Doppia maglia nera per
la Sicilia: dispersione scolastica al 37 per cento. Giovani che non studiano e
non lavorano a quota 38,6 per cento.
E’ la fotografia di un
vero allarme sociale quella venuta fuori in queste ore dai dati statistici sui
giovani siciliani. La regione ottiene, infatti, due primati negativi, collocandosi
in testa alla classifica nazionale sia per dispersione
scolastica (dietro solo alla Sardegna), che per numero di NEET (Not in
education, employment or training – giovani
che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione).
Il primo dato viene dal
nuovo studio dell’Invalsi sulla cosiddetta “dispersione scolastica
implicita” che individua coloro che non riescono a raggiungere
“traguardi minimi”. In questo
caso al numero di studenti che non termina le scuole superiori, si somma il
numero di ragazzi e ragazze che arrivano al diploma con un livello di conoscenze di base troppo scarso per poter proseguire
autonomamente nel loro percorso professionale o formativo. 37 giovani siciliani su 100, fra i 18 e i 24 anni si trovano in
questa drammatica situazione. Fa peggio
solo la Sardegna a quota 37,4%.
“Questi cittadini
– si legge nel rapporto – avranno grosse difficoltà a elaborare le informazioni
a loro disposizione per prendere decisioni basate su dati di realtà e coerenti
con i loro progetti di vita. In secondo luogo questi giovani adulti non sono individuati dal sistema e quindi
molto difficilmente potranno godere delle azioni di supporto di cui avrebbero
molto bisogno”.
Il governo Musumeci non
ha fatto in tempo a ricordare le misure intraprese per combattere il fenomeno, tra cui l’avvio della
sperimentazione negli istituti a rischio col prolungamento del tempo scolastico,
che a lanciare un nuovo allarme è giunta la ricerca di Unicef Italia ‘Il
silenzio dei Neet. Giovani in bilico tra rinuncia e desiderio’, realizzata
sugli ultimi dati Istat del 2018.
Anche in questo caso la Sicilia detiene il primato con un’incidenza del 38,6% della popolazione. A seguire Calabria (36,2%) e Campania (35,9%).
“Essere NEET, ovvero non studiare, non lavorare né seguire percorsi
di formazione è una condizione di disagio ed esclusione sociale – si legge in
prefazione alla ricerca – che priva i ragazzi e le ragazze di una possibilità
di futuro, lasciandoli indietro”.
Utilizzando le parole di un testimone intervistato in questa ricerca, “il NEET è un indicatore di una qualità
della vita insufficiente”.
La maggior parte di questa tipologia di giovani ha anche conseguito
un diploma di scuola secondaria superiore (49%), a fronte
di un 40% con un livello d’istruzione più basso e addirittura di un 11% di laureati.
Un altro interessante punto di vista inserito nella ricerca per analizzare la trasformazione dell’universo giovanile e dell’educazione è sicuramente il Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia. Il terzo Rapporto (2017) ha messo in luce una serie di aspetti che non sono in linea con i principi della Convenzione, a cominciare dalla carenza di un adeguato investimento strutturale nel settore dell’educazione.
Molto significativi anche i dati sul lavoro minorile in Italia: circa 340 mila ragazzi tra 7 e 15 anni nel 2013 dichiaravano di aver avuto qualche esperienza di lavoro sono.
Tra i fattori che favoriscono il lavoro precoce, c’è anche l’insuccesso scolastico.