La pandemia del Covid-19, che tutti stiamo vivendo, sta rappresentando uno dei momenti più critici per i sistemi democratici. Gli ideali delle democrazie pluralistiche sono minati dalla volontà di autoritarismo e reazionismo, tipiche dei movimenti sovranisti. Non a caso, l’adozione del lessico militare da parte dei vari leader mondiali, oltre a caratterizzare il periodo di emergenza, rafforza l’idea della necessità di un potere forte, secondo modalità simili allo stato d’eccezione schmittiano.
Il primo Stato che ha avviato questa transizione autocratica è stata l’Ungheria. Il 30 marzo il Parlamento ungherese ha assegnato pieni poteri a tempo indeterminato al Primo Ministro Viktor Orban. Questa concessione non rappresenta un mutamento interno per la politica ungherese, ma un cambiamento radicale nella visione di democrazia all’interno dei confini europei. Difatti, sin da subito, il comitato europeo per le libertà civili ha richiesto alla Commissione europea l’apertura di un’inchiesta riguardo la violazione dell’articolo 2 del Trattato Europeo, che impone agli stati membri di tutelare al loro interno i diritti fondamentali e i principi democratici.
La retorica che ha portato Orban ad ottenere questo consenso è la seguente “ O siete con il Virus o siete con me”. Una frase che limita qualsiasi possibilità di dibattito, di discussione democratica. Un sentenza laconica che sta conducendo alla repressione della società civile ungherese che si è opposta alle politiche sovraniste di Orban.
Le prime vittime dell’autoritarismo sono state le ONG, che da giorni sono soggette a blitz intimidatori, e la stampa, poiché diffonde notizie che si trovano in contrapposizione con la volontà del governo nazionale.
L’epidemia non ha fermato neanche le politiche anti-migratorie e xenofobe del Primo Ministro: egli infatti, dopo la crescita dei casi di coronavirus in Ungheria, ha accusato quindici studenti iraniani di essere stati gli “untori”, per poi espellerli dal Paese.
La fase politica e storica che sta vivendo l’Ungheria è l’esempio emblematico della reazione dei sovranismi all’emergenza del Covid-19; inoltre questa è utile a comprendere come i vari politici nazionali ed amministratori locali stiano speculando, sia per ottenere maggiore consenso e potere, sia per avviare le proprie campagne elettorali per le prossime elezioni.
A livello nazionale, il continuo utilizzo della semantica bellica ha condotto l’opposizione della destra ad una fase di guerra elettorale. In un primo momento, Matteo Salvini ha avanzato la proposta di un governo di unità nazionale (termine che venne utilizzato per l’ultima volta dopo la Svolta di Salerno dell’aprile del ‘44 e successivamente negli interventi parlamentari a seguito del rapimento Moro) che è stata cassata da tutte le forze di governo.
In seguito, le forze d’opposizione hanno avviato vari confronti con il Governo giallo-rosso, riuscendo anche a realizzare varie proposte. Infine, la riunione dell’Eurogruppo della scorsa settimana ha portato l’opposizione a far degenerare la discussione politica sul Fondo salva-stati (MES), guadagnando consenso attraverso la diffusione di fake-news e definendo “traditore” l’attuale governo.
La reazione di Conte, ormai nota a tutti, è stata quella di denunciare i comportamenti di Salvini e Giorgia Meloni in diretta nazionale. I due alleati di destra hanno paragonato il comportamento di Conte a quello della Corea del Nord e dell’Unione Sovietica (mentre, qualche settimana prima, esaltavano e auguravano il meglio all’ascesa di Orban)
Se la fase politica nazionale è segnata da una serie di contrasti e dal richiamo esasperato ad un nazionalismo ottocentesco a suon di “ce la faremo”, gli amministratori locali e regionali sono i protagonisti di una campagna mediatica, per innalzarsi a salvatori della popolazione, a paladini della giustizia contro il grottesco Stato burocratico, a sceriffi del selvaggio West animato da runner, da venditori ambulanti, da persone che portano i cani a spasso.
