Angelo Vassallo, e non antimafia

Nella notte tra il 4 e il 5 settembre 2010, Angelo Vassallo, sindaco del comune di Pollica (Sa), veniva ucciso con 9 colpi di arma da fuoco. Un omicidio ancora irrisolto. Una verità ancora sconosciuta. Il mandante, quello, appariva invece chiaro, palese in modo quasi spavaldo. Un marchio di fabbrica stampato con una calibro 9, a voler firmare un omicidio con un solo, chiaro nome: camorra.

Un uomo, un sindaco che faceva politica, quella vera. Da sempre in prima linea contro l’illegalità, in difesa dell’ambiente e dei diritti dei suoi cittadini. Senza paura, pronto a denunciare irregolarità e corruzione, coinvolgendo anche quei ‘politici’ tanto lontani dall’ideale che lui, invece, portava come uno stendardo.

Nel luglio del 2010, a seguito di una sua denuncia in merito a una ‘strada fantasma’ nel comune di Pollica, è partita un’indagine della DIA della Procura di Salerno. Strada alla quale se ne sono poi aggiunte altre 14: strade mai realizzate, ma pagate. All’indagine sono poi seguiti due processi, in uno dei quali la ‘Fondazione Angelo Vassallo’, presieduta dal fratello Dario, è stata ammessa come parte civile. Un processo che vede indagati 77 politici, tra cui l’ex presidente della provincia di Salerno e il sindaco di Agropoli, Franco Alfieri.

Ma cosa è rimasto di Angelo Vassallo? Lo abbiamo chiesto a Dario Vassallo, fratello del sindaco assassinato, autore del libro ispirato alla sua storia: ‘Il sindaco pescatore’. Risposte cariche di amarezza, ma anche di tanta speranza. Si parla di un progetto che possa diffondere un’ideologia comune, capace di scatenare quella rivoluzione culturale in grado di combattere realmente una mentalità radicata e fomentata dalla paura e dal silenzio. Una volontà che possa sostituire la solitudine con la forza della totalità, del gruppo, dello Stato. Uno Stato contro cui si scatenano accuse dettate non dalla rassegnazione, ma da una frustrazione che trova sfogo nell’azione. Non si parla di antimafia, quella parola tanto inflazionata da divenire quasi inutile. Sporcata da meccaniche che ignorano quel valore di trasparenza che dovrebbero invece difendere.

Angelo Vassallo. Una figura che è un mito. Isolato e bistrattato da vivo. Riscoperto come ideale.

In realtà, lo abbiamo fatto riscoprire noi. Se non fosse per la fondazione, per me e mio fratello Massimo, se non fosse stato per il nostro peregrinare in giro per l’Italia. Se non avessimo scritto quel libro che ci ha permesso di girare l’Italia in lungo e in largo, da Capaci fino a Milano, toccando Torino, Bolzano, Genova e tante altre città, ad oggi il nome di mio fratello non sarebbe ricordato.

Oggi Vassallo viene visto come un esempio. Quanto di Angelo viene messo in pratica?

L’esempio di Angelo oggi viene attualizzato da diversi sindaci in Italia. Nel sud tanti.  Lo stesso sindaco di Messina. Lo incontrai a Bologna, aveva i sandali. Ci siamo salutati nonostante io non conoscessi lui e lui non conoscesse me, ma ci siamo capiti con uno sguardo. Ce ne sono tanti di Angelo Vassallo, soprattutto al sud. Considerando la politica vera, quella che faceva Angelo, il sud potrebbe essere l’unico luogo in cui potrebbe partire una rivoluzione culturale. Perché qui non si parla di rivoluzioni armate, ma culturali.

Ma a fronte di personaggi come Angelo, ci sono ancora tanti mulini a vento.

Di quei politici di cui mio fratello avrebbe provato disprezzo ce ne sono a vagonate. Ma quelli non sono politici, non è politica. Quella che chiamano politica non lo è. La vera politica è completamente diversa. La politica è un dedicarsi agli altri, è un qualcosa di religioso, di etico.

Si potrebbe dire che la mafia uccide ma il messaggio di uomini come Angelo continua a diffondersi su altre gambe.

Penso, da quello che ho potuto capire in 5 anni di esperienza, che la mafia ormai non uccide. La mafia intimorisce, la mafia mette paura.

Ma Angelo è stato ucciso, con una calibro 9. Un marchio di fabbrica, quasi una firma.

Sì. Angelo è stato ucciso, e il mandante lo conosceremo tra chissà quanti anni. MA IL PROBLEMA, QUELLO CHE VORREI FOSSE RIMARCATO E DIFFUSO A CARATTERI CUBITALI E’ CHE E’ DA 5 ANNI CHE IO CHIEDO UN’INDAGINE POLITICA SULL’UCCISIONE DI MIO FRATELLO. L’ho chiesto a Migliavacca, che mi ha risposto che le indagini le fa la procura e non lui. L’ho chiesto a Luca Lotti [sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio dei ministri, ndr], che sembra non sentire. Sono persone che non ne vogliono sentire parlare di legalità.

Avete subito intimidazioni in famiglia dopo l’accaduto?

