Quand’ero bambino, sognavo che da grande avrei fatto il pirata della Malesia o, in alternativa, la mezzala sinistra. D’altronde erano tempi di austerity, grami di soddisfazioni e scevri d’eroi.
Poche le figure di riferimento
Fanfani, Rin Tin Tin, il colonnello Bernacca… Poteva un povero bambino identificarsi in un Amintore? Tutt’al più, forse in un Cuccureddu, indimenticato mediano di spinta della Juve e della nazionale.
Why proprio Cuccureddu?
Perché se uno con un nome simile ce l’aveva fatta a indossare la maglia azzurra, doveva essere proprio forte, perdiana. Perdinci e anche perbacco.
Per i pargoli di adesso è tutto più facile. Supereroi e supereroine d’ogni specie, forma e attitudine. Anche la nomenklatura calcistica è cambiata e se i mediani non spingono più e i terzini non fluidificano come un tempo, in compenso i ragazzini di oggi possono sognare di diventare falso nueve o tuttocampista.
Perfino la politica ha ripudiato la bizantina onomastica scudo-crociata, obliando gli Amintore e i Ciriaco, per consegnarsi ad appellativi più banali, come Giuseppe, Matteo, Roberto…
Roberto appunto. Fossi un bimbo siciliano del 21° secolo, da grande vorrei essere il leghista Roberto Samonà. L’uomo, per intenderci, delle odi giovanili teneramente dedicate alle SS.
Perché?
Per motivazioni pedissequamente diverse da Cuccureddu, si capisce. Se uno così è riuscito a diventare assessore alla Cultura della Regione Sicilia, significa che un’alba dorata è ormai alle porte, che un nuovo ordine giunge a riorganizzare il comune destino.
Per Giove. Pluvio e dry.
Certo, non è tutto merito suo. Occorre riconoscere il ruolo del governatore Musumeci, un altro che cento ne fa e una pensa, ma diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Bruto vent’anni di galera.
Samonà è persona immaginifica, usa a imporsi su pastoie e ostacoli burocratici mercé la ferrea volontà dello Spirito, lanciando oltre l’ostacolo il cuore o qualsivoglia altro organo impari, pur di raggiungere lo scopo prefissato. Con tutta la lucida ragione di un individuo che pubblica trattati sui Tarocchi.
Covid o non Covid, la cultura siciliana va promossa a tutti i costi. Con ogni mezzo e sortilegio, adoprando il terzo Chakra, nottetempo, tra il lusco e il brusco.
L’ultimo, fantasmagorico escamotage si chiama Carta di Catania e già dal nome si capisce trattarsi di provvedimento epocale, unico, destinato a oltrepassare i famigerati dieci piani di morbidezza.
Trattasi, in parole povere, di dare in concessione ai privati, i beni culturali di proprietà della Regione attualmente custoditi nei depositi museali.
Non tutti, purtroppo.
Solo quelli acquisiti per confisca, donati o consegnati spontaneamente, per i quali sia stata smarrita la documentazione e, in generale, deprivati di ogni riferimento al loro contesto di appartenenza.
Cioè quelli che è più facile perdere, insomma.
Tali concessioni, naturlicht, non saranno gratuite, ma in cambio di vile denaro. Oppure, es ist besser, di beni e/o servizi.
Non è chiaro quale sia il corrispettivo tra valore del bene culturale e somma (o servizio) pagata in cambio. Né chi, tra pubblico e privato, debba farsi carico delle spese di trasporto e assicurative. Ancor meno chiaro è come verrà esercitato il controllo, nel tempo, su tali concessioni. Ricordando che la Sicilia è tra le regioni più attenzionate dai trafugatori di beni artistici e archeologici, con in media una sessantina di opere sparite ogni anno.
Ma queste sono bazzecole, incapaci di frapporsi tra Idea e Azione.
Avremo finalmente il piacere di vederci negare un mutuo davanti a un olio del ‘600. Firmeremo cambiali appoggiati a colonne corinzie. Torneremo dall’Ikea con gli occhi sazi di mosaici greci e romani. Degusteremo un arancino contemplando acquasantiere medievali.
Financo la signora Sarina, titolare dell’omonimo esercizio di ortofrutta, potrà esporre, tra meloni e cucuzze, spingarde in bronzo di epoca borbonica o dalmatiche del periodo normanno.
Con notevole guadagno per tutto il cucuzzaro.
Smetto per un attimo di scrivere e alzo gli occhi dalla pagina. Fuori dalla finestra piove e il cielo è grigio.
Non so a voi, ma a me manca tremendamente Cuccureddu.