La rappresentazione più vivida di questi atteggiamenti ci è data da un montaggio che è stato divulgato da varie testate internazionali: Vincenzo De Luca, Presidente della Regione Campania, che minaccia di inviare i carabinieri con i lanciafiamme, Antonio De Caro, sindaco di Bari, che chiude personalmente i parchi comunali e intercetta i runners sul lungomare, Giuseppe Tutolo, sindaco di Lucera, che inveisce in dialetto pugliese contro i propri concittadini, ed, infine, Cateno De Luca, sindaco della nostra città, che ha portato i suoi concittadini ad avviare una vera e propria guerra contro il prossimo.
Il primo cittadino peloritano, sentitosi assolto dal fine di “proteggere i suoi concittadini”, ha avviato una prima crociata contro gli sciatori di Madonna del Campiglio che, da quanto si apprende dai diversi comunicati stampa, in grossa parte non hanno rispettato le norme contenute nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La guerra santa, che si potrebbe definire “classista”, ha portato al primo scontro civile: catene di messaggi contenenti foto di minori, nomi e cognomi di liberi professionisti (che nella maggior parte dei casi errati) sono state inviate in decine di migliaia di chat.
Ma il popolo, giudice ed esecutore della condanna, non si è fermato all’azione digitale. Infatti, nel pomeriggio del 19 marzo uno striscione con la scritta “Siete andati a sciare mentre tutto il mondo contro il virus cerca di lottare: per noi potete pure crepare! Siete la merda di Messina” è stato affisso lungo una delle arterie stradali della città.
Mentre la popolazione aveva già acceso i torcioni, Cateno De Luca ha proseguito con le sue dirette facebook dichiarando la formazione del Gabinetto di Guerra. Questo termine (che ci riconduce all’analisi da noi intrapresa) non veniva ufficialmente adoperato dalle testate giornalistiche dal marzo del 1999, periodo del Governo D’Alema e della crisi in Kosovo. Nelle sue quotidiani dirette, il sindaco peloritano non si limita al “babbiu”, ma utilizza spesso un lessico di guerra.
Dalla sua istituzione, successivamente il Sindaco si scontra contro il “babbiu istituzionale”, che consiste nel transito sullo Stretto di Messina. Oltre alla nota R4 francese e ai suoi passeggeri, che si apprestano ad essere fermati e perseguitati, il primo cittadino manda esplicitamente a quel paese il Viminale. Immediatamente, tale dichiarazione è soggetta a denuncia da parte dello stesso Ministro dell’Interno. Tutto questo ha condotto Cateno De Luca a divenire il giustiziere dei Siciliani.
Migliaia di persone idolatrano le sua gesta eroiche sotto i suoi post sui vari social. Barbara D’Urso lo invita in diretta tv. Così anche Giletti. Il Deputato Vittorio Sgarbi, ex Assessore ai Beni Culturali per la Regione Sicilia, lo esalta con un video. Segue a ruota anche il Senatore Salvini.
Lo scontro di De Luca sembrava arrestarsi al Ministero, tuttavia questa azione si pone come corsa alle elezioni regionali 2022. “I Siciliani non sono carne da macello” è il motto. Nota a entrambe le sponde dello stretto è stata la sera del 22 marzo 2020, quando De Luca si è recato al porto di Messina con l’obiettivo di boicottare l’approdo dei traghetti. Azione che, per quanto (a modo suo) simbolica, non ha certamente ottenuto gli effetti auspicati dal sindaco.
. Il 4 aprile viene messo in scena lo stesso copione, blocco dello Stretto, nello stesso luogo, rada San Francesco. Qualche giorno dopo è entrato in vigore il portale per richiedere il transito dei passeggeri attraverso lo Stretto.
Motivo per cui i cittadini costretti a spostarsi per lavoro, anziché sentirsi tutelati dalle autorità, hanno avvertito un senso di disorientamento, dato dalla discrepanza tra le dichiarazioni di De Luca e di Musumeci, e quelle del Presidente del consiglio, Giuseppe Conte. Successivamente il Consiglio di Stato, il Consiglio dei Ministri e, per concludere, la firma al Decreto del Presidente della Repubblica, mettono fine alla decisione di De Luca, che si pone non congrua all’unitarietà richiesta dal Governo nazionale.
