E’ sempre sembrato un qualcosa che non avrebbe mai toccato o scalfito la nostra nazione. Eppure l’AIDS è una malattia ancora molto presente al punto di aver determinato oltre 40mila decessi dall’inizio della pandemia ovvero dagli anni ottanta ad oggi. Malgrado sia diventata in Italia una malattia infettiva a notifica obbligatoria con decreto ministeriale dell’86, non è prevista l’obbligatorietà della notifica del decesso per AIDS per cui la quota relativa è verosimilmente sottostimata. C’è sempre stato un limite profondo nella conoscenza della patologia causata dal virus HIV, un limite dettato innanzitutto dal pudore di parlarne per l’essenza stessa di questo male che viene trasmesso sessualmente o con la scambio di sangue, prevalentemente tra tossicodipendenti. In definitiva, la concreta diffusione dell’infezione attualmente può essere solo oggetto di stime: dati risalenti al 2007 individuano in 5600 il numero approssimativo dei siciliani infettati da HIV; questa cifra, che può essere anche letta come circa 111 infetti su 100.000 abitanti, avvicina la realtà epidemiologica siciliana a quella della regione Piemonte. Un dato raccapricciante a discapito della nostra isola che, sicuramente, si presenta meno popolosa rispetto al Piemonte e, nella proporzione densità demografica/casi di infezione, può calcolare una percentuale di persone colpite dal virus più elevata. D’altra parte, dobbiamo considerare che solo i casi di AIDS conclamato devono essere notificati per legge per cui i dati che vengono riportati sono esclusivamente riferiti a questi casi circoscritti. Al contrario, il numero dei pazienti che, pur essendo infettati, non hanno ancora sviluppato la malattia, non è conosciuto. Questo dipende anche dal fatto che la malattia è solita mantenersi, per molti mesi, addirittura per anni, del tutto asintomatica. Molti soggetti, infatti, possono ignorare di essere stati contagiati e di essere, a loro volta, una potenziale fonte di contagio per altre persone. Questo stato prende il nome di sieropositività e corrisponde al periodo di latenza del virus per cui chi lo contrae può non manifestare alcun sintomo imputabile all’AIDS.
E’ in arrivo in Sicilia il registro dei sieropositivi. Diventa fondamentale e necessario censire i casi di infezione da HIV ed istituire uno strumento epidemiologico che possa fare il punto della situazione sanitaria regione per regione per tutti quei casi asintomatici. La Sicilia si sta attrezzando per questo e dovrebbe ottenere il suo registro entro febbraio.
A decretarlo è stato un incontro organizzato a Palermo presso l’Ispettorato regionale della Sanità, lo scorso 21 gennaio, tra i primari di Malattie infettive provenienti dagli ospedali principali delle varie province dell’isola alla presenza della dirigente dell’Osservatorio Epidemiologico Siciliano, la dott.ssa Gabriella Dardanoni. A riferirlo è il prof. Giuseppe Sturniolo, primario del reparto di Malattie infettive del Policlinico Universitario di Messina.
In effetti, esiste già, dal lontano 1985, un Registro Regionale AIDS che è stato attivato presso l’Osservatorio Epidemiologico come parte integrante del Registro Nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità. A questo si collegano tutti i registri delle varie regioni d’Italia che si sono adeguati, solo nel 1999, all’introduzione delle nuove schede di notifica, uguali sia per i casi adulti che per i casi pediatrici. Il sistema organizzativo si è rivelato un po’ lacunoso in mancanza della parte relativa ai sieropositivi. Così è arrivato il decreto n. 175 del 2008 in materia di sorveglianza delle nuove diagnosi da infezioni da HIV che ha disposto in Italia di adoperare una scheda di rilevazione.
La novità sta nello sviluppare l’attività di indagine nei confronti dei sieropositivi, una indagine molto attenta al nord Italia dove alcune regioni (da Roma in su) hanno adottato la scheda ed i registri mentre è carente al sud. Il registro dei sieropositivi in Sicilia si attesterebbe infatti come la prima certificazione sanitaria nel meridione rivolta a questo tipo di pazienti.
La raccolta e registrazione dei dati rispettano l’anonimato dei pazienti e il loro diritto alla “privacy” (attraverso un codice criptato) ma servono a mettere in atto e garantire il monitoraggio dell’infezione controllandone l’andamento sul territorio, fornendo una necessaria comparabilità interregionale e nazionale e pianificando procedure operative omogenee in ogni regione per contenere e, in futuro, arrestare il fenomeno.
