“Eroe, lo dico sempre, è il pompiere che rischia la propria vita in mezzo alle fiamme per salvare una vita umana mentre noi abbiamo la capacità di salvare noi stessi e, assieme, di salvarci tutti. Non siamo eroi ma siamo testimoni di giustizia, per divulgare questo esempio di legalità che dovrebbe essere una cosa naturale, come l’aria che respiriamo, come guardare il sole la mattina o l’alba o l’imbrunire della sera. Non deve essere qualcosa da insegnare, deve essere la normalità. Deve venire come una cosa istintiva”.
Non si considera un eroe, Mariano Nicotra, anche se ci vuole una grande dose di coraggio per dire no alla mafia, rifiutarsi di abbassare la testa e di pagare il pizzo nonostante i numerosi atti intimidatori subiti e la paura di venire ucciso. Perché anche questo è successo: attentato intimidatorio alla persona dello stesso 43enne imprenditore messinese, con cinque colpi di pistola che hanno colpito l’auto dell’uomo all’alba del 15 novembre 2008. Da allora Nicotra vive sotto scorta, continuando tanto la propria opera di imprenditore quanto quella di opposizione alla mafia e al pizzo: “da due anni a questa parte è cambiato tanto. Io ringrazio le istituzioni, le forze dell’ordine che mi stanno vicine, la scorta, lo Stato che mi ha dato questa possibilità di essere tutelato e di far stare tranquilla la mia famiglia. Ma da un altro lato vivere sotto scorta non è una cosa bella. Significa essere limitato nei movimenti, non poter essere libero alle dieci di sera, non perché qualcuno me lo vieta ma perché l’organizzazione diventa impossibile. Tutto quello che era la quotidianità un po’ la perdi, viene sacrificata: andare a villa Mazzini con i miei bambini, fare una passeggiata con la bici, un’escursione con la barca, andare al cinema, in discoteca, nei luoghi affollati, allo stadio, partecipare a una manifestazione. Sei limitato nei movimenti però se questo è il prezzo da pagare per potere divulgare il principio della legalità sarei pronto a sacrificare anche altro della mia vita”. Come si evince dalle parole dello stesso Nicotra la lotta contro la mafia non è una battaglia facile, alzare la testa contro i propri estorsori e rifiutarsi di sottostare alla prepotenza di un sistema criminale come Cosa Nostra denunciando i mafiosi comporta numerosi rischi ma anche molte, moltissime soddisfazioni. Una su tutte: la felicità di essere libero, di non essere controllato da parassiti pronti ad intascare parte dei propri profitti, di poter dire di essere nel giusto. Nicotra è l’emblema di chi, davanti alle intimidazioni, non si è piegato ma ha reagito e denunciato, collaborando con le forze dell’ordine per fermare un fenomeno che non si ferma alla singola persona ma abbraccia intere zone della città.
Per questo l’Asam, Associazione antiracket messinese, ha scelto proprio Mariano per la propria presidenza provinciale, nel tentativo di dare una scossa maggiore ai commercianti e agli imprenditori che possono vedere in lui un modello da seguire, un uomo che, con la sua esperienza di quindici anni di lotta contro il racket, può aiutarli ad affrontare questa durissima battaglia contro gli estorsori. “Dire testimone di legalità è un termine pesante. Sono testimone della mia libertà, di non essere sotto scacco, di non essere sotto dominio di clan o di non poterti muovere liberamente. Ribellarsi è la libertà, ribellarsi è un modo di essere liberi”. Le parole di Mariano non lasciano spazio a equivoci: l’unica via per la libertà, l’unico modo per essere liberi e non sottostare al giogo della mafia è ribellarsi e combattere. Quello che l’Asam, guidata da Nicotra, vuole fare è aiutare i commercianti e gli imprenditori a vincere questa battaglia, obiettivo raggiungibile soltanto se si combatte insieme contro un unico nemico: la mafia. “Anni fa era molto difficile trovare l’appoggio e la solidarietà degli altri, della società. Oggi con le attività e le iniziative recenti abbiamo riscontrato un grosso consenso. Don Terenzio e la chiesa hanno svolto un grande lavoro e hanno grande diffusioni in ogni tipo di persone, dai padri di famiglia ai ragazzi. Ci sono state vicine le scuole, e trovare ragazzini di dodici o tredici anni che insieme a noi ci accompagnano porta a porta e danno i volantini è un segnale molto importante. I quotidiani ci affiancano nelle nostre iniziative. Trovare insieme a noi tutte queste persone significa che c’è stato un risveglio delle coscienze, una volontà di cambiare ciò che succedeva tempo fa quando chi denunciava veniva lasciato da solo. Il grande lavoro svolto da Tano Grosso da vent’anni a Capo d’Orlando resiste ancora oggi perché in un crescendo sempre maggiore abbiamo trovato i consensi che cercavamo già a quel tempo. I commercianti ci hanno ringraziato per ciò che facciamo e ci fanno capire che hanno bisogno di essere tutelati e che le forze dell’ordine siano maggiormente presenti. Ci hanno fatto capire che sono disponibili a denunciare ma vogliono la garanzia del “dopo”. Noi siamo soltanto un’associazione, li possiamo sostenere fino alla denuncia e dopo con un impegno morale. Io non auguro a nessuno quello che successe a me nel ’96: mi pesò maggiormente il modo in cui mi hanno trattato le persone che quello che hanno fatto i delinquenti. La società civile “buona” non mi ha aiutato ma cercava di evitarmi, così succedeva che i miei vicini con la scusa di buttare la spazzatura per poter spostare la macchina e parcheggiarla lontano dalla mia. Oggi invece altri dieci commercianti parcheggerebbero accanto alla mia auto perché tutte insieme non possono essere bruciate. Una volta ho subito la solitudine, gli sguardi di chi mi additava come persona poco affidabile, come “sbirro”. Oggi per fortuna si ha una grande solidarietà e quando mi spararono trovai in città una solidarietà nuova, che non mi sarei mai aspettato. Non mi sarei mai aspettato di ritrovarmi a casa Pippo Scandurra, venuto da Roma per rassicurarmi, o i messaggi di Tano Grasso, o l’appoggio di tutti. Altri tempi non sarebbe successo. Oggi non ci sono più alibi a non denunciare, c’è anche una “convenienza” grazie alle leggi dello stato che ristorano la vittima di eventuali danni. Abbiamo la possibilità di essere sostenuti e attraverso i media abbiamo una visibilità diversa, diventiamo quasi degli eroi”.
