Un incontro in cui esperienza personale e informazione si mescolano divenendo dibattito, scambio attivo e costruttivo. Questo, e non solo, quanto accaduto martedì 11 novembre alla Casa Rossa di Messina. A partire dalle 19,30 un coinvolgente incontro-dibattito organizzato dall’ Arcigay Messina sul tema della omogenitorialità, cha ha visto la partecipazione, oltre che del presidente provinciale Rosario Duca, di Francesca Vecchioni e della psicoterapeuta e scrittrice Alessandra Nicita. A seguire, uno spettacolo di drag queen presentato dalla drag professionista Doretta e una ricca cena sociale che ha completato il clima intimo e amicale che ha caratterizzato l’intera serata.
Il dibattito si è svolto seguendo la linea della conversazione e del libero scambio di opinioni. Un incontro tra pari, senza scalette o battute pronte, per affrontare un tema delicato quanto importante. Il tutto nella piena consapevolezza della necessità, oggi più che mai, di una comunicazione chiara e soprattutto multidirezionale. Una platea variegata, sia in termini di età che di orientamento sessuale, ma unita dal desiderio di comunicare e informarsi attivamente. Insieme per parlare di omogenitorialità, di diritti, di insicurezze, di esperienze vissute e di desideri troppo spesso negati. Come ha affermato la stessa Vecchioni, “siamo insieme per parlare e confrontarci. E il dibattito è questo, è il luogo principe del confronto e del superare se stessi, il proprio pregiudizio e le proprie paure. Se non lo si fa insieme è un percorso davvero difficile”.
Con la forza di una donna che ha voluto vivere il suo vero io, in un passato non lontano che ancora non proponeva modelli o figure su cui fare affidamento, Francesca Vecchioni si affida alla propria esperienza di madre omosessuale per parlare non di omogenitorialità, ma di genitorialità. Il tutto senza fermarsi alla propria singola esperienza, ma trasmettendo un messaggio che cancelli la falsa convinzione che sia impossibile parlare di genitori omosessuali. “Quando si discute di omogenitorialità, si parla di genitorialità, che è uguale per tutti: non dipende dall’orientamento sessuale. E’ da pochissimo tempo che chi si riconosce omosessuale inizia a pensare di poter accedere a questa realtà. E’ una vera rivoluzione. C’è una differenza sostanziale tra la considerazione che si ha di questo tema oggi rispetto a qualche tempo fa, periodo in cui per gli omosessuali era scontata l’impossibilità di essere genitore. In questo modo ci si negava la stessa possibilità di poterlo diventare. E’ per questo che oggi è necessario pensare a questa opportunità, per renderla realtà. Ma i primi ad aver paura siamo noi, che abbiamo insicurezze rispetto a questo tema, che ci sentiamo inadeguati. Ed è su quello che ci dobbiamo battere. Non dobbiamo dimostrare niente, per prima cosa dobbiamo noi stessi sentirci capaci. Ogni volta che si combatte per ottenere qualcosa, ci si apre un immaginario di sogni ad essa legati, ma anche di capacità utili a perseguire quei sogni.” Un forte invito allo scardinamento del pregiudizio che si ha di se stessi, perché autoconvincersi della propria incapacità, è come avere già perso una battaglia non ancora cominciata.
Riflessioni su riflessioni, in un reciproco scambio di opinioni costruttivo e al contempo coinvolgente. Molti i consigli sia dalla psicoterapeuta Alessandra Nicita, autrice del libro ‘Arrivò l’amore e non fu colpa mia’, che dalla Vecchioni. Due voci, due esperienze diverse che hanno dato ai giovani partecipanti la possibilità di conoscere informazioni ed elementi utili per affrontare le sfide della società. Una società, quella italiana, in cui ancora “vivere liberamente la propria omosessualità diventa un atto politico, quando è solo un atto sociale e, soprattutto, privato. Dover strutturare la propria vita mentendo o omettendo, improntando le tue esperienze sociali sui pronomi neutri. Non riuscire ad essere se stessi significa non esprimere al meglio il proprio io. Non è una frase fatta, ma è un problema sociale che ha ripercussioni anche in campo economico, agendo anche nel mondo del lavoro e, quindi, nella capacità produttiva di un paese” continua la Vecchioni. “Il consiglio che danno coloro che invitano all’omissione, è in realtà un invito a non vivere sinceramente, a violentare se stessi. L’autoconvinzione della necessità dell’omissione porta a credere di essere discriminati anche laddove il problema non sussisterebbe”, precisa la psicoterapeuta Nicita.
A rendere ancora più concreta e intima la conversazione, l’esperienza personale di Francesca Vecchioni ha permesso di comprendere quali siano le modalità più indicate per affrontare la delicata condizione di genitore omosessuale. Consigli su come preparare la famiglia, gli amici, il “nido” che ruota intorno ai figli. Indicazioni su strumenti e atteggiamenti che possano permettere a pieno di godere dell’essere genitore: “in base alla mia esperienza di madre, una delle difficoltà poteva essere quella di spiegare alle bambine da dove siano venute. In realtà la cosa importante è dare tutte le informazioni necessarie fin da subito, perché i bambini non nascono con un pregiudizio. Lo creano nel momento in cui il genitore alimenta questo meccanismo. Ma se non si dicono le cose in modo chiaro, il rischio è che i bambini si diano da soli le risposte che cercano. In realtà i nostri figli hanno tutti gli strumenti per assorbire argomenti che a noi adulti spaventano. E’ incredibile notare come ti destabilizzi la forza che ha un bambino nel riuscire a far incastrare perfettamente elementi che per un adulto sono difficili da spiegare. La relazione da preservare con i propri figli è quella della fiducia e della sincerità.” E ancora, contro l’obiezione comune che nega l’omogenitorialità perché comprometterebbe la crescita dei figli e la loro interazione sociale, la Vecchioni risponde: “E’ una questione legata all’esterno, no all’interno. Il problema è l’omofobia, non l’omosessualità. Non puoi negare a una persona la possibilità di fare una scelta, di decidere di assumersi la responsabilità della crescita di un bambino in una realtà difficile. Sarà sicuramente più impegnativo, ma è una cosa che non puoi negare. Sembrano le medesime obiezioni mosse contro la legge sul divorzio negli anni ’70. Oggi, come allora, si teme per la sorte dei figli. Ogni innovazione ha sempre incontrato ostacoli sociali, ma se non si comincia, non si arriverà mai a un risultato.”
A chiudere il dibattito, un’osservazione della Vecchioni sulla discriminazione omofobica in Italia, dettata da una mancata demarcazione tra giusto e sbagliato. Un’interessante riflessione sulla totale assenza di un corretto codice comunicativo, che farebbe pensare al fatto che ancora l’argomento non sia trattato con il dovuto rispetto:
“A livello sociale c’è la propensione a giustificare anche l’insulto o la presa in giro. Se si avesse lo stesso atteggiamento nei confronti della diversità razziale, sarebbe subito chiara la demarcazione tra cosa è giusto o sbagliato, tra cosa si può dire e cosa no. Ciò che non si potrebbe dire sull’omosessualità, in Italia acquista solo la valenza di un’opinione. L’affermazione offensiva, diffamatoria o apertamente discriminatoria è considerata una semplice opinione, un punto di vista su cui concordare o meno. Manca un codice comunicativo che, nel segno del rispetto, garantisca in modo chiaro la differenza tra il bene e il male”.
Chi ne fa le spese, è inutile dirlo.
Gaia Stella Trischitta