La fame c’è e si sente, il terrore orchestrato ad hoc serpeggia privo di freni, l’iniquità vince sovrana su ogni aspettativa, uccide i sogni, le speranze di generazioni sacrificate sull’altare dell’ignoranza, della povertà, della putrefazione morale e civile. Ed è Estate. Un’Estate calda, come allora, come sempre in questi momenti, calda ed arida, diversamente da allora. Non c’è fuoco in un aria satura di gas, non c’è la scintilla che prepara l’esplosione, la fiamma del cambiamento è spenta, assopita sulle brande da spiaggia, placata dalle passeggiate sui lungomare, stancata, portata all’accondiscendenza dai coni gelato e dalle truffe dei Buoni Vacanze, dalla bugia della ripresa economica, dalle guerre civili dimenticate dai mass media e dai giochi di potere di chi oggi comanda e di chi domani vorrebbe comandare. Manca la rabbia, la forza di reagire, manca il pane, la verità, la giustizia. E il regime si odora a distanza.
Fa sentire la sua puzza il regime, la sua puzza di vecchio, di sporco, di sudicio. Oggi come allora i vermi, nati dal suo stomaco, hanno quasi terminato di divorare la sua carcassa inerte. I nobili stanno sempre nella loro Reggia, lì passano il loro tempo con i loro rituali sporchi e vecchi, le loro facce impiastricciate di polveri bianche, appresso alle dissolutezze di un Sovrano malato di potere e di perversione, malato d’amore e bisognoso di odio, antenato e discendente del Dispotismo Napoleonico. Lì passano tranquilli le loro giornate, lontani dal popolo, lontani dalla Nazione, sereni nei loro abiti da cerimonia, nelle loro scaramucce di corte, nei loro intrighi di palazzo. Oggi Necker non si sognerebbe mai di toccarli, oggi, di pretendere da loro una parte di risarcimento per ciò che loro stessi, con soprusi ed angherie di ogni genere, hanno distrutto, hanno usurpato, hanno strappato dalla terra e dal diritto del popolo. Oggi sono al sicuro dalle tasse, al sicuro dalle rivendicazioni, al sicuro dalla rabbia, dal dovuto odio – quell’odio che serve a campare in compagnia della propria dignità – , sono immuni da una cultura invisibile agli occhi ed alla mente, addormentata dai sedativi dottrinali e violentata dall’abitudine al pensiero unico. E il sovrano regna nell’ozio di chi non aspetta una rivoluzione. Nessuna Assemblée Nationale Constituante da sciogliere, nessuna Grande Paura nelle campagne, nessun pericolo di sovversione dell’ordine costituito, nessun timore, nessun inghippo. Sicuramente più operoso dell’antico predecessore, il tiranno ha agito preventivamente affinché non si manifestassero tali ostacoli, e non con la forza, ma con l’accondiscendenza sfrenata e le moine, con il sorriso, non con la frusta. Abbandonato il vecchio aspetto di legibus solutus, il mutante dittatoriale ha ormai compreso, da buona bestia politica, di possedere mezzi, occulti come palesi, ben più efficaci. E domina il popolo, forte delle sue leggi e del consenso dei suoi ignavi servitori, possente nel patrocinio delle arcane macchinazioni, di cui è promotore e consumatore unico e finale, dei suoi fedeli intendenti. Domina la Nazione nel frastuono, ben più adatto ai progetti tirannici di quanto non lo fosse il silenzio del ancien souverain, ma come lui abusa ripetutamente del popolo sul suo lurido giaciglio di corruzione e sudditanza, e forza le gambe di un Paese anestetizzato, le stringe in una morsa soffocante, mentre il rumore tutto intorno copre i già trattenuti singulti di una vittima insanguinata e devastata. Finito il suo turno, l’amato Re è pronto a tornare al prestigio della sua corte, ai privilegi del suo harem, ai sacri rituali della sua giornata, mentre il corpo è lasciato alle immonde strette dei vermi più piccoli, ed ancora vittima della violenza dei nobili, uno per uno, di toga e di spada, degli intendenti, dei servitori, degli intellettuali di corte, piegati al potere a frugare fra gli scarti dei banchetti regali. La crisi economica, la disuguaglianza, l’umiliazione della legge e della sua applicazione, i soprusi e le offese, un tempo ciclico che restituisce ogni cosa. La Francia del 1789 e l’Italia del 2010, unite nell’oppressione, divise nell’opposizione ad essa.