Una nota rilevante è che risulta calata l’attenzione sul rischio di infezione. Si è spenta la curiosità sulla malattia che, in passato, aveva suscitato i “mass media” e l’interesse di dibattere sulla questione è andato progressivamente scemando. Al momento, la presenza dell’HIV sulla scena mondiale si è limitata ad episodiche segnalazioni non perché realmente non esistano più casi di contagio ma perché, semplicemente, sono diminuite le misure di profilassi individuale a causa della loro mancata divulgazione.
Prima negli anni ’80, erano colpiti solo gli omosessuali e i tossicodipendenti. Al via le accuse su queste categorie di persone e su cui si è scagliata all’unanimità l’opinione pubblica con la complicità, spesso, degli organi di stampa. E’ stato facile e, certe volte, anche più comodo puntare il dito sulla “peccaminosa” indole e sui facili costumi dei gay o anche sulla debolezza ed incoscienza di chi fa uso di eroina per via parenterale, attraverso lo scambio di siringhe.
E ancora, negli anni ’90, l’HIV è diventato la causa di morte di Paesi lontani da noi come l’Africa. Ricordiamo che, nel mondo, ogni minuto è scandito dalla morte di un bambino per cause collegate all’HIV/AIDS e quattro nuovi contagi avvengono fra adolescenti al di sotto dei 15 anni. La stessa malattia ha colpito uno o entrambi i genitori di oltre 15 milioni di bambini.
Gli eterosessuali, invece, hanno considerato questo virus come estraneo alla loro vita e si sono sentiti quasi immuni.
Il 1998 è il passaggio epocale in cui si stabilisce un’inversione di tendenza, tuttora invariata: la via di trasmissione prevalente diventa quella sessuale e, in particolar modo, eterosessuale.
Questo dato importante annuncia che non ci sono più categorie per contrarre la malattia ma solo comportamenti a rischio. Ci sono due tipi di eterosessualità che vengono contagiati: la fascia di giovani tra i 25 e 29 anni ed i sessantenni utilizzatori di “viagra” che hanno riscoperto una nuova sessualità.
A dirlo è l’Osservatorio Nazionale dei Minori in accordo con diverse qualificate Unità Operative di Malattie Infettive come quella del Policlinico Universitario di Messina e dell’ospedale “Sacco” di Milano.
“C’è un pericolo di pandemia, bisogna ammetterlo per non mettere a repentaglio le vite di questi giovani – afferma l’Osservatorio dei Minori. Non si deve sottovalutare l’importanza dei corsi di educazione sessuale tra i minorenni, tra i banchi di scuola”.
“Ci vuole una campagna di informazione a partire dalle scuole – dichiara il prof. Sturniolo – perché è in questo target che si stanno diffondendo altri comportamenti a rischio, quali l’uso di droghe e l’abuso di alcol”.
“I giovani sono molto più promiscui, più disinformati – continua lo specialista. Provano il loro primo spinello magari a 13 anni. Il loro primo rapporto intimo avviene in età precoce, circa 14 anni. Passano poi 4-5 anni perché si abbiano rapporti protetti”.
Le fasce più giovani della popolazione sono quelle maggiormente penalizzate dal permissivismo di questa società che offre tante, troppe opportunità di svago, di incontri poco costruttivi e molto libertini dove “trasgressione” è la parola d’ordine. Il ragazzo con la bottiglia di birra e, perché no, con il superalcolico in mano fa sicuramente più presa, risulta (chissà) più affascinante agli occhi di una sua coetanea. Se l’alcol da una parte rallenta i freni inibitori, ci pensa poi la “pasticca” a fargli “perdere la testa”. Da qui, c’è solo un passo alla scelta di avere rapporti occasionali o, magari, con lo stesso partner fidandosi troppo delle sue abitudini pregresse e senza prendere le dovute precauzioni del caso. Ormai, è comune a molti giovani l’idea di essere invincibili e di poter vivere senza regole e in questo rientra il loro modo di vedere la sessualità. Il rispetto di sé e del proprio partner non è vincolato dalla presenza di un rapporto di coppia stabile. La prevenzione deve essere vigile ad ogni livello di relazione sessuale sia solida che occasionale. Un concetto che sfugge alle nuove generazioni e non solo. “Tutto questo – aggiunge il professore Sturniolo – è facilmente dimostrabile dall’aumento della casistica delle classiche malattie sessualmente trasmesse, per esempio la sifilide. Solo che quest’ultima è guaribile con poche fiale di penicillina, magari prescritte dal medico di base mentre di AIDS ancora si muore. Ma la sifilide non è la sola malattia che si contrae con rapporti non protetti ad avere fatto la sua ricomparsa: c’è anche il papilloma virus, addirittura responsabile del carcinoma del collo dell’utero”.