Io non ho avuto intimidazioni, ma un segnale ben preciso di cui non ho mai parlato finora. Nel 2011, di notte, sono entrati in casa mia a Roma mentre dormivamo. Sono entrati in soggiorno, ma non hanno preso niente. Diciamo che ‘sono venuti i ladri’, ma ladri non sono. Il messaggio è chiaro. Ma a me non me ne frega niente. Si devono preoccupare gli altri, quelli che non hanno fatto nulla in questi 5 anni. E chi non fa nulla, diventa complice.

Dalle istituzioni ha avuto qualche risposta in questi 5 anni?

Dalle istituzioni ho avuto qualcosa, ma mi aspettavo molto di più. Se non fosse stato per noi, per il nostro girare per l’Italia diffondendo informazione, non si sarebbe arrivati a nulla. E tutto a spese nostre. Noi non facciamo antimafia, noi mettiamo le mani nelle nostre tasche. Noi parliamo di un percorso di educazione civica, di legalità. Il problema è uno solo: le istituzioni, quando c’è da fare, ci sono. Ma quando tu parli di un progetto di legalità da portare nelle scuole, gratuitamente, a livello nazionale, nascono i problemi. Io propongo un progetto da portare nelle scuole, per insegnare non la legalità ma il vivere civile, dalle scuole elementari fino alla maturità. Non per parlare di mafia, ma per parlare di cosa è lo Stato, cosa sono quei pilastri di civiltà che compongono un Paese che si chiama Italia. Ma a nessuno interessa questa proposta. Noi giriamo per le scuole, giriamo degli spot. Ma alla fine, se non c’è un progetto nazionale, il problema non si risolve mai. SE NON CAMBIAMO LA MENTALITA’, LA CULTURA, NOI NON VINCEREMO MAI. Non potremmo mai affrontare un problema di così ampie dimensioni. Perché il problema di cui parliamo è culturale. IL PROBLEMA NON E’ LA VIOLENZA, IL PROBLEMA E’ LA PAURA. E la paura vince sulla cultura. Ma per farlo ci vuole un governo che abbia le palle.

L’attuale governo è un PD che probabilmente Angelo non avrebbe riconosciuto.

Non lo avrebbe mai riconosciuto. Si sarebbe tenuto a mille miglia di distanza da un partito come quello di oggi. La politica vera, la sua politica, è ben altra cosa. E’ un qualcosa che sfiora la cristianità, la religione, la dedizione totale.

Parlando con i giovani, qual è il momento in cui si avverte massimo il livello di condivisione della lotta?

Quando li guardo negli occhi. Per loro sei un esempio, qualcuno che racconta loro una storia che non avrei mai voluto raccontare. Ma loro si aspettano questo da te. Si aspettano delle risposte, si aspettano che non li lasci soli. E’ questo che vogliono. Penso alla solitudine che provano anche loro. Vorrebbero qualcosa di più preciso, di più presente e più vicino a loro… vorrebbero lo Stato.

Parliamo dello Stato al quale sentiamo sempre rivolgere gli stessi rimproveri. Da parte di un testimone di giustizia, da un parente di una vittima di mafia, da un drogato, da una donna vittima di violenza. Lo Stato che non c’è. Cos’è lo Stato, quello con la ‘S’ maiuscola, per Dario?

Il ragionamento è sempre lo stesso: non può esserci uno Stato se non crei la cultura dello Stato. Ma questo puoi farlo con un’operazione a tappeto, dall’ultima scuola fino alla prima. Da chi vive a Canicattì fino a Bolzano, in modo da poter affrontare tutti lo stesso ragionamento, in modo da poter usare lo stesso linguaggio per tutti. Quello attuale non è uno Stato. E’ un’accozzaglia di enti, di teste autonome che a volte vanno una contro l’altra. Non saprei realmente come definirlo. Non dobbiamo solo parlare di legalità, dobbiamo parlare di quello che vogliamo fare della nostra vita. Questo non è uno Stato. Uno Stato non usa le trivelle, non inquina quanto ci è stato donato, non manca di rispetto alle nostre ricchezze, al mare, ai pescatori, alla fauna ittica. Lo Stato non è quello che piazza un ponte su Messina. Lo Stato è quello che apprezza e valorizza, facendo quello che chiamo la vera politica.

La riprova della diffusione del messaggio di Angelo è la futura messa in onda di una fiction sulla sua vita, ispirata al libro ‘Il sindaco pescatore’.

Su questo punto ci sarebbe da parlare parecchio, ma soprattutto c’è da puntualizzare una cosa. Se non fosse stato per il libro scritto da me, mio fratello e mio suocero non si sarebbe arrivati a nulla. Una scrittura molto sofferta. Dopo l’uscita del libro il mio paese è stato tappezzato di manifesti che accusavano me e mio fratello di voler fare politica e di voler lucrare sull’accaduto. Noi abbiamo scritto il libro, noi lo abbiamo portato a teatro con Ettore Bassi e noi abbiamo cercato e voluto questo film.

Come si vive questa frustrazione? Da una parte l’amarezza, ma dall’altra il sentito dovere di comunicare ai giovani la fiducia nello Stato, nelle istituzioni. E’ una forte contraddizione.

E’ dura. Ma in primo luogo bisogna essere se stessi. In secondo luogo, quando noi ricordiamo Angelo, non ricordiamo una morte, ma parliamo della speranza. Dobbiamo avere e dobbiamo diffondere la speranza che qualcosa possa cambiare. Prima eravamo da soli. Ora siamo sempre più, non dico milioni, ma quasi.

Noi, sicuramente, siamo fra quelli.

GS Trischitta