Bullismo e mass media

La relazione tra bullismo e mass-media è di grande attualità e merita le dovute attenzioni, che nascono dalla volontà di capire e far chiarezza su ciò che in questo fenomeno è causa e ciò che ne è l’effetto.
Questa necessità nasce dalla constatazione che quotidianamente veniamo imbottiti di pubbliche opinioni, di luoghi comuni, risentiti da ciò che minaccia la rispettabilità della nostra pigrizia mentale, siamo al riguardo spesso goffamente seri, intransigenti, e assumiamo il tono categorico dell’uomo banale, forte nel sentirsi fiancheggiato da una gran massa di propri simili che pensano esattamente come tutti pensano, sentono come tutti sentono, giudicano come tutti giudicano. I mass media hanno un grande potenziale, che è quello di amplificare  il sentimento comune, dunque qualsiasi tema trattino, il loro impatto sulla società è strutturato possiamo dire “in anticipo” rispetto al loro “arrivo” nelle nostre case.

Con ciò non intendo attribuire a mass media la causa del disagio della società, poiché sono specchio e non causa.

Quello che occorre chiedersi è se lo specchio è piano o distorcente, se riflette l’immagine in ogni sua parte.

Sicuramente i mass media  commettono diversi errori: ipersemplificano, decontestualizzano, generalizzano dall’individuale al collettivo, ricercano necessariamente una casualità lineare.

È certo che si tratta di un ronzio di fondo che ci accompagnerà comunque; quello che non bisogna fare è confondere l’impatto che nella società possono avere i temi trattati dai mass media, con i fattori che causano determinati fenomeni sociali.

Sorge spontaneo chiedersi quanto la comunicazione dei comportamenti violenti influenzi la riproposizione di queste azioni e, nel caso del bullismo, se i mass media spingono all’emulazione o sono una fonte preziosa di informazioni.

Questo tema è al centro di accesi dibattiti, che nel corso degli ultimi anni, suffragati dalle ricerche, non sono arrivati a conclusioni univoche.

I comportamenti violenti, prima ancora che a scuola, hanno radici nelle precedenti esperienze sedimentate nella psiche individuale (N. Cosentino, A. Giannetto, 2008).

La scuola è il primo momento di vera socializzazione dei giovani, che si trovano al confronto con gli altri e con se stessi.

Prima ancora che a scuola, il primo confronto sociale a cui è sottoposto ogni individuo è in seno alla famiglia.

Ci sembra che le famiglie italiane, attualmente stanno fronteggiando le “novità” in cui sono immerse le giovani generazioni, con non pochi problemi.

Il primo è di comunicazione, è come se stentassero a comunicare con i propri figli, e per sentirli in qualche modo vicini, cercano di colmare quel vuoto con regali, quelli più in voga, quelli più fashion: ed ecco che entrano in campo Nintendo, PSP, videogiochi e telefonini vari.

Tutti questi giochi tecnologici svolgono un ruolo nella costruzione della relazione genitore-figlio, un ruolo di allontanamento dalla relazione .

Come negare l’evidenza che le loro menti vengono “letteralmente” rapite da questi congegni, li vediamo in disparte, completamente assorti e avvolti dalle azioni in esse contenute.

Quello che più preoccupa gli esperti del settore è che, le condotte  genitoriali “deboli” creano basso coinvolgimento emotivo tra genitori e figli.

Su questo aspetto vorrei soffermarmi con un tono leggermente più critico nei confronti dei genitori. Rispetto al passato, la relazione genitori figli è cambiata, senza soffermarsi sulla scontata frattura generazionale, o sulla frammentazione orizzontale dei ruoli, quel che risulta evidente è che i genitori  hanno abdicato ad esercitare il loro ruolo genitoriale.

Bisogna pensare che l’ adolescenza è un periodo evolutivo molto complesso per qualsiasi soggetto, indipendentemente dal contesto sociale in cui vive.

In questa età vengono  sperimentati stati di angoscia che non riescono a capire, poiché non hanno ancora gli strumenti di comprensione.

Capita così che uno stato di angoscia, determinato dalla  incapacità di controllare le proprie pulsioni, venga ribaltato per negazione, in un atteggiamento di onnipotenza che si caratterizza nel dare libero sfogo a certi atti ed atteggiamenti.

Il bullismo e i maltrattamenti nascono perché gli adolescenti non hanno le capacità cognitive per affrontare la loro situazione psicologica e così avviene la trasformano in pulsione: c’ è un passaggio all’ atto.

In questo, la latitanza del ruolo genitoriale ha sicuramente avuto un ruolo, ma non dobbiamo dimenticare la funzione “pedagogica” del  “cattivo esempio” dato dagli stessi, grazie al mancato rispetto delle regole.

Spesso, sono gli stessi genitori ad alimentare atteggiamenti di violenza sin dalla tenera età, anche in ambito scolastico.

Un bimbo picchiato da un compagno viene esortato a fare lo stesso nei suoi confronti. È la legge del taglione.

C’ è una mancanza di etica e di educazione morale da parte degli adulti verso i minori. Se una colpa va ricercata, questa è di tutti coloro che adottano e quindi forniscono ai giovani modelli di comportamento devianti, moralmente condannabili.

