Andrea, Una storia da non raccontare

Andrea ha lottato, ha cercato di uscire dal vortice che lo annientava, ma alla fine ha ceduto, stringendosi una corda al collo. Morte per strangolamento da mezzo meccanico. Così diranno ai suoi genitori, ai suoi fratelli, agli amici (oramai pochi).

A dolersi per la sua scomparsa volontaria non sono stati gli stessi amici che per mesi, lo hanno vessato, privandolo della dignità, denudando la sua persona, gettandolo nel ridicolo attraverso una pagina di Facebook

Si trattava di semplice e genuina goliardia, così diranno. Ma io me la ricordo la goliardia ai tempi dell’università. Non c’erano  ancora Facebook, Whatsapp, Instagram. Non c’era la “rete”. Erano scherzi, alcuni magari un po’ boccacceschi, soprattutto quando i destinatari erano i colleghi di sesso maschile, ma al massimo venivi buttato nella fontana della piazza.

Andrea Natali, 26 anni, di Borgo D’Ale, Vercelli, aveva lavorato in una carrozzeria. Lì i colleghi erano dapprima diventati amici e poi, aguzzini. Andrea non aveva retto. Depressione.    

Aveva denunciato, perchè la smettessero, la pagina Facebook nata appositamente è stata chiusa ed una persona (una sola) indagata. Oggi hanno riaperto l’indagine, oggi che Andrea è morto a ventisei anni. Episodio di bullismo, anzi no, di cyberbullismo, ossia dell’uso delle nuove tecnologie per sbeffeggiare, oltraggiare, deridere, molestare, mettere a disagio qualcuno.

Ricordo che un giorno, non sapendo come far capire ad un gruppo di genitori di ragazzi difficili (così diceva il preside), cosa significasse mettere a disagio qualcuno, chiamai una delle mamme e la feci salire su una sedia al centro dell’aula, chiedendole di stare in silenzio ed immobile,  mentre gli altri, comodamente seduti, la fissavano, alcuni ridacchiando, altri parlottando tra loro.

Dopo qualche minuto la feci scendere e lei mi disse:“ero a disagio”. Si sentiva osservata suo malgrado, indifesa e mancante di tutela, al centro di attenzioni che non desiderava. E così, ma in un modo atroce e devastante doveva essersi sentito Andrea, fino al punto di non uscire più di casa.

Anche se il cyberbullismo ha livelli d’incidenza minori rispetto al bullismo classico, è molto più rischioso. Cyberbullismo e bullismo hanno in comune l’aggressività nei confronti della vittima, la reiterazione, l’accanimento. Ma la “contagiosità” del cyberbullismo lo rende più pericoloso. Il bullo virtuale può raggiungere la sua vittima ovunque, ne può invadere gli spazi, senza rendersi conto delle conseguenze che provoca, avendo una percezione errata della propria responsabilità.

Passa tutto, ancora una volta dalla dis-educazione, ossia dalla mancanza totale di strategie educative messe in campo per far conoscere il fenomeno e cercare di prevenire le conseguenze , Strategie educative destinate non solo ai nostri ragazzi, ma ai genitori e agli insegnanti. Perché è ovvio, bisogna imparare per insegnare ed essere educati per educare.

Lara Motta, esperta in comunicazione sostiene infatti che mentre la tecnologia e la sua portabilità incalzano, invadendo le vite dei minori in maniera esponenziale, la presa di coscienza di genitori, insegnanti e istituzioni è ancora in fase embrionale.

Genitori ed educatori analfabeti del cyberspazio, sprovvisti di quella “cassetta degli attrezzi” che consentirebbe loro di comprendere che la capacità di sorvegliare gli approcci dei ragazzi ai social rientra nei loro obblighi, così come metterli al corrente delle conseguenze gravi e spesso irreparabili delle loro azioni anche virtuali.

Genitori ed educatori che davanti alla rete e ai dispositivi tecnologici rivelano un’allarmante superficialità.  

E’ necessario attivare un percorso evolutivo, perché i genitori si riappropino appieno delle funzioni di sostegno e controllo, che ahinoi, spesso smarriscono lungo il difficile cammino di accompagnamento dei figli. Perché guidare il comportamento dei nostri ragazzi in direzioni che  riteniamo desiderabili non equivale a interferire e/o ostacolare lo sviluppo della personalità, o a pregiudicarne il senso di indipendenza o responsabilità, ma significa solo esercitare quella sana funzione genitoriale ed educativa che ci compete.

Andrea non è stato il primo a morire di cyberbullismo. Prima di lui c’erano stati Flora, Carolina, Hannah, Matteo e tanti altri. Ma se vogliamo sperare che sia l’ultimo, serve partire dai piccoli, perché non si arrivi a veder crescere cyberbulli come quelli che hanno reso un inferno la sua vita.

Nessuno infatti, cresce da solo.