Allarme sanità a Milano

“Oggi possiamo curarci, nella misura in cui possiamo pagare! Lo scopo di questo ambulatorio è quello di battersi, affinché venga garantito il diritto alla salute a tutti. Quando questo accadrà il nostro ambulatorio, non avrà più necessità di esistere.”

             
Siamo a Milano, nei pressi di Loreto. Appena arrivo davanti alla porta dell’ambulatorio, mi rendo subito conto, che non è un ambulatorio uguale a quelli che siamo abituati a raggiungere quando ne abbiamo bisogno, così come la dottoressa che mi accoglie di certo non assomiglia al mio medico. E’ una ragazza giovanissima, i capelli raccolti, un jeans, un maglione e forse dei piercing. Arrivano dei pazienti e sto per molto tempo a chiacchierare con Sara di origini colombiane, che si occupa dell’accoglienza. Mi scruta e cerca di capire se sono lì in pace o in guerra. Le spiego, che voglio raccontare solo la loro storia. Si rasserena.

           
Nel 1993 da un gruppo di ragazzi, tra cui medici e praticanti della professione, nasce l’idea di fondare l’Ambulatorio Medico Popolare (AMP), in Via Dei Transiti nella Milano nord, in reazione alla vittoria della Lega e con essa,  secondo i suoi fondatori, di concetti  xenofobi e razzisti.  È nel 1994 che, necessitando di una location decidono di occupare senza nessuna autorizzazione, quasi a voler sottolineare il carattere alternativo della struttura, una casa di uno stabile in disuso, preda dei molti migranti senza tetto. Nel 2003, il proprietario decise di vendere lo stabile ad un prezzo stracciato dimenticando di informare l’acquirente ch’era quasi nella totalità occupato. Così come per gli altri abusivi, anche per l’ambulatorio ogni mese per cinque anni è stata recapitata richiesta di sgombro. Dopo diverse battaglie ed il sostegno di chi crede in luoghi come questi, si è finalmente da 6 mesi arrivati ad un accordo da entrambe le parti che per 3 anni, fino a gennaio 2017, prevede il versamento di una quota d’ affitto simbolica di 150 euro atto a garantire il diritto di locazione .   

E così da vent’anni, Stella e il suo team di ormai 17 ragazzi italiani e  3 stranieri; un egiziano, un colombiano e un peruviano, si occupano di accogliere ed informare i migranti e non. Attraverso un ampio staff di medici svolgono le funzioni ambulatoriali di un qualsiasi medico generico. Da sempre, si battono per il riconoscimento dell’accesso alla medicina di base, agli stranieri senza permesso di soggiorno. L’ambulatorio si fonda sul diritto alla salute, senza distinzioni etiche, culturali, di provenienza ed etniche.  Oltre a dare cure base gratuite, essi sottolineano ed individuano le mancanze in tal senso del nostro sistema. 
Chiedo informazioni su di loro ai passanti, soprattutto italiani, e le loro considerazioni indicano con chiarezza, l’integrazione della struttura con l’ambiente circostante. “C’è sempre molta gente, ed è utile a tutti al giorno d’oggi, sapere di poter contare sulla presenza di strutture così”.          
Hanno inoltre, deciso di stilare uno scritto politico di denuncia, ancora in corso d’opera.

All’interno della struttura   è aperto e funzionale il Consultorio Autogestito, dove, vengono trattate tematiche delicate come l’aborto e i metodi contraccettivi, sostenendo il diritto di ogni singola donna di disporre del proprio corpo, della propria vita e sessualità liberamente. Lontano dal percorso medico tipico dei consultori pubblici, preferiscono un dialogo tra esperienze e saperi di donne. Questo è il loro slogan: “Perché sessualità, maternità, contraccezione non sono patologie, e la cultura che le vuole medicalizzate è privazione di spazi di libertà.” Obiettori degli obiettori. La loro prima battaglia riguarda, sicuramente, il diritto alla maternità responsabile, anche per le straniere.
           
Libertà, scelta, solidarietà, informazione, uguaglianza, diritto, salute riecheggiano nell’aria dell’ambulatorio,  colorando le pareti bianche, di una nuova forza. Si scagliano, contro il Drg (Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi), il sistema di retribuzione degli ospedali per l’ attività di cura, introdotto in Italia nel 1995. Gli interventi vengono retribuiti non più «a piè di lista», cioè in base alle giornate di degenza, ma «a prestazione». Quando ci si accorge, che i costi insostenibili, stavano portando all’ implosione del sistema, perché più si teneva il paziente in ospedale più si incassava: con i letti sempre pieni e le liste d’ attesa infinite, nasce il modello Drg . La Lombardia è una delle prime regioni ad applicarlo. Per ogni intervento (dall’ appendicite al trapianto di fegato) sono previsti diversi gradi di rimborso, dal caso semplice a quello complesso. Se questo, secondo il team ambulatoriale, da una parte risolve un problema dall’altra ne crea un altro. Diminuiscono i giorni di ricovero e aumentano gli interventi. “Caso vuole – continuano – , che negli ultimi anni sono aumentati i parti cesari e diminuiti quelli naturali. Le italiane,  hanno forse smesso di saper partorire in modo maturale i propri figli, o non partorirli rende economicamente di più?”