Agenda 2000, l’occasione perduta della Sicilia

Avrebbero dovuto sostenere la crescita economica e fare della regione il cuore pulsante dell’Euromediterraneo. A tale fine, sarebbero dovuti servire per dotare il territorio, magari dopo averlo messo in sicurezza, di infrastrutture moderne e così favorire i collegamenti commerciali, rendere competitive le aree industriali e chiudere virtuosamente i cicli dei rifiuti e dell’acqua. Senza dimenticare quel capitale umano, da formare e aggiornare con lauti finanziamenti, che in un sistema in rapido sviluppo si rende necessario per coglierne e implementarne le opportunità. Insomma, i fondi di Agenda 2000 avrebbero dovuto (e potuto) rappresentare la svolta per avvicinare la Sicilia all’Europa.

Stando ai vari indicatori economici e ai recenti fatti di cronaca (da Giampilieri a Bellolampo, dall’Etna valley a Termini Imerese), sembra evidente che i circa 10 miliardi messi a disposizione dall’Ue sono stati un’occasione persa. Di sicuro, sono andati persi i circa 100 milioni di euro che la Regione non è riuscita ad impegnare entro il 30 giugno 2009, data ultima per utilizzare le risorse di Bruxelles. E sarebbe potuto andare peggio, se in quel dell’ufficio della Programmazione, non si fossero fatti i salti mortali per recuperare un ritardo che a fine 2008 toccava il 10 per cento di fondi ancora disimpegnati (ossia quasi un miliardo).

Ma il ritardo più grave, al di là dei soldi persi e in barba alle ingenti risorse investite, è quello che la Sicilia ha continuato ad accumulare nei confronti dello sviluppo.
Per misurarlo, si può lanciare uno sguardo rapido agli indicatori della strategia di Lisbona, ossia agli obiettivi che l’Unione europea ha posto agli stati membri, come la crescita complessiva del 3 per cento del Pil o il tasso d’occupazione del 70 per cento. Obiettivi da raggiungere entro il 2010. Ma stando a una ricerca del centro studi Sintesi di Venezia, a due anni dalla chiusura di Agenda 2000, la Sicilia ha una distanza del 100 per cento dagli obiettivi di Lisbona. Tra le regioni italiane, è quella messa peggio. Certo, l’Isola partiva con un handicap notevole, ma non è che in questi anni abbia fatto molto per ricucire il gap, visto che l’avanzamento complessivo dei vari indicatori è stato dell’1,9 per cento: una crescita inferiore a quella di regioni come Puglia, Sardegna e Calabria.

La conferma di questo fallimento arriva anche dall’Istat, che per valutare e monitorare il Quadro comunitario di sostegno 2000-2006 ha creato una banca dati con circa 160 indicatori. E pure in questo caso, la situazione della Sicilia è sconsolante, tanto in assoluto, quanto in riferimento al resto del Mezzogiorno e, peggio ancora, al resto del Paese.

Ci sono, per esempio, gli indicatori dell’asse 1, quello delle risorse naturali. Ad agosto del 2009, la Regione era riuscita a pagare 2,1 milioni dei 2,6 impegnati per questo asse. Ma tolta l’inefficienza della programmazione, resta l’inefficacia della spesa. Sulla raccolta differenziata dei rifiuti, ad esempio, l’Isola si ferma al 6,1 per cento, lontanissima dall’obiettivo fissato dalla stessa Regione per il 2007, il 45 per cento. In Italia, solo il Molise fa peggio. Senza contare i casi di regioni come la Sardegna, che nel 2000 faceva segnare un 1,7 di raccolta differenziata (al di sotto dell’1,9 della Sicilia) e oggi può vantare un incoraggiante 27,8.

Lenta è anche la progressione rispetto al contrasto all’irregolarità nella distribuzione dell’acqua, denunciata nel 2008 dal 27,9 delle famiglie siciliane (erano il 33,7 nel 2000). Nello stesso periodo, la Basilicata è passata dal 28 all’8,1 per cento.

Non va meglio se si guarda al tasso d’occupazione, salito in otto anni di appena tre punti, dal 41,5 al 44,1 per cento, mentre il tasso di povertà è cresciuto fino al 33,1 per cento. Una dinamica che, va detto, accomuna un po’ tutto il Paese.

Non accomuna tutti, invece, il lento sviluppo dell’imprenditoria. Se al Nord la produttività del lavoro nell’industria è cresciuta in barba alla crisi economica, in Sicilia è passata dal 48,1 del 2000 al 46,5 del 2008. In flessione anche il turismo, l’agricoltura e gli altri settori produttivi, senza contare il tasso di natalità delle imprese, sceso in sei anni dal 9 per cento all’8,1.

Insomma, è un quadro per nulla confortante quello tracciato fin qui. Ma le considerazioni più impietose le suscitano le cosiddette “variabili di rottura”, dei macroindicatori creati dall’Istat per valutare l’efficacia della spesa dei fondi europei nei settori chiave della strategia di Lisbona.

La ricerca, innanzitutto. Nonostante lo stimolo delle risorse comunitarie, la capacità innovativa della Sicilia è rimasta al palo: se a livello nazionale, la spesa in attività di ricerca e sviluppo è cresciuta progressivamente, nell’Isola si è assistito a una sensibile riduzione degli investimenti.

La regione, poi, resta terzultima in Italia per capacità di attrazione dei flussi turistici, nonostante il suo immenso patrimonio artistico e monumentale. Penultima è, invece, nella classifica stilata in base alla capacità di attrarre investimenti esteri. Il caso irlandese ha dimostrato che con i fondi europei è possibile incidere con forza su quei meccanismi che permettono di captare risorse straniere. In Sicilia, però, gli investimenti dall’estero dal 2000 al 2007 sono rimasti stabilmente fermi allo 0,1 per cento del totale.

L’Europa, dunque, non solo resta lontana, ma sembra quasi allontanarsi. Agenda 2000 è passata senza che si sia invertita la rotta dello sviluppo regionale. Qualcuno potrà dire che ci vorrà ancora del tempo per valutare l’effettivo impatto della spesa sostenuta in questi anni. E forse ha ragione. Ma che i fondi europei siano stati comunque spesi male, lo dimostrano anche le denuncie arrivate dalla Corte dei conti e dalla stessa Ue, che hanno ammonito gli amministratori siciliani per aver utilizzato parte delle risorse di Bruxelles per coprire buchi di bilancio e spese correnti.

La speranza è che i moniti possano servire per il futuro: c’è l’ultimo treno da prendere, quello del Por 2007-2013, prima che i rubinetti europei si chiudano definitivamente. A due anni dal suo avvio, però, la regione è già in ritardo con la programmazione e quest’anno solo per un soffio è riuscita a evitare la perdita della prima tranche di finanziamenti. Insomma, le premesse, purtroppo, non sono incoraggianti.