I racconti di Carmelo Bisognano sono ricchi di particolari e offrono una visione nuova della mafia del barcellonese troppo spesso considerata. “babba”. Le dichiarazioni di Tommaso Buscetta , infatti, oggi risultano inadeguate a descrivere una realtà che ha fatto da padrona espandendo i suoi tentacoli senza nessuna remora. Nei racconti di Bisognano, ascoltato ieri in Corte d’Assise emergono due realtà che devono fare riflettere. Una è che la mafia sanguinaria non è ancora finita, lo dimostrano tutte le morti, spesso bianche, che hanno popolato il territorio barcellonese e l’assoluta lucidità nel descrivere fatti e avvenimenti: come l’uccisione di Di Paola a Capo D’ Orlando:” Io non so chi ha compiuto materialmente l’omicidio. Di Paola era una persona venale dal punto di vista economico. Da lì è scattata la sua eliminazione. Lui è stata la persona che sottraeva i soldi all’organizzazione”.
Cosa nostra insomma dimostra ancora una volta di tenere alle sue regole inappellabili e intransigenti, ma il terreno fertile da cui trae la propria forza è il sistema del racket, della gestione degli appalti e la creazione di società che permettono di crearsi un marchio di credibilità:” Io faccio la fornitura di noleggio mezzi . Il ragionamento è questo, preferisco affittare affinché ci fosse una prosecuzione di lavori”. I meccanismi e le gerarchi si inceppano poi quando scattano le manette tanto che gli equilibri e i vertici cambiano. Lo stesso Bisognano ha perso il ruolo di spicco quando per lui si aprì il 41 bis, uno dei regimi carcerari più duri, che non permette comunicazione con l’esterno. Nel racconto del pentito però sono interessanti i racconti dei viaggi al nord:” Ho fatto un viaggio con Venuto Giacomo e Mazzeo Vincenzo. Andammo a Firenze e ci arrivammo fino alla Val di Susa.
Era il 30 settembre del 1999”. In quell’occasione si dovevano incassare milioni, proventi degli affari. Il modus operandi degli omicidi, secondo quanto sostiene il pentito doveva restare segreto, tanto che le persone dello stesso clan non preferivano parola quando qualcuno doveva sparire come l’omicidio Munafò: “Mi hanno detto “Annamu a pigghiari chidddi di casi bruciati”. Con me c’erano Artino e Calabrese . Tramontana mi disse che serviva un posto dove poter smontare la macchina. In questi casi si va per intuizioni.
Da lì ho capito che aveva avuto un ruolo nell’omicidio”. Nel meccanismo delineato fatto di sangue e terrore resta e emerge anche la falsa etica della mafia che come si accennava prima sostituisce uomini e mezzi perché gli affari sono affari: La Truscello Teresa cessa di essere produttiva quando Bisognano viene arrestato tanto che lui ha cercato ci capire perché i lavori erano finiti e questo doveva chiederlo alla sorella senza destare troppi sospetti nelle forze dell’ordine, ma usando uno linguaggio diverso sicuri che i due comunicatori si capissero perché come ha detto Bisognano: “Noi ci capiamo nel nostro linguaggio”. Dal controesame di ieri insomma emerge insomma una faccia della mafia nuova e diversa allo stesso tempo. Da un lato si capisce ancora una volta che la mafia della provincia di Messina è spregiudicata e sanguinaria e dall’altro lato che la i vecchi mafiosi non esistono più. I giovani parlano correttamente l’italiano, sono avidi di potere ma soprattutto conoscono la legge per eluderla.