Attacco di stato alla salute mentale

Torna ad accendersi il dibattito sul tema della salute mentale: durante l’ultimo raduno della Lega, tenutosi il 1 luglio a Pontida, le dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini   riguardo la necessità di riformare il sistema della medicina psichiatrica nel nostro Paese hanno fatto molto discutere. Il ministro, che ha avuto modo di ribadire la propria posizione anche nei giorni successivi al raduno, ha affermato che “certe finte riforme” andrebbero riviste, essendo giuste sulla carta ma inefficaci all’atto pratico.

Seppur mai nominata espressamente da Salvini, il pensiero va subito alla legge del 1978 conosciuta come “legge Basaglia”: chiudendo le porte dei manicomi, questa legge consentì un enorme miglioramento delle condizioni di vita delle persone con una salute mentale compromessa, che a detta del ministro Salvini oggi sarebbero “a piede libero” e rappresenterebbero una minaccia per l’incolumità dei cittadini. L’accusa principale mossa dal ministro dell’Interno è che lo Stato ha scaricato sulle famiglie di questi soggetti tutta la responsabilità fisica e morale dei propri cari, negando loro un giusto aiuto.

Per chiarire un tema abbastanza complesso come quello della salute mentale, abbiamo intervistato sull’argomento lo psichiatra Corrado De Rosa, che si è a lungo occupato dell’uso strumentale della follia nei processi di mafia e terrorismo e da poco è in libreria col suo primo romanzo “L’uomo che dorme”, pubblicato nella collana Nero Rizzoli, in cui si affronta il tema dell’incomprensibilità dei comportamenti umani.

Salvini, a Pontida, ha fatto dichiarazioni sulla cosiddetta legge Basaglia. Ha detto che è una riforma giusta solo sulla carta, che ha abbandonato le famiglie dei malati psichiatrici cancellando le strutture che li curavano.

Forse il Ministro ha dimenticato che la legge sulla Salute mentale è un’eccellenza che tutto il mondo riconosce all’Italia. La Società Italiana di Psichiatria ha, proprio dopo le dichiarazioni di Salvini, diffuso i dati che descrivono una rete capillare di strutture: 163 Dipartimenti di Salute Mentale, 1460 strutture territoriali, 2284 strutture residenziali che ospitano più di trentamila persone, 889 strutture semiresidenziali, 285 reparti ospedalieri più altri centri accreditati. Si tratta di un sistema che assiste ogni anno oltre 800mila utenti. I criteri che definiscono il concetto di abbandono credo siano altri.

Poi, a La7, Salvini parla di esplosione di aggressioni da parte dei pazienti psichiatrici.

È una notizia sostanzialmente falsa, non c’è nessun riscontro che confermi l’affermazione del Ministro. In Italia, il 95% dei reati è commesso da persone “normali” e più spesso i pazienti psichiatrici sono vittime, non carnefici. Questi messaggi, strumentali all’aumento di paure e insicurezze sempre in primo piano nelle agende di una parte della politica, aumentano lo stigma e la discriminazione nei confronti delle persone affette da disturbi mentali etichettati come “pericolosi”.

Qual è, in realtà, lo spirito della legge 180/78?

Quello di restituire dignità e pieni diritti civili alle persone affette dai disturbi mentali. È inquietante sentir parlare il Ministro degli Interni di un tema che riguarda la salute e non il controllo sociale. Riecheggiano i temi della pericolosità per se e per gli altri, del pubblico scandalo, di lati oscuri della psichiatria che proprio grazie alla legge 180 sono stati superati.

Quali traguardi sono stati raggiunti e quanti mancati per colpa di uno Stato assente?

A quarant’anni dalla legge, si può stabilire che ci sono aspetti che vanno migliorati, che c’è ancora molto da fare. Il problema è che gli operatori sono lasciati soli, che l’onere delle responsabilità aumenta, che un sistema assistenziale d’avanguardia costruito faticosamente in 40 anni arranca per finanziamenti ridicoli: meno del 3.5% del totale della spesa sanitaria italiana. In Francia, Germania e Spagna, per esempio, s’investe dal 10 al 15%. La carenza di personale, non solo medico ma anche di psicologi, riabilitatori, assistenti sociali, riguarda più di 2/3 dei Dipartimenti italiani. Una delle conseguenze di questo dato, per esempio, è che i servizi pubblici devono concentrarsi solo su alcune patologie, non riescono a garantire un sostengo psicologico o sociale a tutti i pazienti che ne hanno bisogno. Poi c’è il problema della percezione del ruolo della psichiatria e questo problema riguarda talvolta anche forze dell’ordine e magistratura che considerano la salute mentale come braccio armato sanitario della pubblica sicurezza. Le aggressioni e le violenze di cui leggiamo sui giornali spesso sono commesse da persone con precedenti penali e sotto effetto di sostanze, che entrano più o meno di peso nei circuiti assistenziali della salute mentale, pur dovendone stare fuori.

L’ultima barriera era quella degli OPG, cosa significherebbe tornare indietro nel campo della psichiatria giudiziaria?

Il Ministro Salvini non ha parlato del superamento degli OPG. Ma anche quello è un ambito complesso che, come tutte le grandi conquiste civili, porta in sé risultati chiari e aspetti da migliorare. Perché costruire è sempre più difficile che demolire. Le REMS, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non sono il sostituto degli OPG nonostante siano percepite come tali. Si tratta di piccole strutture in cui la cura prevale sulla reclusione, ma non sono un pozzo senza fondo e i criteri d’ingresso devono essere più stringenti. Anche in questo caso, troppo spesso si perde di vista il fatto che non tutto si può e non tutto si deve curare. Odio, rabbia, violenza, cattiveria non sono sintomi, sono elementi costituivi dell’essere umano.

Persone simbolo come Alda Merini non ci hanno insegnato nulla?

Alda Merini diceva: mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire. Credo sia un verso di grande attualità.

C’è populismo nelle parole di Salvini?

L’ascesa politica di Salvini coincide con l’epoca della post-verità. In questo caso, posizioni estreme e uso disinvolto della verità, in cui i fatti e i dati contano meno dell’emotività e delle convinzioni personali, hanno un peso specifico rispetto all’orientamento delle scelte collettive e individuali. Le parole del Ministro fanno leva sugli istinti, saltano il processo della riflessione, alimentano, come dicevamo, rabbia, paure e insicurezze. E non c’è sentimento più forte della paura per tenere insieme le persone e per aumentare il proprio consenso sociale, non ha importanza che essa sia motivata o meno.