Parlare di ‘vittime vulnerabili’ richiede una certa pratica in terminologia giuridica. Nel decreto legislativo del 15 dicembre 2015, n° 212, si può leggere:
“la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltreché dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato”
Il testo della Raccomandazione sull’assistenza alle vittime di reato adottata dal Comitato europeo sui problemi criminali del Consiglio d’Europa dell’aprile 2006, dichiara, nell’ art. 3 par. 4, che
“gli Stati dovrebbero assicurare che le vittime che sono particolarmente vulnerabili, per le loro personali caratteristiche o per le circostanze del crimine, possano beneficiare di misure speciali appositamente predisposte per la loro situazione”.
Una terminologia specifica, dunque. Così come un’assistenza specifica.
In questo, la città di Messina vanta una posizione che potrebbe definirsi all’avanguardia. Il tutto grazie a un sistema ben organizzato di programmi specifici che puntano all’addestramento di forze dell’ordine e di strutture pubbliche adeguatamente istruite e pronte ad affrontare casi di violenza anche in fase preventiva.
Giovannella Scaminaci, procuratore aggiunto di Messina, illustra a ilcarrettinodelleidee.com i passi da gigante compiuti dalla Procura nel campo della violenza su vittime vulnerabili.
Aumentano i casi di violenza ‘sventata’. Sempre più stalkers arrestati. Queste notizie testimoniano un sicuro miglioramento del sistema giuridico e penale. A quale tipo di intervento si deve questo positivo cambiamento?
Nel campo della prevenzione c’è stato, nell’ultimo periodo, un capillare lavoro di coordinamento di tutte le forze di polizia tenuto dalla Procura. Stiamo facendo un lavoro sull’intero territorio. Abbiamo presentato il pool di magistrati che si occupa di questa tipologia di reati contro le vittime vulnerabili: donne, bambini, immigrati. Abbiamo illustrato le nostre direttive, spiegato cosa fare e cosa può succedere se non si fa. Sono tutte indicazioni dettate dall’esperienza passata. In altre parole, dopo aver analizzato diverse casistiche, sono state elaborate le dovute direttive. Una serie di dati che hanno davvero sollecitato la sensibilità in questo campo da parte delle forze dell’ordine. Siamo molto soddisfatti del ritorno che c’è stato. Adesso individuano subito l’episodio di una donna maltrattata e questo porta a un intervento veloce e immediato. Ai primi segni dello stalking scatta la denuncia. Ecco perché riusciamo a imporre misure cautelari che per altro sono diversificate.
Lo scopo è quello di cercare di fronteggiare il fenomeno, non prima ancora che le cose accadano perché questo è compito precipuo della polizia giudiziaria, ma quantomeno predisporre mezzi, conoscenze e strumenti e prassi applicative idonee a far sì che la polizia giudiziaria, carabinieri e polizia di stato, riescano a individuare quelli che noi chiamiamo episodi sentinella. Ovvero quei fatti che lasciano comprendere che c’è un percorso di maltrattamento, di violenza di genere, o di atti persecutori in corso.
Cosa è stato fatto in termini pratici?
Abbiamo in primo luogo redatto delle direttive. Possiamo chiamarle ‘criteri e prassi’. Come prima cosa, la necessità di avere subito informazioni sui possibili reati sentinella. Abbiamo poi notato come potesse subentrare qualche dubbio interpretativo su come procedere, su come ascoltare i minori o le donne maltrattate. Sotto questo punto di vista abbiamo un apparato legislativo all’avanguardia a livello europeo e anche rispetto a paesi non europei. E’ ad esempio previsto dalla legge che si nomini un assistente psicologico, anche solo per ascoltare una vittima vulnerabile, non necessariamente un minore.
E’ compito precipuo della Procura coordinare le direttive delle intere forze dell’ordine e di polizia sul territorio, ma anche suggerire delle prassi con delle modulistiche precise che possano guidare le forze dell’ordine, non tanto quelle specializzate, ma quelle di primo intervento. La volante in radio mobile non è composta da personale specializzato nei reati contro fasce deboli o vittime vulnerabili, quindi ha bisogno di sapere cosa fare, anche nelle emergenze. Si rischia altrimenti, e in quel caso legittimamente perché non sono specialisti, che alcune cose possano sfuggire.
Questo è quello che noi abbiamo potuto evitare preparando un po’ tutti i reparti, anche quelli che operano in prima linea sul territorio, a riconoscere e affrontare i casi di violenza di genere, immediatamente appena accadono, anche dalla chiamata al 113 o dall’arrivo di una donna all’ospedale che dice di essere caduta dalle scale, e in questo caso interviene il progetto CODICE ROSA
A proposito di ospedale e di CODICE ROSA, in cosa consiste nella pratica questo progetto?
