Per Sebastiano Ardita, attuale Procuratore Aggiunto di Catania e membro togato del Consiglio Superiore della Magistratura, la Trattativa Stato-Mafia “ha delle evidenze, dei fatti concreti, al di là degli esiti del processo“.
Passaggi importanti quelli di Ardita sulla trattativa Stato-Mafia, un contratto evidente tra la forza Statale e quella criminale che secondo il Procuratore vedrebbe il suo punto focale nel 41 Bis, il regime di carcere duro riservato ai criminali particolarmente efferati che compiano atti contro la persona che è, secondo il Procuratore, “l’unica prova concreta fornita durante il processo (sulla trattativa Stato-Mafia, ndr) della Trattativa evidenziata dal ritiro di 344 provvedimenti di 41 Bis“; di questa evidenza si parla già nel 2002, quando lo stesso Ardita, allora al D.A.P. (Dipartimento dell’Amministrazione Giudiziaria), incontra Gabriele Chelazzi (allora Magistrato della Direzione Nazionale Antimafia, che stava in quel momento portando avanti l’indagine sulle stragi Italiane tra la fine degli anni 80 ed i primi anni 90) il quale richiede l’accesso alla documentazione riguardante il periodo della gestione da parte del Messinese Amato del DAP (dal 1983 al 1993) ed in particolare, riguardo la tentata abolizione del 41 BIS ed il ritiro di alcuni provvedimenti che condannavo alcuni detenuti al Carcere Duro.
Chelazzi avrà i documenti richiesti e dagli stessi riuscirà ad arrivare “alla conclusione che vi era una Trattativa Stato-Mafia”, ma non farà in tempo a dare corpo a tali indagini, dato che verrà trovato morto nella sua camera all’interno della Guardia di Finanzia di Roma nella notte tra il 16 ed il 17 Aprile del 2003, una morte definita da Ardita “inaspettata e singolare“, la morte comporterà il blocco in toto dell’indagine.
Per tornare a parlare di Trattativa “si dovranno attendere diversi anni, quando, su spinta giornalistica, si torna a parlare della Trattativa e dei relativi sospetti annullamenti del regime 41 Bis” intuiti da Chelazzi come prova concreta, su tale spinta Ardita riesuma i documenti forniti al fu Magistrato della Direzione Antimafia nel 2002, e da li si apre una vicenda complessa quanto articolata, ad iniziare dall’Iter di applicazione del 41 Bis (introdotto nel 1986).
Quando infatti il 41 Bis venne emanato “vide un applicazione immediata e fu messa dentro un sacco di gente” senza ratio a causa di una mancata consapevolezza dell’importanza del provvedimento e di cosa comportasse, afferma Ardita, tuttavia quel provvedimento assunse presto la dovuta importanza e ciò costrinse il DAP a ritirare 200 provvedimenti di Carcere duro (tra i promotori di tale revoca vi era anche Giovanni Falcone), tuttavia il “carteggio che scotta” non sarebbe questo, come erroneamente presupposto dalla Commissione Antimafia che mise sotto torchio l’ex Direttore del DAP Nicolò Amato, ma bensì quello inerente il periodo successivo alla gestione Amato, cioè la gestione Capriotti, come intuito dallo stesso Fiorentino Chelazzi, con la revoca di 334 provvedimenti di 41 Bis. “Un comportamento dubbio del DAP in quel contesto, i dubbi rapporti con la Politica, le influenze esterne ed i timori di perdere il controllo della situazione” tutto ciò è stato seguito da un Spoil System della classe di Magistrati, che vide estromessi anche Amato e Falcone, la loro estromissione si rese necessaria altrimenti “non sarebbe stato possibile emettere i 334 provvedimenti” conclude Ardita.
Un quadro denso di preoccupanti intrecci quello dipinto dall’ex Procuratore di Messina, che porta alla luce del sole quanto pure affermato all’interno del Processo sulla Trattativa, evidenziando, ancora una volta, l’ennesimo aspetto “turbolento” di uno dei periodi più bui della Storia Italiana contemporanea, situazioni e contesti che devono farci riflettere nel comprendere come quell’enorme cancro chiamato Mafia abbia raggiunto determinati contesti e dinamiche e di come sia necessario, ora più che mai, una contrapposizione quotidiana alla mentalità ed azione mafiosa; non solo in onore di chi a combattere questo enorme cancro sociale ci ha dedicato e perso la vita, ma a chiedercelo è anche la nostra dignità umana e da cittadini, a chiedercelo è il nostro futuro e quello dei nostri figli, comprendendo quanto fu e quanto è ognuno di noi, anche con un semplice “No” può diventare un eroe quotidiano, di cui vi è vitale bisogno.