Attilio Manca, Bernardo Provenzano e la Trattativa.

E’ stato presentato il libro del Giornalista Luciano Mirone sullo strano “suicidio” di quello che a detta di molti è stato considerato l’urologo di bernardo provenzano. Il libro, un “suicidio” di Mafia”, è stato presentato nei locali della Provincia di Messina alla presenza del sostituto procuratore delle Repubblica Sebastiano Ardita, del maresciallo dei Carabinieri Severio Masi, del deputato Francesco D ‘Uva, di Gianluca Manca e dell’avvocato Guarnera.

Risentire dalle parole di Mirone il racconto di alcune delle macroscopiche inesattezze, errori e strafalcioni giudiziari che hanno portato a trasformare l’omicidio per mafia di Attilio Manca in un suicidio, ha lasciato spiazzata la platea degli ascoltatori, tra i quali in ultima fila ha visto la presenza del Sindaco Renato Accorinti e dell’Assessore Daniele Ialacqua.

Trovato morto a Viterbo il 12 Febbraio del 2004, Attilio Manca era nato 34 anni prima a Barcellona Pozzo di Gotto. Famoso urologo in campo nazionale per aver introdotto in Italia il metodo laparoscopico, da più parti viene indicato come colui che curò bernardo provenzano per i problemi di prostata che lo affliggevano. Il periodo e le date coincidono, era il periodo in cui provenzano ancora libero si recò a Marsiglia in incognito per farsi curare. Secondo la ricostruzione dei genitori e parenti, che non hanno mai accettato l’ipotesi del suicidio come ricostruita dalla Procura di Viterbo, Attilio sarebbe stato contattato dalla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto per affiancare i dottori di Marsiglia e curare il boss latitante. La ricostruzione dei fatti, tuttavia, è stata più volte respinta dalla magistratura e lo stesso attuale Presidente del Senato, Pietro Grasso, e allora procuratore nazionale antimafia ha sempre dichiarato l’estraneità del boss corleonese all’intera vicenda.

Quello che colpisce in tutta la storia è il silenzio delle Istituzioni, dice Luciano Mirone. “Un muro di gomma, un muro di silenzio, come se si fosse cambiata strategia a Barcellona Pozzo di Gotto. Ricordo ancora la stagione delle aggressioni ai conferenti quando si parlava di certe cose, del delitto Alfano o della “Corda Fratres” (il primo il famoso giornalista Peppe Alfano ucciso dalla mafia nel 1983 e la seconda una famosa associazione culturale nata nel 1943 e sospetta di essere stata una loggia massonica segreta). Quando dalla platea si inveiva contro i relatori. Adesso, invece, dall’aggressione si è passati al silenzio e dall’omicidio al suicidio”

“Un silenzio assordante dove tace ugo manca”. Il cugino di Attilio, già noto alle forze dell’ordine per detenzione abusiva di arma e condannato in 1° grado per traffico di droga, oltre che frequentatore di molti personaggi legati alla mafia. Sarebbe sua una delle impronte trovate nella stanza dove si sarebbe consumato il suicidio, ma la sua posizione processuale – insieme a quella di altre quattro persone provenienti dall’ambiente di Barcellona Pozzo di Gotto, angelo porcino, salvatore fugazzotto, lorenzo mondello e andrea pirri- è stata archiviata nell’agosto 2013. Una decisone quella della magistratura che da una parte ha escluso qualsiasi riferimento alla mafia barcellonese e dall’altra avrebbe sancito una volta per tutte che per la giustizia Italiana, Attilio Manca era un drogato suicida.

“Dove tace l’avvocato di ugo manca a cui ho fatto dieci domande che sono nel libro, continua Mirone. “Non mi ha risposto neanche l’avvocato di un altro grande amico di Attilio che, dopo la sua morte e quando non poteva più difendersi dalle accuse infamanti, ha dichiarato che Attilio era un tossicodipendente. Anche l’avvocato di questo signore partecipa al rito della delegittimazione della vittima e pur essendo stato un amico d’Attilio fin dalle elementari ha preferito non rispondere alla domanda sul perché non avesse ritenuto opportuno astenersi”.

“Il silenzio del medico legale, dott.ssa Dalila Ranalletta, prosegue Mirone, che pur avendo descritto tutti gli organi del cadavere non ha descritto quelli essenziali e principali per le indagini. Non ha parlato del setto nasale deviato, come se non ci fosse un naso nel corpo della vittima o non ci fossero testicoli e scroto tumefatti nel cadavere. Nelle foto invece queste parti si vedono bene, pieni di ecchimosi e lividi, come se qualcuno avesse sferrato un calcio prima d’immobilizzare la vittima. Questi dati non solo non vengono riportati nella perizia del medico legale ma non vengono riportati neanche nella verbale della Polizia, anzi sia il medico che la polizia scrivono che non vi sono segni di violenza sul cadavere”.