Il progetto CODICE ROSA prevede il coinvolgimento istituzionale degli ospedali. Stiamo collaborando con la ASL del Papardo, anche se le altre ASL siciliane sono interessate a collaborare al progetto. Quando una struttura ospedaliera individua un caso che faccia sospettare che si sia verificato un episodio di violenza su un bambino o su una donna, si attiva il sistema di tutela e intervento. Il medico di turno del pronto soccorso, in altre parole, individuati gli indici che permettono di riconoscere una violenza, può fare affidamento su una realtà fatta di professionisti, tra cui psicologi, che possano mettere la donna o il bambino nelle condizioni di poter essere tutelati, con la possibilità di essere inseriti all’interno di una delle tante case famiglia, per le quali sono stati diffusi gli elenchi ufficiali, ora a disposizione delle strutture.
Messina è una realtà capofila per quanto riguarda il progetto. Un progetto approvato nella legge di stabilità, cosa che ha manifestato grande partecipazione e sensibilità da parte del Dipartimento per le pari opportunità. Possiamo affermare di essere riusciti a svegliare la sensibilità collettiva sul punto in questione.
Come è possibile sventare i casi di ‘falsa violenza’?
Ci avvaliamo di un personale specializzato nell’ investigazione nel caso si verifichi un caso opposto a quelli appena citati, ovvero di una donna che possa falsare un episodio di violenza. Quando si acquisiscono elementi investigativi in un campo così delicato, la prima cosa da verificare è che non ci sia una sovrastruttura mirata per esempio a reagire a problemi di separazione, o a ottenere incentivi economici dalla separazione. L’investigazione è il primo passo. Questo è un campo in cui non ci si può fermare a quanto emerge dalle carte. E’ necessario esaminare le persone coinvolte, ascoltarle con l’ausilio di esperti.
Sotto il punto di vista dei sussidi economici, si riesce a garantire a una donna vittima di violenza la possibilità di condurre una vita dignitosa? Pensiamo alle donne che subiscono maltrattamenti da parte di uomini che rappresentano la loro unica fonte di sostentamento.
Purtroppo non sempre. Nelle direttive che abbiamo inviato, abbiamo sollecitato la polizia giudiziaria a riconoscere, quale fattispecie tipica anche dei maltrattamenti in famiglia, i maltrattamenti di tipo economico, riconosciuti dalla Corte di Cassazione. Il problema del sussidio di mantenimento a seguito di separazione è un problema del giudice civile. Ma è davvero difficile per molte donne riuscire a vivere dignitosamente e non sentire il peso di questa condizione. Una donna maltrattata, per avere il coraggio di denunciare, arriva davvero al limite della sopportazione se ha problemi economici. La paura di non potere sopravvivere è tanta. Cercare di sollecitarla in tal senso, cercare di individuare i primi segnali, di farle capire che si può rischiare la vita propria e dei figli, è delicatissimo compito al quale sia i servizi sociali che le forze di polizia devono essere preparate. Non è facile, ma è doveroso iniziare. Scegliere dei referenti, verificare che ci siano le figure necessarie a cui chiedere supporto e collaborazione.
Quando iniziaste questo percorso godevate della collaborazione di tre grandi donne. Una è a Siracusa, la dott.ssa Stramandino. Oggi abbiamo ancora la dott.ssa Rocca, nel reparto operativo dei carabinieri, e la dott.ssa Di Blasi nel reparto ‘reati contro la persona’. Quanto è importante avere dei referenti femminili?
Credo sia fondamentale, ma che sia altrettanto importante avere dei referenti che in generale, prescindendo dal genere, abbiano una specifica sensibilità verso il problema. Ho conosciuto moltissime figure maschili, ufficiali, sottoufficiali, che riuscivano a instaurare un’empatia con i bambini e con le vittime di violenza tale da poterli rasserenare e quindi capaci di spiegare i vari particolari del reato. Abbiamo presenze femminili, sia nei carabinieri che nella squadra mobile. Ma sono importanti figure maschili perché spesso le vittime sono bambini e ragazzi che possono provare vergogna nei confronti di una donna.
È sempre più frequente il fenomeno delinquenziale anche nei giovani cosiddetti di buona famiglia. Le fasce medio borghesi sono sempre più coinvolte. Questo avvicinamento alla delinquenza porta anche a una diversa cultura del rapporto uomo/donna?
Io la chiamo la cultura del nulla. Il sentimento del possesso. Costituisce la base della violenza di genere. Laddove l’uomo non ha la coscienza che la donna sia un essere umano come lui, con le ovvie diverse caratterizzazioni e naturali differenze, è perché spesso è mancata una vera e propria educazione alla differenza. Cos’ è che fa scatenare la rabbia dopo una separazione? L’idea che quella persona non sia più ‘tua’. Questo vuoto culturale, questa mancanza di sensibilità e di preparazione a scuola o in famiglia, fa sì che questi giovani considerino dei ‘miti’ situazioni che mitologia non dovrebbero essere. Come il concetto del ‘tanto denaro e poco lavoro’. Ma è una problematica da affrontare prima in famiglia e poi a scuola. E’ un lavoro che va fatto con grande attenzione sui ragazzi e sui giovani. Un nostro progetto è quello di iniziare un lavoro presso le scuole. Magari affrontare anche i rischi di internet, anche questo un fenomeno molto problematico per il quale i ragazzi non comprendono le pieghe negative e a volte pericolose cui può portare un uso sconsiderato della rete.