In aggiunta alla meticolosa attenzione allo Stretto, De Luca avvia i suoi test di sorveglianza con i droni che, al suon di “dove cazzo vai? Torna a casa”, dovrebbero monitorare l’emergenza di babbiu, come è avvenuto nel giorno del Lunedì Santo.
Ma l’emergenza sta anche nell’incapacità, da parte di molti, di notare eventuali limiti di determinati provvedimenti: bisogna essere capaci, invece, di calarsi direttamente nella realtà cittadina, per conoscerne gli spettri che può liberare tale atteggiamento.
Cateno De Luca infatti non si è fermato qui. Oltre a procedere a ulteriori conferenze, senza aver mai convocato il Consiglio comunale, il sindaco ha provveduto a lanciare un messaggio, in occasione delle festività pasquali, che, per quanto a effetto, è risultato imbarazzante in quanto accompagnato da turpiloquio. Fra l’altro in piena emergenza mondiale. Tant’è che è stato ripreso dall’Arcivescovo Monsignor Accolla, che durante l’omelia di Pasqua ha dichiarato che il popolo messinese non si merita questi toni, e anche da Barbara D’Urso, in diretta televisiva su Canale 5, giorno 13 aprile 2020. Puntata, questa, che è stata caratterizzata da uno spiacevole linciaggio mediatico nei confronti di una persona che stava passeggiando in solitudine sulla spiaggia di fronte casa sua.
Per concludere gli eventi, il funerale di Rosario Sparacio, fratello del boss-pentito Luigi, celebrato sabato 11 aprile, accompagnato da un corteo funebre. Il tutto in pieno lockdown. Tant’è vero che, di conseguenza, il dibattito pubblico cittadino si è spostato su questo accaduto.
Come Orban ha individuato la società civile, che si oppone alla politica di pieni poteri, nei suoi nemici (si noti bene non untori), così ha fatto lo stesso Cateno De Luca nei confronti dei suoi oppositori, dissidenti e semplici cittadini che avanzavano critiche e proposte. In primis, i Governi, sia nazionale sia regionale, che si sono mostrati “machinae machinarum” della burocrazia, nemici dei siciliani. In secundis, i consiglieri comunali, che commentavano l’operato del primo cittadino sui social, dopo esser stati nominati, sono stati esposti anche alla gogna di insulti, spesso sessisti e omofobi, partiti dagli stessi sostenitori del sindaco. Infine, i giornalisti, i movimenti politici, le associazioni antimafia, i deputati regionali, che hanno commentato l’episodio del funerale di Sparacio. Questi ultimi sono stati, per giunta, accusati di lucrare sulle pratiche dell’antimafia.
Da questa analisi, che è partita dal piano internazionale per giungere a quello cittadino, abbiamo voluto evidenziare l’atteggiamento dei politici ai tempi del covid-19. Un comportamento autoritario che si pone la finalità di rispondere con pratiche dirette al contrasto dell’epidemia, ma anche di allargare il consenso popolare mediante la ricerca di untori (che diffondono il virus) e del nemico pubblico (identificato in chi si oppone ai dictat dei politici-amministratori). Il tutto finalizzato alle prossime elezioni.
Per concludere, ci rivolgiamo ai nostri Rappresentanti, e testate giornalistiche: l’emergenza che la nostra città, il Paese, ed il Mondo stanno vivendo potrà avere le conseguenze economiche di un vero e proprio conflitto. Ma non è una guerra: è un virus.
La semantica militare rende la popolazione unita e obbediente; ma un’epidemia si cura con gli ospedali, con la ricerca.
Il malato non può nulla contro il nemico, a differenza di un battagliero.
Il malato è soggetto all’emotività, non all’onore militare.
Il malato è soggetto all’emotività, non all’onore militare.
L’uso di questa terminologia non fa altro che caricare i malati di sensi di colpa per non aver sconfitto questo fantomatico nemico che direttamente non possono contrastare. La differenza maggiore tra l’epidemia e la guerra è solo questa: la nostra Nazione subisce, oggi, i tagli che sono stati fatti ieri, soprattutto a sanità, ricerca e didattica. Tagli mai fatti, invece, per gli approvvigionamenti militari.