Il libro di Luciano Mirone affronta il tema della morte di Attilio Manca e di tutte le stranezze che hanno caratterizzato la vicenda giudiziaria. Note da tempo alcune stranezze che hanno interessato il caso, come quella relativa ad un mancino conclamato che non aveva mai fatto uso di droghe e che è riuscito da solo ad iniettarsi ben due dosi di eroina e tranquillanti nel polso e nell’avambraccio sinistri. O quella delle due siringhe su cui si sono ordinati gli esami tecnici solo dopo otto anni dal fatto oppure quella della anomala pulizia dell’appartamento dove Attilio viveva da anni e che quasi completamente pulito a lucido da impronte ha evidenziato solo 9 impronte, di cui 4 di Attilio, 4 di persone rimaste sconosciute ed una assegnata al cugino ugo manca.

Ma il libro di Mirone mette in luce anche un’altra aspetto. Quello socio-ambientale di Barcellona Pozzo di Gotto, caratterizzato da una mafia forte, sanguinaria e eversiva ed a cui il giornalista fa un breve cenno. Una città che in questi anni ha visto confermata la sua rilevanza mafiosa e criminale attraverso i numerosi processi e procedimenti per mafia che l’hanno interessata. E’ da Barcellona Pozzo di Gotto che parte il telecomando usato da giovanni brusca nell’attentato di Capaci al Giudice Falcione. E’ Barcellona che vede il connubio tra politici, magistrati e pezzi da 90. Che vede figure come quella dell’ ex Senatore Domenico Nania, come ricorda Mirone, “che recentemente è stato tirato in ballo dal pentito carmelo d’amico quale capo di una super loggia massonica che aveva i suoi tentacoli stesi tra una parte delle Sicilia e della Calabria. Oppure le spiegazioni che ancora aspettiamo dall’ex Procuratore della Repubblica franco cassata sul motivo per cui frequentasse lo stesso circolo del boss giuseppe gullotti”.

In questo humus mafioso criminale che ha caratterizzato Bercellona Pozzo di Goto in quegli anni è facile ipotizzare che Provenzano abbia effettivamente trovato durante le latitanza appoggi e connivenze. Secondo questa ipotesi che possiamo chiamare del complotto di Stato, Attilio Manca sarebbe stato vittima di un ingranaggio Stato-Mafia più grande di lui. Un ingranaggio che aveva il suo perno nella trattativa, oggi al centro di un famoso processo a Palermo, che nel volere mettere una cappa di silenzio su tutto quello che riguardava l’allora latitante provenzano ha permesso che un omicidio di mafia si trasformasse in un suicidio di mafia.

Questa lettura della vicenda è avvalorata dalla presenza alla presentazione del libro di Luciano Mirone, del Maresciallo dei Carabinieri Saverio Masi, attuale caposcorta del PM di Palermo Di Matteo, il quale per aver denunciato e deposto nel 2010 contro i suoi superiori in merito gli “ostacoli incontrati nell’ambito della sua attività investigativa finalizzata alla cattura di bernardo provenzano” – e di cui è attuale testimone nel processo sulla Trattativa a Palermo- oggi si trova coinvolto in un processo penale per i reati di falso materiale, falso ideologico e truffa per non aver pagato una multa.

Una vicenda paradossale quella di Masi, dove il sospetto che i processi ed i procedimenti siano usati in modo strumentale per colpire o coprire qualcuno acquista la consistenza del dubbio. Dubbio che non viene sciolto neanche dal recente rinvio a giudizio per diffamazione di cui sia Masi, l’ex collega Fiducia e il loro Avvocato, Giorgio Carta, sono stati oggetto per aver in una conferenza stampa del 2013 dichiarato che i superiori del nucleo operativo di Palermo avevano di fatto impedito le indagini. Anzi, i contrasti tra la Procura di Palermo e quella di Roma in merito alla competenza delle due procure sulla vicenda i dubbi invece di scioglierli li hanno aumentati.

Infine, una figura che con la sua sola presenza alla presentazione del libro ha messo un sigillo di legittimità all’ipotesi che tutto ruoti intorno ad un certo qual modo con il quale è stata gestita, da parte di pezzi dello Stato deviati, non solo la cattura ma anche la latitanza del boss provenzano è quella del Sostituto Procuratore della Repubblica Sebastiano Ardita.

Pietro Giunta