A scuola di scalate alle vette del sapere

Ma siamo così sicuri che la madre di tutti i mali si chiami Berlusconi Silvio? Non che non abbia le sue responsabilità: ci tengo a sgombrare subito il campo. Nessun tentativo, da parte mia, di assolvere al ruolo di avvocato difensore del delinquente nazional-abituale. Ma mi chiedo e vi chiedo su quali basi poggia la nostra democrazia se non è stata in grado di attaccare un corpo estraneo, di accerchiarlo e isolarlo perché ritenuto una minaccia all’ordinamento costituzionale e per la salute giuridica e culturale del Belpaese. Questo doveva succedere. E, invece son vent’anni che ne parliamo.

Giro per le vie di Palermo, la mia città. Ma potrebbe trattarsi di Roma o Napoli, Milano come pure Brindisi. Scegliete voi la città: non credo faccia differenza. Giro per le vie, dicevo, e per le scuole. Quanti di voi hanno prestato attenzione a come sono fatte le nostre scuole? Sono certa che tutti noi abbiamo una conoscenza ristretta, che si limita alle scuole frequentate dai nostri figli. Punto. Invece sarebbe un’esperienza da fare, vi assicuro. La scuola è il polso del grado di salute della nostra coscienza repubblicana. Sarebbe un pellegrinaggio da compiere, una gita istruttiva per tutti noi. Ci accorgeremmo, così, di che cosa è, fisicamente, un edificio scolastico: nella maggior parte dei casi si tratta di palazzoni anonimi alti anche parecchi piani.

A volte, è incredibile ma accade, sulla sommità di queste altezze svettano i colori dei panni stesi dai balconi delle abitazioni private che ricadono sopra gli “edifici scolastici”. Oppure ti ritrovi alla fine di una strada cieca, che si affaccia sulle campagne periferiche sub urbane. Scuole nascoste alla vista. Isole. Avulse da qualunque contesto. Quasi corpi estranei al tessuto urbano ed umano.

Entrarci dentro poi, nelle scuole dico, è un’esperienza indimenticabile: una scuola dovrebbe essere un templio della cultura, un’officina artigianale (e professionale) dentro cui si lavora alla costruzione dell’Uomo. Tutto dovrebbe parlarci di questo. E invece ti capita di essere circondato da pareti anonime, da muri di cemento, dalle vetrate di una veranda (abusiva?). Cerchi la biblioteca: dovrebbe essere il centro propulsivo di ogni scuola, di una cultura gratuita e per tutti, senza differenze di censo. L’esperienza mi dice, invece, che spesso sono luoghi nascosti, ignorati dai loro stessi utenti naturali: stanno ai piani alti degli edifici, vicino alla presidenza o agli uffici scolastici. E quando mai ci passa davanti uno studente o, ancora meglio, ci entra dentro?

Isole dentro altre isole. Alte e inaccessibili. Non pensate, non progettate per l’uso cui sono destinate. Una biblioteca scolastica dovrebbe stare al centro di una scuola: bella, invitante e trasparente. Accessibile e fruibile. Da tutti, anche dagli adulti, anche dai genitori degli allievi, dai nonni, dalle donne, dai single. (Detesto le etichette: sono gabbie concettuali) Un luogo normale di incontro. E non una anonima torre del “sapere”. E a cosa serve tutto questo sapere se resta rinchiuso fra uno scaffale e l’altro, ricoperto di polvere dentro una stanza che manco si sa dove si trova? Ho parlato con tanti insegnanti. Quanti vorrebbero dare opportunità di conoscenza, di riscatto ai loro ragazzi! Tanti piccoli artigiani delle coscienze che devono scontrarsi con i conti. E si, non lo sapete? Le scuole sono aziende. Rispondono a criteri di produttività, economicità ed efficienza (……) tipici delle aziende. Commercio, mercato. Né più né meno. Siamo così preoccupati ed attenti ai nostri figli. Sempre pronti a non fargli mai “mancare nulla”. Cioè l’ultima versione dell’ipad, del cellulare, delle scarpe di marca, della pizza, dei viaggi (ma sempre solo verso dove possiamo controllare cosa fanno, chi incontrano, quando rientrano). Mai che ci preoccupiamo di cosa leggono, di come trattano e considerano il compagno di banco, se sono attenti a non mortificarlo perché indietro con le lezioni, perché povero, perché maggiormente in difficoltà. Quante volte abbiamo chiesto ai nostri figli se sono disposti ad aiutarli questi compagni di confine? In fondo la scuola servirebbe anche a questo: scuola e famiglia, le due “agenzie educative” per eccellenza, così si chiamano, dovrebbero concorrere a sviluppare nei ragazzi quel sistema di valori su cui si fonderà la società di domani. Ma se c’è già una differenza di partenza fra le possibilità che una scuola può offrire rispetto a un’altra, se alcune scuole sono “cool” rispetto ad altre, se insegniamo ai nostri figli a sgomitare alzando la mano per primi a svantaggio degli altri per dimostrare agli insegnanti il  grado di preparazione, se insegniamo loro, implicitamente, che apparire è più importante di essere, di cosa ci stupiamo poi? Di appena un ventennio di berlusconismo?

E cosa ha fatto di così tremendo Berluscini Silvio se non incarnare perfettamente il ventre molle delle nostre bassezze? Il berlusconismo sopravviverà. Che il delinquente nazional-abituale vada in galera oppure no.