Sono passati due anni e se ne parla ancora. Seppur a volte sembra quasi di far retorica, seppur a volte sembra quasi abusarne per sollevare polemiche e scontri. Seppur, a volte, sembra sfruttare quelle 36 vittime, una volta l’anno, quasi facendone scempio, solo per riempire pagine e pagine di giornali. A volte. Altre volte, invece, è necessario parlare, proprio per contrastare la retorica, per dare informazioni reali probabilmente ancora taciute o semplicemente non ascoltate perchè confidate alle orecchie o ai microfoni sbagliati. Si tratta dell’alluvione che ha colpito la zona inoica di Messina il 1 ottobre del 2009. E se ne deve parlare. Perchè il tempo non è bastato a sanare le ferite di villaggi martoriati. Se ne deve parlare, soprattutto ora, che vediamo nei telegiornali altre alluvioni che colpiscono l’intera italia, mietendo ancora vittime. Se ne deve parlare per liberare Messina dal ghetto dell’abusivismo edilizio che l’aveva relegata in un angolo, priva di aiuti a piangersi addosso, perchè causa del suo male. E chi è causa del suo mal, si sa, pianga se stesso. Se ne deve parlare perchè potrebbe succedere ancora. Se ne deve parlare perchè attorno a quella tragedia c’è ancora solo molto chiacchiericcio, frastuono, pettegolezzo … il resto è silenzio.
E sono “Voci nel silenzio” quelle di Dario Caroniti, Irene Falconieri e Raffaella Spadaro. Le voci di alcuni esperti che lo scorso 25 ottobre, nella navata di Santa Maria Alemanna si sono unite in coro nel convegno “per non dimenticare, Scaletta e dintorni”. “L’ennesimo”, potrebbe aggiungere qualcuno. Ed è per questo che chiediamo, se dal 2009 si è ancora qui a discuterne, cosa non riesce ad emergere. Quali sono le problematicità che sono rimaste ancora sepolte sotto quel fango ormai cementato?
<< Le problematicità che ancora non emergono sono molte – risponde Irene Falconieri – . Non emerge la necessità di analizzare gli avvenimenti del 1 ottobre come dei processi storici e politici. In quanto processi che – ci tiene a ribadirlo – pur nell’eccezionalità degli eventi climatici, non erano imprevedibili. C’erano, invece, tutte le conoscenze che avrebbero reso possibile una forma di prevenzione nei territori alluvionati >>.
Ma il motivo di questa “prevedibilità” sostenuta dalla Falconieri non è l’abusivismo edilizio, per il quale l’Italia intera ci ha additato, come se fosse tratto distintivo esclusivamente del sud, esclusivamente della Sicilia. Un abusivismo edilizio descritto quasi come caratteristica siciliana al pari degli agrumi o del classico carretto, tanto da poter magari prendere il loro posto nelle cartoline da spedire, “saluti e baci”, al resto del paese. Come se solo così il resto dello stivale può venire a conoscenza di questo “sconosciuto” fenomeno.
Ma la prevedibilità dell’alluvione, carta canta, non è legata a questo. La stessa Irene Falconieri dichiara che << i rapporti tecnici dimostrano dettagliatamente che l’abusivismo edilizio non può essere considerato la principale causa di quanto avvenuto >>. E’, bensì, legata a quel fenomeno, il cui termine è stato coniato dagli abitanti di Scaletta, che prende il nome di “abusivismo del territorio”. Una capacità mancata, che adesso invece si reclama a gran voce, di saper leggere e interpretare i segnali mandati dal territorio, in modo da attuare le politiche preventive necessarie. Un’incapacità ampiamente dimostrata dalle stesse politiche di gestione dell’emergenza << che – spiega la Falconieri – hanno provveduto alla chiusura dell’autostrada Messina-Catania e non a quella della strada nazionale, lasciando che molti dei passanti (tra i quali, gli abitanti di Scaletta) si trovvassero d’improvviso imprigionati in un inferno di fango >>. Dimostrazione questa di una concezione del territorio anni luce distante da quelle che erano le reali necessità.
Ascoltare la terra dunque, sfruttarne le possibilità, e lasciarla riposare quando ci chiede di farlo, perchè in verità, come sostiene l’assessore Dario Caroniti, con il pieno concordo di Raffaella Spadaro, << dipende dall’uomo rendere vivibile il territorio che abita >>.
Ed è su questo punto che batte e si batte Dario Caroniti. Sulla necessità di recuperare non solo le abitazioni, ma anche e soprattutto << i territori collinari agricoli della città, in particolare della zona ionica, ma di tutta la provincia. Provincia che si è sviluppata – prosegue l’assessore – anche dal punto di vista urbano, in territori scoscesi che in passato sono stati recuperati alle frane grazie ai terrazzamenti, che, adesso che questi terreni sono stati per lo più abbandonati, vanno cedendo creando delle situazioni di frana >>.
L’unica inversione di rotta proposta da Caroniti, affichè non si affondi ancora sotto un mare di fango e massi, è il ripopolamento delle campagne. Il riavvicinamento della popolazione tutta, ma in particolare dei giovani alla campagna. Superando le barriere culturali per le quali la vita di campagna va lasciata agli ultimi, a chi non è in grado di fare altro, come si sente ancora dire a scuola quando non si è ritenuti capaci di studiare: “allora vai a zappare la terra”.
Perchè riavvicinare la gente alla campagna aiuterebbe a comprendere quei segnali che il territorio manda, di cui parlava Irene Falconieri, e porterebbe quindi a gestirlo in maniera corretta. Un ritorno alle campagne che insegnerebbe finalmente ad amarla questa terra, cosa che forse i messinesi, politici e comuni cittadini, hanno smesso di fare da un pò.