Quella sera dell’8 gennaio, il corpo di Beppe Alfano venne ritrovato all’interno della sua auto, con Il piede destro ancora sull’acceleratore.
A ucciderlo, tre colpi sparati da una calibro 22. Nei giorni precedenti all’uccisione aveva rivelato: “Mi uccideranno alla fine di dicembre”. La paura di morire per lui quindi era diventata una sorta di seconda natura. Ma chi era Beppe Alfano? Ufficialmente, era un insegnante di educazione tecnica con una grande passione politica. Militante di estrema destra, aveva aderito a Ordine Nuovo, entrando poi, quando questo vi sarebbe confluito, nel Movimento Sociale Italiano, venendo anche espulso dal partito per aver denunciato connivenze, silenzi e atteggiamenti deprecabili di vario tipo di alcune cariche dell’MSI. Nutriva anche una grande passione per il giornalismo benché non avesse il tesserino dell’Ordine.
Scriveva e denunciava per il quotidiano catanese “La Sicilia”. Le sue cronache audaci avevano scoperchiato una realtà nuova della cittadina sul Longano, che non era il modello, immune dal fenomeno mafioso, che tutti pensavano. La sua penna aveva registrato retroscena di omicidi, storie del malaffare e truffe. Era diventato un pericolo, un rompiscatole; per questo la mafia – che non ama avere puntati i riflettori su di sé – aveva deciso di zittirlo.
In questi giorni, Barcellona Pozzo di Gotto è diventata un luogo di incontro e dibattito con rappresentanti nazionali e internazionali della lotta alla mafia, per ricordare l’impegno di Beppe Alfano, che ha portato avanti una battaglia solitaria contro le storture di cui era testimone. Un messaggio di plauso è arrivato anche dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha dichiarato: “Le iniziative organizzate a Barcellona Pozzo di Gotto, con il coinvolgimento delle migliori energie della società civile per la promozione della cultura della legalità, costituiscono il modo più concreto per onorare la memoria di chi ha perso la vita per assicurare l’affermazione dei diritti e il rispetto delle regole.
Esse rappresentano, altresì, occasione per riaffermare l’impegno di tutti i soggetti istituzionali e di tutte le forze politiche e sociali contro la minaccia delle organizzazioni mafiose, le cui strategie si insinuano nella società, minandone la vita democratica, la coesione e il progresso”. Memoria e impegno quindi sono due elementi imprescindibili. L’impegno a Barcellona Pozzo di Gotto diventa necessario, soprattutto dopo che si è tornati a sparare. La società civile e la coscienza dei barcellonesi tuttavia, secondo il sindaco Maria Teresa Collica, sono mutate: “Oggi, a venti anni dall’omicidio di Beppe Alfano, il vertice del gotha mafioso è quasi tutto in carcere. Sono stati sequestrati ingenti patrimoni alla mafia e tutto questo non possiamo dimenticarlo. In queste giornate di ricordo, però, echeggia la preoccupazione per gli eventi di cronaca che hanno scosso nuovamente Barcellona”. Il primo cittadino invita tutti a reagire : “E’ naturale avere paura di fronte a quello che continua ad accadere, ma la paura va trasformata in una reazione da parte dei cittadini. Possiamo chiedere il potenziamento delle forze dell’ordine, possiamo chiedere un maggiore impegno, ma certo opporre una sana e seria collaborazione da parte di ognuno di noi è importante”. A distanza di vent’anni, insomma, si capisce che la lotta non è ancora finita, ma deve coinvolgere tutte le forze della società civile. Dal cittadino allo Stato. Il tempo ha solo mostrato che la provincia del messinese non è né “babba”, né silenziosa. La realtà è davanti agli occhi di tutti. Basterebbe risalire alle origini dei problemi, offrendo un altro significato, come il giornalista senza tesserino si ostinava a fare.
Claudia Benassai