“Chiaramente – spiega il docente del Policlinico di Messina – la sifilide e il papilloma virus sono soltanto una spia delle abitudini intime del paziente e indicano la possibilità di essere di fronte a un soggetto a rischio di contagio di altri virus come l’HIV. E’ altrettanto chiaro che questo tipo di paziente può sfuggire al controllo ospedaliero perché, vista la delicatezza dell’argomento, si rivolge al medico di famiglia o all’amico di turno che gli consiglia come comportarsi”.
“Consigliamo il test del papilloma virus – prosegue – in casi veramente necessari perché è un esame molto costoso. Pertanto il nostro dipartimento, visto l’aumento dell’infezione, ha già chiesto l’autorizzazione perché questa analisi si possa realizzare, al più presto, in regime di convenzione”.
C’è stato, a partire dal 1996, l’abbattimento del numero di casi incidenti e del tasso di mortalità per Aids grazie all’avvento dei farmaci antiretrovirali.
La Sicilia e regioni come la Toscana (in cui si registrano circa 90-100 casi annui di AIDS) rispecchiano la statistica nazionale: il bilancio dei casi femminili è andato gradualmente aumentando. L’età mediana alla diagnosi degli adulti è in aumento sia tra gli uomini che tra le donne: nel 1985 era 29 anni per i primi e 24 anni per le seconde, nel 2006 rispettivamente 37 e 34 anni. La proporzione di stranieri affetti da AIDS presenti in Italia è aumentata: 1% dei casi totali prima del 1987, oltre il 10% nel 2006.
I ragazzi di età inferiore ai 13 anni hanno contratto l’infezione dalla madre per il 95% dei casi. Dal 1985 fino a pochi anni fa, sono diminuiti di pari passo ai casi adulti.
Va fatta un’altra considerazione. Solo i casi con HIV che si sottoporranno alla diagnosi presso una struttura pubblica verranno segnalati sempre anonimamente mentre coloro i quali si rivolgeranno a laboratori privati sfuggiranno alla segnalazione. Ne scaturisce che i dati ufficiali per l’HIV, come succede con quasi tutte le malattie contagiose, saranno sempre sottostimati.
“C’è una miriade di test in commercio per i centri specializzati – sottolinea il primario. Quelli richiesti da ospedali ed ASL prevedono la ricerca di antigeni ed anticorpi. Questi ultimi rivelano già la presenza della malattia AIDS ma non si formano subito nello stadio di infezione dove si osservano solo gli antigeni. Ebbene noi ricerchiamo entrambi mentre, ai laboratori privati, dotati di test che riconoscono solo gli anticorpi, può capitare che sfugga la diagnosi di infezione”.
Il test, nei centri pubblici, è totalmente gratuito, anonimo, volontario ed è necessario il consenso del paziente esplicito ed informato. Il contrario è possibile soltanto nel caso di persona incapace di intendere e volere per la quale sia applicabile il Trattamento Sanitario Obbligatorio (Tso).
Nel caso in cui il paziente sia minorenne e decida di fare il test, la legge prevede che il consenso sia a carico dei suoi genitori o di chi esercita la patria potestà. Il soggetto può tenere per sé questa decisione con motivate cause solo se ha più di 14 anni. Se dopo attento colloquio verrà eseguito il test, questa scelta sarà comunicata con le motivazioni al Tribunale dei minorenni. Se il paziente minorenne è sposato, non ha bisogno del consenso di altri.
Il riserbo sul test è qualcosa di imprescindibile per il personale sanitario che se ne occupa perché vige il segreto d’ufficio. Di contro, il datore di lavoro non può chiederti di sottoporti al test: è assolutamente vietato dalla legge, così come ogni altro accertamento sul tuo stato di salute.
Il test, per legge, non può essere neanche disposto per motivi e finalità politiche, razziali o comunque estranei alla cura di malattie nel tuo interesse e della collettività.
