo fu firmato, e Gheddafi fece la ritorsione. Ustica porta la stessa firma». La pista mediorientale, d’altronde, è diventata un must per le forze più o meno reazionarie italiane, tanto che ancora nel 2008 Cossiga si diceva convinto – in un’intervista al Corriere della Sera – dell’innocenza dei terroristi neri, attribuendo la strage alla mano del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, mentre una versione che porta ad Est è avallata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta facente riferimento al famigerato dossier Mitrokhin, che fa anche il nome di Carlos, alias Ilich Ramírez Sánchez, terrorista e mercenario venezuelano, attualmente scontante l’ergastolo in Francia per tre omicidi, ma conosciuto per le sue relazioni lavorative con diversi governi mediorientali e con i fronti rivoluzionari palestinesi, che dal carcere qualche anno fa’ dichiarava, scagionando gli attivisti neofascisti, come «a Bologna a colpire furono CIA e Mossad».
Tuttavia, l’unica verità riconosciuta è quella delle Corti, le quali, il 9 giugno 2000, emisero altre tre condanne per depistaggio: 9 anni di reclusione per Massimo Carminati, estremista di destra e tramite fra i NAR e la banda della Magliana, e 4 anni e mezzo per Federigo Mannucci Benincasa, ex direttore del SISMI di Firenze, e Ivano Bongiovanni, delinquente comune. L’ultimo condannato, nell’aprile 2007, dopo una lunga trafila giudiziaria causata dallo status dell’imputato – al tempo della strage era minorenne – è Luigi Ciavardini: 30 anni di carcere per lui, che si sono andati ad aggiungere ai 23 – scontati a 14 – per gli omicidi del brigadiere Francesco Evangelista e del giudice Mario Amato.
Ogni anno il corteo della memoria di uno dei momenti più drammatici dell’Italia repubblicana arriva silenzioso di fronte la stazione Centrale, ed ogni anno suona la sirena. Alle 10:25 in punto. La verità è che la verità di quel che successe è lì, nelle lacrime e nei pugni stretti di chi ha abbandonato un caro sotto le macerie dell’ala ovest. Nessuna verità sarà mai più spietata di quello che già si sa, dei morti – sempre troppo di Stato – e di quei anni così bui che, a volte, sembrano voler tornare in visita.