Migliaia di aziende coi lucchetti alle porte, migliaia di padri e madri di famiglia in cassa integrazione, che stentano a proseguire una vita “normale” con le briciole della disoccupazione che lo Stato lancia dalle sue maestose finestre. E mentre Michele Santoro , ormai “licenziato” dalla Rai, chiede la beneficenza ai suoi fedelissimi per finanziare il suo “servizio pubblico” con un’offerta minima di 10 euro, a Osnago, piccolo paese della provincia di Lecco, il sindaco e il parroco chiedono 10 euro per sostenere le famiglie in difficoltà.
Ecco come la scala dei valori si rivolta come un calzino. Messa sotto sopra, a testa in giù e piedi per aria. Non che i piedi non servano a camminare, ma è dalla testa che partono tutti i comandi per far funzionare il resto del corpo. Allo stesso modo, sarà pure “vitale” un’informazione “senza padroni” come quella che vuol mettere in piedi, mattone dopo mattone, Michele Santoro con la nostra mano nel portafoglio, ma lo sarà meno se sempre meno persone potranno accedere a questa “libera informazione”. Se si rischia che famiglie intere restino con pc disconnessi e televisori spenti pur di racimolare un modo per arrivare alla fine del mese, non dico a stomaco pieno, ma non del tutto vuoto. Ed ecco che, forse, quella campagna “10 euro per un mattone” reclamata da Santoro (riprendendo lo slogan del marchio Dash del 1987) sembra stridere un pò, se quel mattone non serve per mettere in piedi una casa. Ma un nuovo “servizio pubblico”. Che sia davvero questo il “servizio pubblico” di cui il popolo italiano ha bisogno?
E se i “grandi”, i personaggi pubblici, che potrebbero fare qualcosa, restano impietriti a guardare, mummificati come faraoni nei loro sarcofaghi, c’è chi invece, nel suo piccolo, nel silenzio dei microfoni, a telecamere spente, si adopera per raccogliere i pezzi di questa Italia in frantumi e prova a rimetterli insieme. Anche se il puzzle è troppo grande per ricomporlo tutto, tutto in una volta. C’è chi, invece di stare come faraoni, come mummie nelle piramidi, prova a risorgere dalle ceneri di un presente che brucia le speranze per rinascere a nuova vita, come un’araba fenice. Come il piccolo centro di Osnago. Perchè la crisi “non è solo un problema di grande finanza”. La vera crisi è la battaglia di tutti giorni, nelle piccole realtà. Dove i “meno” (-) e “più” (+) sono ben altro che indicazioni dell’andamento delle borse. Sono “meno lavoro, meno cibo, meno vestiti” e “più disoccupazione, più tasse, più bollette che non si arriva a pagare”.
A Osnago sono tante le famiglie che, come nell’amaro quanto reale dipinto fatto in precedenza, vivono di stenti per arrivare a fine mese. Per molte altre non esiste neache la fine del mese, da attendere con paura, ma anche con la speranza che il mese prossimo vada meglio. Che il mese prossimo la bolletta del gas sia meno cospiqua, che non arrivi la lettera dell’amministratore di condominio per il pagamento del semestre. Sono tante le famiglie costrette a raccomandare ai figli di accendere il meno possibile la luce, la televisione, il computer. Tante le famiglie i cui membri hanno perso il lavoro e per le quali, d’improvviso, quella vita “normale” che avevano cercato di ritagliarsi diventa carta straccia. Per le quali, d’improvviso, televisione e computer diventano beni di lusso. E così l’automobile e il cellulare (che diventa piuttosto un bene inutile se non puoi ricaricarlo). Tante le famiglie in cui diventa difficile affrontare le spese scolastiche. Tante quelle i cui membri rinunciano al dentista, al dottore, alle medicine. In cui si mettono da parte i soldi per quell’importante visita medica e poi finiscono sempre per sopperire al pagamento di qualcos’altro. In questo modo anche le cure mediche diventano beni di lusso. E allora viene in mente lo spot tanto discusso della casa automibilistica Lancia, in cui Vincent Cassell recitava austero “il lusso è un diritto”. Niente di più vero se solo non si trattasse di un’automobile. Il lusso è davvero un diritto, o forse sarebbe meglio dire che “il diritto è un lusso”, o quanto meno lo è diventato.