E’ interessante ricordare in merito alle ultime tre disposizioni come si sia evoluta la mentalità del nostro Paese.
Secondo il disegno di legge 2456 presentato il 3 ottobre 1990 dal senatore democristiano Azzaretti, il test anti Aids poteva essere chiesto dai datori di lavoro pubblici e privati ai dipendenti e a chi chiedeva l’assunzione. L’accertamento, invece, era obbligatorio per i lavoratori immigrati e per le prostitute. I test inoltre potevano essere imposti o eseguiti senza chiedere il consenso e i risultati non erano più coperti dall’anonimato grazie all’abrogazione degli articoli 5 e 6 della legge sull’Aids, varata pochi mesi prima di questa proposta. Queste erano le norme che sarebbero potute entrare in vigore 20 anni fa se solo il disegno di legge fosse stato approvato.
In totale disaccordo sul decreto è stata l’Associazione italiana di epidemiologia, la massima autorità scientifica in materia di test applicati a settori di popolazione che ha appurato come, nelle malattie a trasmissione sessuale, le norme coattive portano sempre all’accelerazione dell’epidemia.
E’ chiaro che il Parlamento ha soprasseduto su questo disegno antidemocratico perché, innanzitutto, calpestava la tutela alla “privacy” del cittadino.
Non si può scherzare o essere superficiali con la salute prima ed essere terrorizzati dopo.
La paura del giudizio è molto condizionante nelle malattie a trasmissione sessuale – dice la dott.ssa Giovanna Orlando, responsabile di Malattie infettive dell’ospedale “Sacco” di Milano. La paura dell’isolamento derivante dal peccato, dalla libertà dei costumi tipica di questo secolo e degli ultimi anni del secolo precedente, dalla superficialità nell’affrontare i rapporti intimi senza prevenzione sono tutti deterrenti per tenere nascosto il contagio”.
Per quanto riguarda, le seconda fascia esposta all’infezione da HIV a causa di un comportamento in contraddizione con la propria età anagrafica è rappresentata dai “nuovi” sessantenni ovvero le persone, in particolare uomini, che vogliono riscoprire i piaceri del sesso con il supporto della “magica” pillolina, il “viagra” e senza curarsi del passato della propria partner. A questo proposito, è divertente ricordare l’ultimo film di Verdone “Io, Lara e gli altri” che ci mostra il padre settantenne del protagonista (Verdone – prete missionario) ringalluzzito dalla sua badante dell’est Europa, dal suo viagra e persino alle prese con gli spinelli. Questa è pura finzione cinematografica che però somiglia a diverse storie che accadono frequentemente nella realtà odierna. Certamente, l’uomo attempato, sulla scorta dell’esperienza di oltre mezzo secolo, magari vissuto con rigore e, chissà, con una sola compagna al suo fianco, non si preoccupa di chiedere i costumi sessuali della sua eventuale partner, possibilmente avvenente e straniera e diventa anche più trasgressivo.
Malgrado tutto questo, gli specialisti, gli esperti in sessuologia devono lavorare costantemente perché si faccia luce sui comportamenti a rischio. In particolare, esiste una rete in Italia che non abbassa mai la guardia. Il prof. Sturniolo è in contatto nella regione Sicilia con altri centri come quello di Palermo e Ragusa ma anche con quelli di Roma, Verona e Milano.
“Alcune raccomandazioni devono essere rivolte – conclude il docente del Policlinico –
- alle istituzioni: la massima sorveglianza del fenomeno ed una particolare vigilanza affinché la totalità delle nuove infezioni vengano segnalate all’Assessorato regionale della Sanità;
- alle scuole: l’attuazione di specifiche iniziative finalizzate ad una corretta informazione delle fasce maggiormente esposte e più deboli;
- agli organi d’informazione: il mantenimento di un adeguato livello di attenzione nei confronti del problema delle malattie sessualmente trasmesse, in generale, e dell’AIDS in particolare;
- ai giovani: la massima cautela nei rapporti sessuali, anche con persone conosciute ed, in definitiva, l’uso sistematico del preservativo.
Sarebbe conveniente consigliare ai giovani della nostra terra di iniziare a fare la propria parte e di non pensare che i problemi sono sempre lontani da noi. Un comportamento prudente per sé e gli altri nei rapporti intimi fa essere sicuramente “più uomo” o “più donna” di quanto possa fare lo “sballo” a base di alcolici e droghe. E sappiamo che “la prudenza non è mai troppa”.