Pippo Scandurra, presidente della Fai, Federazione antiracket italiana, fa eco alle parole dell’amico Mariano: “c’è un processo in Sicilia, una ribellione sociale. Abbiamo territori della provincia della Sicilia come Palermo, Caltanissetta, Gela, Siracusa e anche la stessa Messina in cui gli imprenditori iniziano a denunciare ed è un fatto straordinario. Le associazioni antiracket da sole non possono fare nulla, l’importante è il coinvolgimento della società. Noi in questi anni abbiamo visto partecipare le scuole ma soprattutto è la Chiesa ad esserci vicina, non possiamo dimenticare che anche le prime riunioni dell’associazione di Capo d’Orlando, che fu la prima, si facevano nella sagrestia della parrocchia. Uno dei promotori dell’associazione fu Padre Totino, il mio vicepresidente vicario è don Marcello della provincia di Potenza, l’anno scorso l’associazione antiracket è stata promossa grazie a don Salvino a Barcellona, o anche l’intervento di Monsignor La Piana che invitò tutti i parroci a parlare nelle omelie dell’usura e delle estorsioni invitando le famiglie e le vittime a denunciare: noi arriviamo agli imprenditori, la chiesa arriva alle famiglie, la scuola arriva agli studenti. Queste tre strutture insieme possono creare una grande reazione. Non è vero ciò che qualche prefetto o qualche autorità politica dice cioè che la mafia non c’è al nord dove ci sono interessi grossissimi soprattutto di appalti e lavori pubblici. Sicuramente le organizzazioni malavitose cercano di inserirsi e stanno trovando, anche in alcune regioni come la Lombardia, il Veneto o la Toscana, terra fertile, perché sono delle zone ricche e l’estorsione avviene dove c’è ricchezza, l’usura dove c’è la povertà. Bisogna fare attenzione e non pensare che la mafia sia solo in Sicilia, al nord e al centro, dove c’è ricchezza, bisogna stare attenti perché stanno cercando di inserirsi”. Ciò che bisogna fare, quindi, è partecipare, perché tutti questi fatti, l’estorsione, l’usura, gli atti intimidatori, anche se non ci colpiscono in prima persona non fanno altro che erodere le basi della società in cui viviamo: “le famiglie devono essere riferimento per i nostri figli. Nascono dei figli buoni quando ci sono dei genitori buoni, quindi è importante seguire il diritto di libertà e di uguaglianza, cercare di educare i figli ai sacrifici, far vedere che la vita non è facile ma fatta di sacrifici e dolore che portano ad essere molto più forti e affrontare la vita rimboccandoci le maniche. Non è possibile che i nostri figli, dopo tanti sacrifici, debbano andare via dal nostro territorio perché non si fa altro che togliere esperienza e intelligenza. Ho insegnato nel ’78 in Friuli e il provveditore, i presidi, il prefetto, i primari degli ospedali, il questore erano tutti meridionali. Questo è un grande investimento per il nostro territorio perché noi oltre ad avere una bellissima terra abbiamo delle belle intelligenze”.
Dalle parole e dalle esperienze di Mariano Nicotra così come da quelle proferite da Pippo Scandurra non può che nascere speranza ma soprattutto un invito a combattere. La guerra contro il pizzo e la mafia non è la battaglia del singolo commerciante contro i propri aggressori ma dell’intero popolo siciliano contro un’organizzazione che mina alla base i precetti morali della nostra società, demonizzando le nostre paure e costringendo migliaia di cittadini a vivere nel terrore di non poter pagare, di vedere la propria auto bruciata o di vedersi puntata in faccia una pistola. Tanto la Fai a livello nazionale, quanto l’Asam in quel di Messina, cercano di aiutare tutti a prendere coscienza delle proprio libertà e a riprendere in mano la propria vita.