Il diritto a una vita dignitosa. A Osnago si calcola che oltre 200 persone abbiano perso il posto di lavoro, e con esso il suddetto diritto. Ai servizi sociali di questo piccolo comune arrivano, numerose e allarmanti, le richieste di sostegno del 60% della popolazione che lo compone per il pagamento di affitti o bollette. La crisi economica, il ceto dei cosiddetti “nuovi poveri” che va ad allargarsi a macchia d’olio sono cose ormai note ai più. Ma il livello di povertà che sta investendo e inquindando la vita di molti, come il petrolio fa con i pesci, è davvero irreversibile. Come irreversibile è il disastro ambientale quando quella macchia di petrolio si estente a tutto il mare. Allora non bastano le borse alimentari, le offerte domenicali nella parrocchia e i sussidi economici. Così, dalla disperazione e dalla voglia di rimboccarsi le maniche e arginare la crisi, nasce un progetto molto più grande. “Adotta una famiglia!”. E’ questo l’appello che il Primo Cittadino di Osnago e il suo parroco lanciano a tutti gli abitanti del paese, e non solo. Per farlo bastano dieci euro al mese (la stessa somma che basta per pagare il “canone Santoro”) e l’impegno che questi siano costanti per un minimo di 6 mesi fino ad un massimo di 12. L’iniziativa, infatti, che ha tagliato il nastro del via lo scorso Ottobre, ha durata di un anno. Al termine di ottobre 2012 si passerà alle valutazionii dell’esperimento, per verficarne l’efficacia e per stabilire se sia necessaria la sua proroga.
Intanto l’intervento viene integrato con la raccolta in chiesa di generi alimentari, ma anche di capi d’abbigliamento in buone condizioni o dismessi da destinare alle famiglie più bisognose. Comune e parrocchia mettono a disposizione le case di accoglienza per le famiglie che hanno subito sfratti e sono prive di dimora, oltre che un affiancamento per i bambini della scuola primaria nello svolgimento dei compiti.
Con questi piccoli, ma significativi gesti, Osnago fa la differenza. E fa il tentativo, nella sua circoscritta realtà, di restituire ad ognuno quel diritto che era diventato lusso per pochi. Il diritto ad avere un tetto sopra la testa, generi alimentari nel frigo, vestiti dignitosi per coprirsi, un’istruzione. Mentre “dall’alto” vogliono togliere agli italiani tutto questo, in particolar modo un’istruzione pubblica accessibile a tutti, mentre si favorisce la fascia della popolazione benestante abbandonando la restante parte fino a farla sparire, mentre ci si lagna di tutto questo seduti nei bar, negli uffici o per le strade lasciando nient’altro che disordine e violenza, qualcuno si è alzato, a Osnago, e ha detto “Ora ci penso io”! Lasciando da parte le lamentele di un sistema che ci sta portando all’autodistruzione, lasciando da parte i giudizi su rapporti tra le nazioni, su ciò che avviene nei paesi del mondo. Perchè è facendo e non dicendo che le cose possono cambiare. E perchè è sciocco quanto inutile pensare di potersi lanciare in grandi imprese di rivolta, quando poi non si cerca di far nulla, nel proprio piccolo, per spostare le cose da dove sono. Ed è certo che come Osnago, tanti piccoli o grandi centri, si adoperano in tal senso. Bisognerebbe, forse, togliere il mocrofono a qualcuno che “tanto parla e nulla tringe” e lasciarlo a loro, a questi comuni che si aiutano, perchè, come si suol dire “autati che Dio ti aiuta”. Senza aspettare ancora briciole. Bisognerebbe lasciare a loro i microfoni, così da poter fare eco, così da potersi mettere spalla a spalla. Perchè una goccia è solo una goccia. Ma tante gocce, insieme, formano il mare. Forse bisognerebbe che anche Messina ascolti.