Colpevolizzare la vittima anziché proteggerla. E’ quanto accaduto poco tempo fa a Mileto. Un episodio ‘fotocopia’ del caso di Anna Maria Scarfò. Il fatto ha visto protagonisti un preside e un prete che hanno quasi giustificato una violenza indicibile. Una intera comunità schierarsi contro una ragazzina che ‘portava la minigonna’ e quindi ‘se l’è cercata’.
Questo è un vecchio leitmotiv. Si giustifica la situazione di fatto. La donna è un essere inferiore ed esiste solo in quanto ‘appartenente a un uomo’, per cui se non si difende, è colpa sua. Questo è un partire dal presupposto più errato che ci sia. Un presupposto contro cui dobbiamo combattere non solo reprimendolo penalmente, ma educando i ragazzini e i bambini nelle scuole. Educare all’equilibrio, alla libertà e all’uguaglianza. Il discorso sul vestiario rientra nell’ambito del decoro e del rispetto, ma che ormai non riguarda più solo le ragazzine. Il fenomeno della violenza ai danni dei maschi è un fenomeno sommerso, ma esiste. Un genitore deve preoccuparsi delle violenze sia che abbia una figlia femmina che un figlio maschio. Non se ne parla, ci si vergogna. Ma c’è. E a quel punto cosa si dice? Che è colpa del ragazzino? Ma lui non esce con la minigonna! Questa subcultura deve essere eliminata.
Si riesce ad interagire con altre forze educative? Quali sono i rapporti con la chiesa o con la scuola?
Tutto dipende dalla volontà di interagire. Tramite l’esperienza del codice rosa, con il quale siamo riusciti a coinvolgere le strutture ospedaliere, abbiamo potuto constatare come con un’ integrazione ben strutturata, concordando ciò che si può fare e come lo si debba fare, i risultati siano tangibili. Sono convinta che la stessa cosa si possa fare anche in ambito scolastico. Durante la mia esperienza come sostituto procuratore a Catania, siamo riusciti a suscitare un vivo interesse dei giovani con incontri nelle scuole.
La chiesa negli ultimi anni sembra però allontanarsi sempre di più da certe forme di protezione verso i minori e gli adolescenti.
Io penso sia solo necessario avere un po’ di pazienza. Credo che a livello centrale ci sia una volontà di deviare da questa linea definita da molti bigotta. Vedo un cambiamento in questo senso soprattutto nelle comunità parrocchiali frequentate dai giovani..
Lei si sente appoggiata dalle leggi vigenti o pensa ci sia bisogno di qualche modifica?
Da quando ho cominciato a lavorare, 23 anni fa, le cose sono molto cambiate. All’inizio mi scontravo con un apparato legislativo decisamente inadeguato. Pene inadeguate. Orientamenti giurisdizionali che spesso colpevolizzavano le donne. In quest’ultimo periodo ho potuto riscontrare un’evoluzione notevolissima. Quello che ancora si potrebbe fare riguarda la praticità. Si potrebbero favorire dei provvedimenti legislativi e amministrativi che sostengano delle istituzioni e degli organismi sociali che possano supportare le donne maltrattate dopo la denuncia, come ad esempio le comunità protette. Incoraggiare la diffusione di luoghi presso cui le donne possano portare i propri figli. Come è stato finanziato il progetto codice rosa, si potrebbero finanziare un po’ di più queste strutture.
In questo momento il governo centrale sta ridistribuendo le forze sui territori. Questo comporterà un indebolimento del tribunale dei minori.
Un organismo giudiziario specializzato è fondamentale. Anche sotto questo punto di vista siamo all’avanguardia in Europa e nel resto del mondo. Mi auguro vivamente che non si compiano passi indietro. Per ciò che riguarda la città di Messina, i tagli che sono stati prospettati sono a mio avviso molto gravi. Credo di poter affermare che a volte qui a Messina scontiamo l’eccessiva modestia con cui si fa il lavoro duro e pesante che si è sempre fatto. Ed è un vero peccato. Io stessa, provenendo da una realtà esterna a Messina, ho visto una qualità del lavoro delle forze di polizia, dei miei colleghi magistrati requirenti e giudicanti, di cui non si ha sufficiente contezza, e forse questo paghiamo rispetto al Ministero di Giustizia della sede centrale.
Ad esempio, Messina è il quarto porto in Italia per lo sbarco dei migranti, e non lo sa nessuno. Tutti gli altri organici giudiziari sono stati rafforzati. Parlo di Catania con Pozzallo, di Palermo e di Reggio Calabria. Messina viene invece completamente trascurata. Questo perché gli stessi dati non sono nemmeno noti. Non viene esposta la quantità e la qualità del lavoro che si svolge. Nella giurisprudenza noi siamo riusciti, a proposito del fenomeno migratorio, a far considerare i migranti non come indagati, ma come soggetti la cui posizione va valutata. La responsabilità penale è personale per chiunque, anche per il migrante.
A Messina si deve finalmente mostrare quanto si lavora. Ci auguriamo che questo gap di percezione di Messina da parte del Governo centrale sia colmabile al più presto.
GS Trischitta
Dino Sturiale