Avrebbero dovuto sostenere la crescita economica e fare della regione il cuore pulsante dell’Euromediterraneo. A tale fine, sarebbero dovuti servire per dotare il territorio, magari dopo averlo messo in sicurezza, di infrastrutture moderne e così favorire i collegamenti commerciali, rendere competitive le aree industriali e chiudere virtuosamente i cicli dei rifiuti e dell’acqua. Senza dimenticare quel capitale umano, da formare e aggiornare con lauti finanziamenti, che in un sistema in rapido sviluppo si rende necessario per coglierne e implementarne le opportunità. Insomma, i fondi di Agenda 2000 avrebbero dovuto (e potuto) rappresentare la svolta per avvicinare
Ma il ritardo più grave, al di là dei soldi persi e in barba alle ingenti risorse investite, è quello che
La conferma di questo fallimento arriva anche dall’Istat, che per valutare e monitorare il Quadro comunitario di sostegno 2000-
Ci sono, per esempio, gli indicatori dell’asse 1, quello delle risorse naturali. Ad agosto del 2009,
Lenta è anche la progressione rispetto al contrasto all’irregolarità nella distribuzione dell’acqua, denunciata nel 2008 dal 27,9 delle famiglie siciliane (erano il 33,7 nel 2000). Nello stesso periodo,
Non va meglio se si guarda al tasso d’occupazione, salito in otto anni di appena tre punti, dal 41,5 al 44,1 per cento, mentre il tasso di povertà è cresciuto fino al 33,1 per cento. Una dinamica che, va detto, accomuna un po’ tutto il Paese.
Non accomuna tutti, invece, il lento sviluppo dell’imprenditoria. Se al Nord la produttività del lavoro nell’industria è cresciuta in barba alla crisi economica, in Sicilia è passata dal 48,1 del 2000 al 46,5 del
Insomma, è un quadro per nulla confortante quello tracciato fin qui. Ma le considerazioni più impietose le suscitano le cosiddette “variabili di rottura”, dei macroindicatori creati dall’Istat per valutare l’efficacia della spesa dei fondi europei nei settori chiave della strategia di Lisbona.
La ricerca, innanzitutto. Nonostante lo stimolo delle risorse comunitarie, la capacità innovativa della Sicilia è rimasta al palo: se a livello nazionale, la spesa in attività di ricerca e sviluppo è cresciuta progressivamente, nell’Isola si è assistito a una sensibile riduzione degli investimenti.
La regione, poi, resta terzultima in Italia per capacità di attrazione dei flussi turistici, nonostante il suo immenso patrimonio artistico e monumentale. Penultima è, invece, nella classifica stilata in base alla capacità di attrarre investimenti esteri. Il caso irlandese ha dimostrato che con i fondi europei è possibile incidere con forza su quei meccanismi che permettono di captare risorse straniere. In Sicilia, però, gli investimenti dall’estero dal 2000 al 2007 sono rimasti stabilmente fermi allo 0,1 per cento del totale.
L’Europa, dunque, non solo resta lontana, ma sembra quasi allontanarsi. Agenda 2000 è passata senza che si sia invertita la rotta dello sviluppo regionale. Qualcuno potrà dire che ci vorrà ancora del tempo per valutare l’effettivo impatto della spesa sostenuta in questi anni. E forse ha ragione. Ma che i fondi europei siano stati comunque spesi male, lo dimostrano anche le denuncie arrivate dalla Corte dei conti e dalla stessa Ue, che hanno ammonito gli amministratori siciliani per aver utilizzato parte delle risorse di Bruxelles per coprire buchi di bilancio e spese correnti.
La speranza è che i moniti possano servire per il futuro: c’è l’ultimo treno da prendere, quello del Por 2007-2013, prima che i rubinetti europei si chiudano definitivamente. A due anni dal suo avvio, però, la regione è già in ritardo con la programmazione e quest’anno solo per un soffio è riuscita a evitare la perdita della prima tranche di finanziamenti. Insomma, le premesse, purtroppo, non sono incoraggianti.