Dove domina la legge del più forte e del più furbo, diventa difficile per i ragazzi decifrare  il “giusto” e “l’ingiusto”. Dunque, se gli adulti stessi non rispettano le regole, è un’ipocrisia pensare che lo facciano i ragazzi.  La stessa società sembra essere in qualche modo un bullo.

Dobbiamo sempre tenere presente che le immagini di riferimento a cui siamo esposti sono quelle dei videogames, di internet, tv e telefonini, e spesso, sono immagini che veicolano significati violenti.

In contesti nei quali il pensiero è un valore, quando un ragazzo sbaglia, i genitori lo invitano a riflettere su quello che ha fatto.

In contesti più fragili, invece, è l’ azione a essere un valore, perché è quella che porta avanti la famiglia.

Alcuni studi recenti (Bradley, 1999;Brandon, 1999; Capron, 1989; Aldgate, 2000) hanno evidenziato chiaramente che la presenza di svantaggi multipli nell’ambiente familiare aumenta notevolmente la probabilità che i figli vadano incontro ad esiti evolutivi sfavorevoli sia a breve che a lungo termine, soprattutto in termini di malattie fisiche, fughe da casa, disagio psichico, ritardo evolutivo, fallimento scolastico, difficoltà con  i pari, comportamenti antisociali, uso di alcool o doghe.

L’immagine che i giornali, telegiornali, internet ci rimandano dei nostri adolescenti a scuola è un’immagine annoiata,  priva di interessi culturali veri, si va a scuola poiché “si deve”, come per impegnare il tempo, e il tempo lo si impegna con riprese video che ci fanno conoscere una gioventù diversa,  disincantata, ammiccante e per nulla impacciata dietro una fotocamera che riprende le loro eroiche gesta.

E così li vediamo sull’oramai immancabile youtube denudarsi e fare la lap dance in bagno, li vediamo malmenare un compagno, sopraffare in gruppo un professore, ecc.

Quello che dobbiamo fare è interrogarci sul perché è avvenuta questa involuzione, e soprattutto cosa fare per invertire questa rotta.

Personalmente la mia idea dell’impatto delle tematiche trattate dai mass media e della successiva emulazione è ben esemplificata nelle parole di Cannat: l’adolescente passa davanti allo schermo della TV altrettanto tempo che a scuola; è attratto dalla violenza, ne assorbe il messaggio come la spugna l’acqua; vi si assuefa e ne prova gusto; la considera uno stato di cose normale ed un mezzo ordinario per risolvere i problemi; si identifica con il violento e, se anche non ha mai commesso gli atti di questi, diviene idoneo a tradurli in realtà, specie se l’equilibrio di partenza ed i meccanismi di controllo, per immaturità, sono ancora imperfetti.

Quello che possiamo fare di costruttivo per l’educazione dei nostri adolescenti è la prevenzione. Questa dovrebbe essere di due tipi: pubblica e privata.

Con prevenzione pubblica mi riferisco a quella a cui dovrebbero attenersi i vari mezzi di comunicazione.

Mi rendo conto che la parola censura può risultare sgradita, perché rinfocola le diatribe sugli spazi di libertà di cui i mass media devono disporre, ma non dimentichiamo i doveri che analogamente dovrebbero rispettare.

Si tratta di negoziare le rispettive esigenze, tenendo presente che noi telespettatori avremmo bisogno di una effettiva opera di controllo qualitativo del materiale che ci viene, per dirlo in termini medici,  somministrato.

Al di la della programmazione in fasce orarie notturne di film la cui visione è inadeguata ai minori, nel caso della TV , questa prevenzione è stata affidata a un piccolo bollino che appare in basso, a destra del televisore, che cambia colore, rispettivamente rosso, giallo, verde che indica se il programma è inadeguato, mediamente adeguato, adeguato alla visione da parte di minori. Non mi soffermo sulla funzione pedagogica di quei programmi con scene a contenuto violento (di cui la nostra programmazione può andarne fiera!) , poiché richiederebbe un discorso a parte.

Per quanto riguarda gli altri mezzi di comunicazione, non notiamo un atteggiamento di reale interesse nella protezione dei minori.

Tenendo sempre presente che, l’Italia del dibattito televisivo si spreme quotidianamente nella sua palestra di carta, tv e internet; la sua rappresentazione, al di la del sensazionalistico, resta comunque povera.

La prevenzione privata, invece si concretizza in ciò che permettiamo di vedere ai nostri figli. Qui ritorna il ruolo di educatore che deve avere ogni genitore, quella autorevolezza che va recuperata e prima di ogni altra cosa, esercitata.

L’esercizio di questa virtù genitoriale, va praticata col saper dire “NO” quando i contenuti di qualsivoglia programma non rispecchiano moralmente certi canoni; saper dire “NO” al tempo passato davanti ai videogiochi, di cui una mole consistente di questo materiale, ha un’impostazione basata sulla violenza nei confronti del  prossimo.

Allora, per concludere dovremmo chiederci e chiedere se, per caso, non può essere utile – riduttivamente, certo, ma non infruttuosamente – imboccare una strada diversa rispetto all’attuale, lungo la quale, anche ai fini di prevenzione, si impara a capire quando è l’ora di star zitti.

 

Nicoletta Rosi (Dottoranda di Ricerca in Criminologia)