Quindici anni fa veniva ucciso il professore Matteo Bottari. Un omicidio che è uno spartiacque per la storia di Messina, e che ancora oggi non ha moventi né mandanti. Il Rettore Franco Tomasello, all’epoca in corsa a modo suo per un rettorato che conquistò diversi anni dopo, oggi chiede venga fatta piena luce su quell’evento, chiede giustizia. Sulla scia dell’omicidio, a Messina scoppiò il così detto “verminaio”, lo scandalo travolse l’ateneo e si aprirono inchieste su appalti, gestione del Policlinico, compravendita degli esami. Tintinnarono le manette, con la maxi inchiesta Panta Rei. Vennero anche vagliate alcune posizioni, e indicati possibili mandanti, subito dopo archiviati. Nessuna pista portò elementi giudicati utili a fare chiarezza. Tra i tanti affari di quegli anni, al centro di processi, ce n’era uno per i servizi di pulizia. “Quell’appalto ci faceva paura”, affermò Turi Leonardi, allora direttore generale del Policlinico, deponendo al processo Panta rei. Nessuno gli chiese perché. Nel 2001 vennero intercettati in un bar del centro il giudice Giuseppe Savoca , l’imprenditore Salvatore Siracusano e l’avvocato Lillo Arena.
La cassetta con la registrazione restò nei cassetti degli investigatori fino al 2005, poi venne filtrata e trascritta nel corpo di un’ordinanza che pone agli arresti il giudice e l’imprenditore. Dall’intercettazione, così come trascritta nell’ordinanza del Gip di Reggio Calabria, emergono le peggiori nefandezze: fuga di notizie, traffici di armi e droga, e si parla di uccisioni, ferimenti e di Bottari. I protagonisti iniziano una guerra con gli investigatori denunciandoli per aver falsificato la cassetta. Non avrebbero mai parlato dell’omicidio(e in effetti chissà quanti Bottari sono stati ammazzati a Messina, suvvia, stai a guardà che si parla proprio di lui!) Anzi, dicono, noi Bottari non lo sentiamo proprio, in cuffia, nella cassetta, questa intercettazione è stata manipolata, falsificata. Ci vorranno 7 anni perché gli ufficiali della Dia di Messina vengano prosciolti dall’ipotesi di aver manipolato quella cassetta. Intanto, però, tra denunce e contro denunce, nessun organo inquirente si arrischia a prenderne seriamente in considerazione il contenuto. O a chiedere ai dialoganti di rendere conto per lo meno di cosa stavano parlando; di un caffè e un cornetto, probabilmente, essendo al bar. Ci provò l’allora procuratore capo Luigi Croce, che chiese e ottiene gli atti dai colleghi di Reggio Calabria che hanno arrestato Savoca e li affida ai più “blindati” tra i suoi sostituti, Nino Nastasi e Rosa Raffa. Anche loro ordinarono una nuova perizia sul nastro, affidata al “solito” Gioacchino Genchi, e nel frattempo spuntò pure un testimone. Ne scrissi una volta, su Centonove, carte alla mano. Oggi del fascicolo non si conosce la sorte.
La Raffa e Nastasi sono stati trasferiti, abbiamo un nuovo procuratore capo, nel quale speriamo visto conclamato e lodato coraggio, dimostrato nella sfida alla mafia di Barcellona, dove infatti oggi si respira tutta un’altra aria…Nelle more anche l’indagine su Savoca e Siracusano venne archiviata. I giudici di Reggio Calabria archiviano il collega messinese senza neppure passare per l’udienza preliminare, con una motivazione che è, come spesso in questi casi, salomonica: lo prosciolgono, non ravvedono reati, ma sono certo teneri nel giudicare la sua condotta. Savoca intanto querela quasi tutti i giornalisti. Della sua inchiesta ne ho scritto per due anni ogni settimana su Centonove: il giudice mi archivia e mi porge tante scuse, malgrado la denuncia del collega Savoca. Ne ho scritto anche su La Sicilia. Forse cinque volte, sei al massimo. Ieri, a 7 anni e 9 mesi dai fatti, sono stata condannata a 9 mesi di reclusione (attenzione, di reclusione, non di arresto) La denuncia di Savoca lamentava il fatto che avessi riportato della richiesta di atti da parte di Croce ai colleghi reggini nella stessa data nella quale il fax con la richiesta di trasmissione era stato protocollato. Andando in stampa in giorno prima, non potevo saperlo. Me lo sarò inventato, avrò sognato l’intendimento di Croce che l’indomani poi lo ha fatto. Peccato che il fax sia datato il 10 maggio. E la notizia esce sul Giornale del 12 maggio… Lamenta anche che io ho riportato alcune frasi di quel benedetto o maledetto nastro.
Per l’esattezza ho riportato fedelmente i pezzi dell’Ansa. Che non è stata mai querelata per quei lanci d’agenzia. Non le è mai pervenuta una richiesta di rettifica, precisazione o risarcimento. Il giudice sembra impipparsene anche della prescrizione, bontà sua sicuramente qualche cavillo procedurale l’avrà fatta slittare a dopodomani…Intanto mi ha condannato. Il dottore Savoca è venuto a rendere in aula la sua versione di parte offesa. Quella mattina c’era un casino nell’aula del giudice monocratico Andrea Esposito, una serie di cause infinite, come spesso accade nelle nostre aule di giustizia. Ad un certo punto il giudice, per riportare la calma nel caos che si era creato, “minaccia” di rinviare tutto a data da destinarsi. Savoca gli si avvicina, si cambiano due parole neppure tanto a bassa voce, Savoca tuona una frase del tipo “lei sa chi sono io?” ed Esposito gli risponde che per quel che lo riguarda può essere anche il papa…Finisce che Savoca depone, qualche ora dopo. Una deposizione che merita un capitolo di trattazione a sé. La cosa più “innocua” che Savoca riesce a dire è che aveva querelato la Gazzetta, poi l’allora direttore gli promise di non scrivere più nulla della faccenda… Nelle more che Esposito decida sul da farsi, erano passati da quelle parti tutti i giudici messinesi che lavorano a Reggio.
Sarà stato un caso, o forse volevano salutare l’ex loro presidente, che sicuramente papa non è, ma non gli mancano le truppe cammellate. Dopo Savoca, vengono a deporre in mio favore poliziotti e magistrati. Anche un collega della Gazzetta, che fa impallidire la difesa della parte civile, leggendo in aula diverso materiale dell’inchiesta. Un altro suo collega fa il diavolo a quattro per non testimoniare; avrà avuto le sue ragioni…Ieri udienza straordinaria per una semplice querela, la mia, ma prima di celebrarla il giudice Esposito sente il bisogno di riunirsi col suo presidente. In attesa del verdetto, pur potendo aver fede nella prescrizione, scommetto nella condanna a sei mesi per quel principio di salomonicità dei verdetti cui mi hanno abituato le corti quando si tratta di casi “delicati”. Sei mesi e una motivazione che offra lo spunto per un appello che la straccerà. Invece il giudice, prima di “scappare” letteralmente dall’aula, se ne esce con una condanna a 9 mesi di reclusione. In pratica dopo 15 anni per l’omicidio Bottari o quel che resta, un solo processo e una sola condanna, quella di un giornalista. Chissà se qualcuno ha ringraziato chi.
E chissà cosa ne pensa Tomasello.
Saro Visicaro, in occasione della diciottesima Befana di Meter & Miles, mi ha chiesto di scrivere una nota sui problemi dell’informazione, e in particolare sulla difficoltà di fare inchieste, a Messina.