La società degli Stati ha avuto ancora la meglio, sotto il regime della legalità formale e dell’arbitrarietà sostanziale. Il Clero, da parte sua, ha rinunciato al possesso del 10% delle terre, per convertirsi ad appartamenti, case dello studente, ed attività ben più redditizie; estinta la pratica del contributo volontario allo Stato ad ogni scadenza di 5 anni, tale tassazione è stata convertita a vantaggio ultimo della Chiesa stessa, sotto la forma di donazione facoltativo-obbligatoria da devolvere in favore del clericale impegno. Ogni forma di tassazione grava sulle spalle di un Terzo Stato privato della sua classe forte, passata al prestigio della corte, nobilitata dalle lusinghe di un tiranno più accorto, mercante fra i mercanti, nobile fra i nobili, Sultano fra le concubine e gli eunuchi, popolano fra i popolani. La vecchia e la nuova Aristocrazia sono ormai fuse nel viscido lombrico dell’autorità politica ed economica, cortigiani e gabellieri del Re, inetti assertori della sacralità della tirannia, divoratori degli effetti di un popolo spogliato di ogni avere fisico e morale. La Terza Classe, affamata di pane ed assetata di acqua, è sfamata dalle stramberie dei giullari, dalle scatole magiche e dai fogli di papiro scarabocchiati dei venditori di sogni, che il sovrano dal fascino orientale ha saputo armare contro la coscienza sociale di una Nazione.
Questo 14 Luglio la Bastiglia, simbolo del potere, del regime, della forza e della prepotenza dell’autorità, la nostra Bastille Saint-Antoine, non cadrà. Non si vede, mascherata dal fumo di una tirannia tanto feroce quanto subdola, tanto distaccata ai bisogni della gente, quanto imbellettata agli occhi dei sudditi. Place de la Bastille è vuota, deserta, dove prima vi era un emblema di totalitarismo, oggi non si intravede più neppure la Colonne de Juillet, a commemorare le giornate di Luglio di una nuova rivoluzione, di un popolo che ha sempre cercato la libertà. Ma il nemico oggi non ha più volto, non vi è più segno riconoscibile del suo essere, esso è fumo, compare per bombardarci e poi sparisce, evanescente. Invincibile. Versailles è troppo lontana, protetta dai mille scudi della falsa rappresentanza e dall’illusione del mandato imperativo. Nessuna folla scorterà il sovrano a Le Tulieries, nessuno lo costringerà a firmare gli sgraditi atti di un’assemblea sovversiva, nessuno lo costringerà a fuggire per la via di Varenne, nessuno lo scoprirà, nessuno lo forzerà ai suoi obblighi verso la Nazione. Vive sereno fra la Reggia, il Palais-Royal, il Palais du Louvre e il Castello di Fontainebleau, e in ognuna di queste dimore, di lavoro e di villeggiatura, esercita indiscriminatamente il suo ruolo di monarca assoluto, e non ha alcun bisogno di assoggettarsi alle sedi ufficiali dello Stato, perché egli è lo Stato, egli è il Sole.
Una Versailles senza Bastiglia, uno Stato sorridente senza la sua faccia scura, senza il suo volto raccapricciante. Nessun obiettivo da colpire, nessun nemico palese, nessuna piazzaforte del terrore. In apparenza. Ma la fortezza è lì, nelle nostre scuole, nelle nostre università, nei nostri ospedali, banche, uffici pubblici e privati, nei cantieri, nelle fabbriche, e noi, noi non la vediamo, perché non possiamo vederla, perché non ne abbiamo i mezzi. La cultura è morta, muore ogni giorno dentro le nostre case, dentro i luoghi dove dovrebbe nascere e svilupparsi, dentro le menti del futuro, scoraggiate, svilite, fucilate da chi dovrebbe incoraggiarle, dai tiranni, dai vermi e dai servi di sempre. Ma forse mi prendo troppo sul serio.
Alla fin fine oggi si vive bene senza pensare, senza criticare tutto per un nonnulla. Si vive bene, si vive tranquilli. Rousseau è rilassatamente disteso a prendere la tintarella ai Jardin du Luxembourg, d’Alembert pedala spensierato in bici lungo le rive della Senna, Sieyès è indaffarato a fare acquisti a Les Helles, mentre Voltaire e Montesquieu chiacchierano amabilmente in uno dei tanti cafés dell’Avenue des Champs-Élysées. Diderot dorme sereno nel suo studio, il capo poggiato sulla “sua” Encyclopédie,e sogna, sogna le sue stesse vecchie vecchie vecchie parole:
« Giovane, prendi e leggi. Se potrai arrivare sino alla fine di quest’opera sarai capace di capirne una migliore. Io mi sono proposto più che d’istruirti di esercitarti e perciò m’importa poco che tu adotti le mie idee o che le rifiuti purché esse abbiano ricevuto tutta la tua attenzione. Uno più esperto di me t’insegnerà a conoscere le forze della natura; a me basterà di averti fatto mettere alla prova le tue »