Il Sindaco del Comune è un organo istituzionale che, secondo la legge e principi giuridici generali, ha la rappresentanza della Città. Rappresenta tutta la comunità cittadina e in questo senso ad esso è demandato il compito di tutelare gli interessi comuni e raccogliere le istanze dei cittadini. E’ pur vero che non è l’espressione di un voto o di un consenso popolare unanime ma è, in ogni modo, l’espressione di una maggioranza di cittadini che lo ha votato.
Pertanto al di là dalle simpatie personali o politiche le due prerogative principali, tutelare gli interessi comuni e raccogliere le istanze dei cittadini, si estendono a tutta la cittadinanza, dal ricco, al povero, al cassa integrato, alle donne, ai minori, sino al disoccupato, al carcerato, alle minoranze, ai no global, ai no ponte, ai drogati, ai rom . Insomma a tutti, anche alle minoranze, perché se cosi non fosse si giustificherebbe la nomina di altrettanti Sindaci ai quali demandare gli interessi delle numerose categorie che caratterizzano una città di oltre 300.000 abitanti, come Messina.
E’ questa, quindi, la caratteristica oggettiva che contraddistingue un Sindaco da un Amministratore.
Tanto è vero che la legge pone una netta distinzione tra organo politico, a cui è demandato il compito di fornire i necessari indirizzi e fissare gli obiettivi da raggiungere per la tutela degli interessi comuni e per la risoluzione delle istanze dei cittadini, e organo amministrativo, i Dirigenti, a cui è demandato il compito di eseguire e dare concreta attuazione alle direttive politiche.
Se questa è la legge, o meglio lo stato del diritto vigente, diventa difficile giustificare le molteplici interferenze che gli organi politici cittadini attuano quotidianamente nei confronti dell’agire amministrativo. Pertanto e invocando a gran voce il pur meritorio intento del “fare”, calpestano i molteplici diritti dei cittadini e i non meno importanti Diritti Umani.
E’ su gli occhi di tutti, ad esempio, l’immagine degli sfollati di “Maregrosso”, la zona falcata cittadina, dove Ordinanze Sindacali di sgombero, disposizioni Assessoriali, interrogazioni Consiliari (tutti organi politici), dopo 40 anni di dimenticanze e colpevoli silenzi, hanno determinato il nascere dei nuovi “profughi”, Rom e Rumeni, che in mancanza di preventivi ricoveri andranno a formare una nuova “favelas” cittadina.
Ci vergogniamo, e sono sicuro la maggioranza dei cittadini di Messina si vergogna.
In fin dei conti Messina fino a una decina d’anni fa era fatta di baracche e stamberghe, lo sappiamo ed abbiamo ancora esperienza, o personalmente o per sentito dire, cosa vuol dire avere e sentire freddo, lavarsi nella tinozza di plastica perché non si aveva la vasca da bagno, dormire in tre nello stesso letto. Si, lo sappiamo.
Or bene, proprio perché lo sappiamo, ci domandiamo, e sono sicuro anche la maggioranza dei cittadini di Messina si domanda ma:
- I Dirigenti dov’erano?
- Dov’era il Dirigente dei Servizi Sociali, cui è demandato il compito di provvedere in questi casi ?
- E perché il Dirigente a cui è stata affidata l’attività di sgombero, davanti all’esistenza sui luoghi da risanare di molteplici nuclei familiari, non ha richiesto preventivamente una conferenza dei servizi per risolvere a monte il problema?
- Dov’era poi il Dirigente del Risanamento ?
- Quante sono le ordinanze di sgombero inevase ?
- Secondo quali parametri si decide a quali ordinanze dare esecuzione e a quali soprassedere ?
- Dopo quarant’anni d’immobilismo dove risiede l’urgenza e la contingibilità che dovrebbero caratterizzare le ordinanze ?
Potremmo continuare sino a raggiungere le fatidiche dieci domande oggi tanto di moda ma preferiamo puntualizzare che, pur apprezzando “l’istanza” di recuperare al bene comune la zona falcata di Messina, questa nuova politica del fare dissociata e distaccata dall’attività amministrativa dei Dirigenti alla lunga crea e produce più disastri che benefici.
E’ notorio che da diverso tempo e in molte occasioni gli organi politici del Comune hanno evidenziato e stigmatizzato un certo lassismo e immobilismo della classe dirigenziale e forse ingenerosamente, hanno sempre più spesso attribuito a colpa e demerito dei Dirigenti i ritardi e i disservizi dell’azione amministrativa.
Da ultimo sovviene l’esempio del Dirigente del Risanamento, fatto oggetto di un duro attacco da parte del Sindaco per essere stata assente alla conferenza stampa e alla presentazione politica del progetto relativo al primo stralcio del risanamento di Fondo fucile per n° 25 alloggi. In questo modo mentre sull’altare del fare politico si applaudiva al “presunto” primo progetto interamente redatto da tecnici interni all’amministrazione, dall’altro si provvedeva a crocifiggere pubblicamente l’Arch. Maria Canale, dimenticando che nella qualità di Dirigente Tecnico la stessa non può non aver coordinato i tecnici redattori del progetto. Infatti la legge equipara il Dirigente al datore di lavoro, cui per definizione compete l’onere e l’onore di eseguire e dare concreta attuazione alle direttive politiche, mentre equipara il personale interno, tecnico e amministrativo, alle maestranze lavorative del datore di lavoro.
Ora senza voler criticare nessuno dei tecnici, passati o presenti, corre l’obbligo di precisare come per carenze, errori, riserve dell’impresa, arbitrati, contenziosi e pignoramenti, un’opera, dal progetto all’esecuzione, lievita il suo costo preventivato di un buon 25%.
Pertanto nasce spontaneo richiedere un maggiore coordinamento tra organo politico e organo amministrativo che all’interno di un generale quadro di legalità e del buon andamento anche economico della Pubblica Amministrazione possa passare da una politica-presenzialista del fare a una politica-amministrativa del buon fare.
Avv. Pietro Giunta